“Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.” “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni.” Così gli articoli 579 e 580 del codice penale, mai abrogati. “Le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso”: così scrivono i pubblici ministeri di Milano nella richiesta rivolta al Gip di archiviare il procedimento a carico dell’on. Marco Cappato, indagato per istigazione al suicidio del dj Fabo. Della serie: quel che la legge stabilisce la giurisprudenza disapplica. Se con norme così chiare due magistrati giungono a conclusioni opposte, che cosa accadrà con una legge espressamente eutanasica come quella, giunta al Senato dopo l’approvazione alla Camera, sulle c.d. Dat? Domanda da girare ai senatori convinti (illusi) che basta far passare qualche emendamento ed è tutto risolto.