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L’enciclica «Dilexit nos». Il Cuore di Cristo al centro del mondo

27 Dicembre 2024 - Autore: Don Giovanni Poggiali

Don Giovanni Poggiali, Cristianità n. 430 (2024)

Premessa

Il 24 ottobre 2024 è stata pubblicata la quarta enciclica di Papa Francesco, intitolata Dilexit nos, «Ci ha amati», e dedicata all’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo (1). Il Pontefice, che ne aveva annunciato la pubblicazione durante l’Udienza generale del 5 giugno 2024, ha voluto riproporre a tutta la Chiesa questo culto, con tutti i suoi significati teologici e la sua bellezza spirituale, con gli apporti di una storia che risale dalla Sacra Scrittura, fino alle apparizioni a santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690), per giungere alle riflessioni magisteriali dei Pontefici suoi predecessori.

La questione fondamentale dell’essere cristiani, il centro della vita, è il cuore. Nella tradizione ebraica, infatti, il cuore è il centro della persona, la sede della vita morale e spirituale, il luogo della volontà che muove gli affetti dell’uomo, quali l’amore e le passioni, orientando le decisioni e le scelte fondamentali nella vita. Nella capacità di amare, soprattutto, l’essere umano ritrova la sua immagine e somiglianza con Dio: noi assomigliamo a Dio quando amiamo. La santità consiste, infatti, nella perfezione dell’amore.

Se nella nostra esperienza di fede c’è amore, vi sono anche le conseguenze dell’amore che, sulla scorta di sant’Igna­zio di Loyola (1491-1556), si realizza più nei fatti che nelle parole (2). Le conseguenze sono molteplici e il Papa ne indica alcune: compunzione, senso del peccato, riparazione, consolazione sono il tesoro prezioso che la Chiesa recupera e rinnova per il nostro tempo.

Il Pontefice ritiene che la Dilexit nos rappresenti un testo-chiave nel suo magistero, offrendone un’interpretazione unitaria: un Dio che si è incarnato venendo ad abitare in mezzo a noi, mostrandosi non impassibile ma come un Dio che ha un Cuore trafitto, un Dio pieno d’amore e misericordia, vero Dio e vero Uomo, che interpella tutti e ciascuno chiedendo corrispondenza al nostro cuore (3).

1. L’importanza del cuore

L’enciclica è divisa in cinque capitoli più una conclusione. Fin dal­l’inizio il Papa evidenzia l’importanza del cuore, simbolo con cui spesso si rappresenta l’amore di Cristo, ma anche l’amore umano. Il Pontefice pone quindi una domanda cruciale: «Ho un cuore?» (n.23). Nella nostra società, «liquida», conflittuale e «coriandolare», è necessario tornare al cuore per recuperarne il profondo significato. Esso è il centro unificatore di tutta la persona umana, anima e corpo, la parte più interna della persona, il luogo della sincerità: «lì siamo noi stessi» (n. 6). Le domande che contano nella vita, quelle vere e importanti — «chi sono», «che cosa cerco», «chi sono davanti a Dio» — «mi portano al mio cuore» (n. 8). Papa Francesco, citando san Giovanni Paolo II (1978-2005), scrive che la mancanza del cuore è il motivo della perdita di unità interiore e di armonia nell’essere e nell’agire dell’uomo (cfr. n. 9). 

L’enciclica si concentra sull’oblio e sulla svalutazione storica del cuore. Questo spazio interiore profondo dell’essere umano non è riducibile al solo sentimento, come spesso accade nella cultura, nei nostri pensieri e anche nelle relazioni interpersonali. Perfino nel rapporto con Dio. Infatti, la dimenticanza del concetto autentico di cuore, «la troviamo già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme. Il cuore ha avuto poco spazio nel­l’antro­pologia e risulta una nozione estranea al grande pensiero filosofico. Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà. Il suo significato è impreciso e non gli è stato concesso un posto specifico nella vita umana» (n. 10). Ma il cuore è una parola importante per la teologia e per la filosofia, anche se le scienze umane non riescono a fare sintesi intorno ad essa. 

Con il cuore si conosce meglio la realtà, la si comprende più in profondità e se una relazione «[…] non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo» (n. 17).

