Giovanni Paolo II, Cristianità n. 307 (2001)
Lettera al Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori, P. Timothy Radcliffe, del 28-6-2001, in L’Osservatore Romano, 12-7-2001. Traduzione del quotidiano vaticano e titolo redazionale.
Fin dall’inizio uno dei compiti assegnati al vostro Ordine è stato la proclamazione della verità di Cristo in risposta all’eresia albigese, una nuova forma di quella ricorrente eresia manichea che il cristianesimo ha dovuto affrontare fin dal principio. Al centro vi sono la negazione dell’Incarnazione e il rifiuto di accettare che “il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità” (Gv. 1, 14). Per rispondere a questa nuova forma di un’eresia per altro antica, lo Spirito Santo ha dato vita all’Ordine dei Predicatori, uomini che sarebbero stati superiori per povertà e mobilità al servizio del Vangelo, che avrebbero contemplato incessantemente la verità del Verbo Incarnato nella preghiera e nello studio e avrebbero trasmesso agli altri i frutti di quella contemplazione mediante la predicazione e l’insegnamento. Contemplata aliis tradere: il motto dell’Ordine divenne la sua grande esortazione all’azione e resta tale ancora oggi.
[…] La storia del vostro Ordine dimostra che il Vangelo verrà predicato in modi efficaci ed autentici in un mondo in rapida evoluzione solo se il cristianesimo seguirà il cammino della contemplazione, che conduce a un rapporto più profondo con Cristo “accolto nella sua molteplice presenza nella Chiesa e nel mondo, confessato come senso della storia e luce del nostro cammino” (Novo Millennio ineunte, n. 15).
È chiaro che le antiche afflizioni dell’animo umano e le grandi falsità non muoiono mai, ma giacciono nascoste per un certo periodo di tempo per poi riapparire sotto altre forme. È il motivo per cui è sempre necessaria una nuova evangelizzazione del tipo al quale lo Spirito Santo esorta ora tutta la Chiesa. Viviamo in un’epoca caratterizzata a suo modo dalla negazione dell’Incarnazione. Per la prima volta dalla nascita di Cristo, avvenuta duemila anni fa, è come se quest’ultimo non trovasse più posto in un mondo sempre più secolarizzato. Non che venga sempre negato in maniera esplicita. Molti sostengono di ammirare Gesù e di apprezzare alcuni elementi del suo insegnamento, ma Egli resta distante: non lo si conosce, non lo si ama e non gli si obbedisce veramente e lo si relega in un passato remoto o in un cielo distante.
La nostra è un’epoca che nega l’Incarnazione in una miriade di modi e le conseguenze di questa negazione sono chiare e inquietanti. In primo luogo, il rapporto dell’individuo con Dio viene considerato esclusivamente personale e privato, cosicché Dio viene rimosso dai processi che governano l’attività politica, economica e sociale. Ciò porta a una notevole diminuzione del senso delle possibilità umane perché solo Cristo rivela pienamente le magnifiche possibilità della vita umana, “svela anche pienamente l’uomo all’uomo” (Gaudium et spes, n. 22). Quando si esclude o si nega Cristo, la nostra visione della finalità umana si riduce e prevedendo e mirando a meno di questo, la speranza e la gioia lasciano il posto alla disperazione e alla depressione. Subentra inoltre una sfiducia profonda della ragione e della capacità umana di cogliere la verità. Infatti si mette in dubbio il concetto stesso di verità. Impoverendosi reciprocamente, la fede e la ragione si separano, degenerando rispettivamente nel fideismo e nel razionalismo (cfr. Fides et ratio, n. 48). Non si apprezza e non si ama la vita e si fa strada una certa cultura della morte con i suoi amari frutti di aborto ed eutanasia. Non si apprezzano e non si amano correttamente il corpo e la sessualità umani e ne deriva un’attività sessuale degradante che si esprime con la confusione morale, con l’infedeltà e con la violenza della pornografia. Non si ama e non si apprezza neanche il creato stesso ed ecco lo spettro dell’egoismo distruttivo nell’abuso e nello sfruttamento dell’ambiente.