Di Matteo Matzuzzi da Il Foglio del 27/01/2022
Il Vaticano prende ufficialmente posizione sul dossier indipendente commissionato dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga che imputa all’allora arcivescovo Joseph Ratzinger di aver coperto quattro chierici rei di abusi sessuali tra il 1977 e il 1982, nei suoi cinque anni di episcopato bavarese: “Non si può dimenticare che Ratzinger, il quale già da prefetto della congregazione per la Dottrina della fede aveva combattuto il fenomeno nell’ultima fase del pontificato di san Giovanni Paolo II di cui era stato stretto collaboratore, una volta diventato Papa ha promulgato norme durissime contro gli abusatori clericali, vere e proprie leggi speciali per contrastare la pedofilia”, ha scritto in un lungo editoriale apparso ieri mattina su Vatican News Andrea Tornielli. “Inoltre – ha aggiunto – Benedetto XVI ha testimoniato, con il suo esempio concreto, l’urgenza di quel cambiamento di mentalità così importante per contrastare il fenomeno degli abusi: l’ascolto e la vicinanza alle vittime a cui va sempre chiesto perdono”. Posizione prudentissima, come si legge nella chiosa, quando si sottolinea che “le ricostruzioni contenute nel rapporto di Monaco, che – va ricordato – non è un’inchiesta giudiziaria né tantomeno una sentenza definitiva, aiuteranno a combattere la pedofilia nella Chiesa se non verranno ridotte alla ricerca di facili capri espiatori e di giudizi sommari. Solo evitando questi rischi potranno contribuire a una ricerca della giustizia nella verità e a un esame di coscienza collettivo sugli errori del passato”.
Il cardinale Camillo Ruini conosce Joseph Ratzinger da decenni, con lui ha collaborato anche in qualità di presidente della Conferenza episcopale italiana, ed è a lui che chiediamo se non sia paradossale che a essere coinvolto nella vicenda sia proprio Ratzinger, che prima da prefetto e poi da Pontefice ha svolto un’operazione anche pubblica (ricordata peraltro nella Nota vaticana) nel cercare di sradicare questo fenomeno.
“E’ paradossale e profondamente ingiusto”, dice Ruini: “Sappiamo tutti quanto abbia fatto Ratzinger da cardinale, poi da Papa e in altro modo da Papa emerito, per eliminare quell’orribile piaga che è la pedofilia dei chierici. Purtroppo in Germania c’è da molti anni, all’interno della Chiesa, una vasta corrente contraria agli orientamenti teologici, pastorali e spirituali del Papa emerito. Un clima del genere contribuisce a rendere possibili accuse che altrimenti faticherebbero a trovare spazio”.
E cosa si può dire in merito alle accuse? “Sul merito delle singole accuse, posso dire ben poco perché non ho avuto la possibilità di esaminare il rapporto che le contiene. Ho però totale fiducia nella risposta di Benedetto XVI. Proprio perché, come dice lei, lo conosco da tanti anni e lo conosco molto bene. E’ una persona di grande umiltà e sincerità. Se la sua coscienza gli rimproverasse qualcosa, non avrebbe accettato gli incarichi di massima responsabilità che ha assunto, soprattutto il sommo pontificato ma anche la guida della congregazione per la Dottrina della fede”.
Però il Papa emerito ha prima negato e poi dovuto ammettere di essere stato presente alla riunione in cui si decise di consentire il trasferimento all’arcidiocesi di Monaco e Frisinga di un sacerdote pedofilo e il conferimento di un incarico pastorale a questo sacerdote.
“Le cose non stanno propriamente così. Ratzinger ha ammesso una svista nella redazione della sua dichiarazione e se ne è scusato. Ha precisato però che nella riunione a cui era presente non si è deciso di assegnare alcun incarico pastorale a quel sacerdote ma solo di dargli alloggio a Monaco durante il trattamento terapeutico che doveva ricevere. Un mese dopo, il vicario generale gli diede quell’incarico senza che Ratzinger ne fosse al corrente. Vorrei aggiungere che in Germania è una prassi comune assai più che in Italia che sia il vicario generale e non il vescovo a farsi carico di molte decisioni di governo”.
Negli ultimi anni si ha l’impressione che la Chiesa sia nel mirino, e che bastino poche accuse per portare alle dimissioni di un vescovo (Barbarin), al suo arresto (Pell) o alla sua diffamazione (Ratzinger). L’opinione di Ruini è chiara: “Conosco molto bene il cardinale Pell e gli sono legato da grande amicizia. Quel che gli è accaduto è gravissimo ma la Provvidenza di Dio ha saputo ricavare dalla sua vicenda un grande bene. Il suo diario dal carcere è uno straordinario messaggio di amore alla Chiesa e di fiducia in Dio. Conosco meno il cardinale Barbarin, ma anche di lui ho grandissima stima e anche la sua vicenda è emblematica. La Chiesa è costantemente nel mirino, quando coinvolge gli uomini di Chiesa la pedofilia è particolarmente grave. E’ però una peste diffusa ovunque, spesso assai più che nella Chiesa. E’ strano dunque che quasi esclusivamente sulla Chiesa si concentri il fuoco mediatico”.
Che cosa pensa di queste inchieste indipendenti che utilizzano il sistema delle interviste anche online e spesso anonime, come accaduto in Francia con la commissione Sauvé?
Secondo il già presidente della Cei, “le inchieste dovrebbero essere veramente indipendenti. La Chiesa deve avere il coraggio della verità anche quando è una verità molto dolorosa. Ma deve avere anche la saggezza di non essere autolesionista, di non mettere in piedi delle macchine che in realtà lavorino contro di lei”.
Anche all’interno della Conferenza episcopale italiana crescono le voci che chiedono di procedere con un’inchiesta “che faccia luce” su vicende anche del passato. E’ un’ipotesi realizzabile? “Non penso sia irrealizzabile, l’importante è che se si farà sia fatta bene senza l’autolesionismo di cui ho appena parlato”.