Il cuore è capace di unità e di armonizzare i frammenti della propria storia personale, come faceva la Vergine Maria che custodiva le sue esperienze e le meditava, mettendole insieme, nel proprio cuore (cfr n. 19; e Lc 2, 19-51). Nessun algoritmo, nell’era dell’intelligenza artificiale, potrà salvare l’uomo, ma soltanto «la poesia e l’amore» (n. 20): «Il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’a­more con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato» (n. 21).

Sembra che il mondo in cui viviamo stia perdendo il cuore. Il dolore e la sofferenza inflitte alle persone di ogni età, soprattutto quelle anziane, molte delle quali vedono morire i loro giovani nelle guerre sparse per il mondo, sono intollerabili e rivelano un mondo senza cuore (cfr. n. 22). Al contrario, la teologia di sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi Spirituali è mossa da un principio, l’affectus, da un fuoco d’amore che va oltre la razionalità, non ne è deducibile perché parte dall’«ignoto del cuore»,che muove la volontà umana e aiuta a riorganizzare la vita dandole un nuovo ordinamento (cfr. n. 24). Il Papa cita san John Henry Newman (1801-1890) e il suo motto «cor ad cor loquitur», «[…] perché, al di là di ogni dialettica, il Signore ci salva parlando al nostro cuore dal suo Sacro Cuore» (n. 26). Il mondo, infatti, può cambiare a partire dal cuore. Prenderlo sul serio ha anche conseguenze sociali. Non vi può essere la pace nel mondo se non vi è la pace nel cuore degli uomini, ma il cuore umano non è autosufficiente, è fragile e ha bisogno dell’aiuto del­l’amore divino per rientrare in sé stesso, per essere trasformato e imparare ad amare: «Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale» (n. 28).

2. Gesti e parole d’amore

Colpiscono, nel Vangelo, i gesti di Gesù, la sua tenerezza, la sua misericordia verso tutti, in particolare i poveri, i malati, i peccatori. Dio non ci ama a parole ma con fatti concreti: in Cristo «[…] si avvicina e nel suo starci vicino ci dà il suo amore con tutta la tenerezza possibile» (n. 36). Dio vuole incontrare ciascuno di noi per rialzarci, per riempirci con la sua forza, per illuminare la nostra esistenza. 

Gli sguardi di Gesù sono indimenticabili. Gesù fissa negli occhi, penetra nell’intimo, fino al profondo del cuore, e quello sguardo pieno di attenzione, sull’esempio di sua Madre, può cambiarci la vita (cfr. n. 42). Così dirà al «giovane ricco»: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò» (Mc 10, 21).

Con le parole Gesù mostra i suoi sentimenti, svela il proprio intimo. Il posto migliore dove vuole condurci è proprio il suo cuore: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11, 28-29). San Paolo, nel trovare le parole più adatte per esprimere la sua relazione con Cristo, scrive: «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2, 20). In quel «mi ha amato» vi è la convinzione in Paolo di essere nel cuore di Gesù e che Cristo è morto per lui donando tutto sé stesso.

3. «Questo è il cuore che ha tanto amato»

L’amore e la devozione al Cuore di Gesù non costituiscono il culto di un organo separato dalla Persona di Cristo o la particolare venerazione di un’immagine. L’adorazione è rivolta al Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità. La rappresentazione del Cuore di Gesù nelle figurazioni visive non è una fra le tante immagini che potremmo osservare. La Chiesa ha scelto l’immagine del cuore proprio per rappresentare il nucleo più interno della Persona di Gesù e il suo totale amore umano e divino (cfr. n. 54). Non sempre troviamo la corrispondenza e la coerenza negli affetti come in Cristo. Il Papa, infatti, annota: «Amore e cuore non sono necessariamente uniti» (n. 59). In un cuore umano possono albergare rancore, odio, indifferenza, egoismo. Ma il centro intimo della nostra persona «[…] realizza il progetto di Dio solo se ama» (ibidem). Cristo ci ha amato con un cuore umano, con sentimenti e affetti umani, benché plasmati e trasformati dalla carità divina. Il Cuore di Cristo, unito alla Persona divina del Verbo nell’unione ipostatica, ha sperimentato e palpitato di un amore sensibile e di autentici affetti umani (cfr. Gv 11,5). Il Verbo si è incarnato ed è diventato vero uomo in tutto escluso il peccato (cfr. Eb 4,15). Egli ha sperimentato nella sua vita la vera amicizia e il vero affetto reciproco. Il Pontefice lo ribadisce citando vari Padri della Chiesa (cfr. n. 62) che difendevano la fede di fronte a coloro che negavano l’Incarnazione e la vera umanità di Cristo.

Non vi è solo l’amore umano. Il Papa si concentra anche sull’amore divino infinito che, secondo Papa Benedetto XVI, è entrato nei limiti della storia umana «così che noi possiamo contemplare e incontrare l’infi­nito nel finito, il Mistero invisibile e ineffabile nel Cuore umano di Gesù, il Nazareno» (n. 64). L’incontro fra l’amore divino e l’amore umano nel Cuore di Cristo costituisce il centro del mondo.

3.1 Prospettive trinitarie

La devozione al Cuore di Gesù è specificatamente cristologica e tutta la vita di Cristo è orientata al Padre. Tutto ciò che Gesù fa, dice e compie è per il Padre: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4, 34). Egli è la Via che conduce al Padre, è a Lui sottomesso ed è il Padre che viene glorificato dalla sua vita (cfr. n. 70). La storia di Gesù sulla terra è un percorso vissuto nel suo Cuore come un richiamo costante verso il Padre. Lo chiamava Abbà, Papà, come il più tenero dei figli, e il Padre rispondeva con le parole pronunciate dopo il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11). Anche lo Spirito Santo arde nel cuore di Cristo e lo riempie. San Giovanni Paolo II ha scritto che il Cuore di Cristo è «il capolavoro dello Spirito Santo» (n. 75) e che «[…] solo lo Spirito Santo può aprire dinanzi a noi questa pienezza dell’“uomo interiore”, che si trova nel Cuore di Cristo. Solo Lui può far sì che da questa pienezza attingano forza, gradatamente, anche i nostri cuori umani» (ibidem). Soltanto il Cuore di Gesù può farci giungere all’amore del Padre, fonte di ogni amore autentico, e soltanto questo centro unificatore può far conoscere Dio e sé stessi e costruire la civiltà dell’amore (cfr. n. 80).

3.2 Il magistero dei Papi

Le espressioni magisteriali e le modalità con cui i Pontefici hanno affrontato il tema del Cuore di Cristo sono molteplici. Lo scopo è giungere all’unione con questo Cuore e indicare, con le parole del venerabile Pio XII (1939-1958), come rappresenti «in modo eccellente» il culto del Signore (cfr. n. 79). Dal canto suo, Papa Francesco motiva la scelta per questa devozione in quanto è sintesi del Vangelo (cfr. n. 83). Non è Parola di Dio ma «[…] non si può dire che questo culto debba la sua origine a rivelazioni private» (ibidem). Nel contesto della religiosità eterodossa dei giansenisti che considerava la Comunione eucaristica come un premio per i perfetti, l’Eucari­stia dei primi nove venerdì del mese avvicinava all’amore gratuito e misericordioso di Dio verso tutti. Anche oggi, scrive il Papa, in un contesto sociale come il nostro dove il tempo è assorbito da molte cose, ci dimentichiamo di nutrirci del Pane della vita che è il vero cibo dell’anima (cfr. n. 84). Un certo «dualismo giansenista» corrode anche la spiritualità odierna, una spiritualità disincarnata, segno di un neognosticismo che contrasta la verità della «salvezza della carne» (n. 87) (4). Un altro dualismo corrode la vita ecclesiale, quello dell’attivismo sfrenato incentrato su «progetti mondani, riflessioni secolarizzate» (n. 88): «Queste malattie tanto attuali, dalle quali, quando ci siamo lasciati catturare, non sentiamo nemmeno il desiderio di guarire, mi spingono a proporre a tutta la Chiesa un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato nel suo santo Cuore. Lì possiamo trovare tutto il Vangelo, lì è sintetizzata la verità che crediamo, lì vi è ciò che adoriamo e cerchiamo nella fede, ciò di cui abbiamo più bisogno» (n. 89).

4. L’amore che dà da bere 

Nella Sacra Scrittura i primi cristiani vedevano nel Cuore trafitto di Cristo quella fonte di acqua viva da cui promana la vita nuova annunciata dai profeti (cfr. Is 12,3; ed Ez 47,7.9). Esso è la sede e la fonte dell’amore divino. La sorgente aperta di acqua pura è il fianco di Gesù, il costato ferito dalla lancia (cfr. Gv 19,34) da cui uscirono sangue e acqua, simbolo dei sacramenti dell’Eucaristia e del Battesimo. Gesù stesso chiede da bere sulla croce ma, come afferma sant’Agostino d’Ippona (354-430), è una sete di anime (5). La fonte disseta il popolo di Dio che attendeva «una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità (Zc 12,10; 13,1)» (n. 95). Nel Cuore trafitto di Cristo «[…] si concentrano, scritte nella carne, tutte le espressioni d’amore delle Scritture» (n. 101). 

I Padri della Chiesa hanno descritto la rivelazione di questo amore mettendo in luce le risonanze delle parole divine con la loro ricaduta nella vita concreta degli uomini (cfr. nn. 102-108): in particolare san­t’Ago­stino ha aperto, con le sue riflessioni, la strada alla devozione al Sacro Cuore «come luogo di incontro personale con il Signore» (n. 103).

Nella storia della spiritualità, a poco a poco, l’immagine del costato di Cristo trafitto assume la forma di un cuore, soprattutto nella vita monastica. Il suo culto nella storia si sviluppa, in particolare, grazie ad alcune donne che hanno raccontato la loro viva esperienza di Cristo (cfr. n. 110). Nell’ambiente monastico il culto incontra i certosini con Ludolfo di Sassonia (1295 ca.-1377), per giungere poi al gesuita san Giovanni Eudes (1601-1680), che fece celebrare per la prima volta la festa del Cuore di Gesù nella diocesi di Rennes, in Francia, dove aveva svolto una fervente missione (cfr. n. 113). Si arriva così a san Francesco di Sales (1567-1622) che contemplava spesso il Cuore aperto di Cristo e ne assunse lo stemma, «un unico cuore trafitto da due frecce, racchiuso in una corona di spine» (n. 118).

Sotto l’influsso spirituale di san Francesco di Sales, la visitandina santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) a Paray-le-Monial, in Francia, alla fine del secolo XVII visse le apparizioni che Gesù le riservò. Nella sua autobiografia la santa scrisse quale fosse il centro del messaggio ricevuto dal Signore: «Mi scoprì le meraviglie del suo Amore e i segreti inesplicabili del suo Sacro Cuore, che mi aveva tenuti nascosti fino a quel momento, nel quale me lo aprì per la prima volta. […] e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini» (n. 120) (6). Il cuore adorabile di Cristo richiede in cambio un amore altrettanto grande dalle creature ma purtroppo non riceve che ingratitudine e indifferenza (cfr. n. 124). 

Il direttore spirituale di santa Margherita Maria, il gesuita san Claudio de La Colombière (1641-1682), divenne divulgatore e difensore delle esperienze mistiche della religiosa. Il discepolo di sant’Ignazio è famoso per una preghiera conosciuta come l’Atto di abbandono in Dio, in cui si affida non alle proprie forze, non alle proprie mortificazioni o alle proprie preghiere o capacità, ma esclusivamente a Dio, fondando tutta la sua sicurezza sulla stessa confidenza divina. Attua, quindi, una sintesi fra la spiritualità della religiosa francese e gli Esercizi ignaziani, annotata nei suoi scritti (cfr. n. 128). 

La Dilexit nos si sofferma anche sulla spiritualità di san Charles de Foucauld (1858-1916) e della carmelitana santa Teresa di Gesù Bambino (1873-1897), che hanno rivisitato la devozione al Sacro Cuore diffusa abbondantemente in Francia nel secolo XIX. Papa Francesco insiste su un elemento della santa di Lisieux che la rende simile a san Claudio de La Colombière: «In molti dei suoi testi si nota la sua lotta contro forme di spiritualità troppo incentrate sullo sforzo umano, sul merito proprio, sull’offerta di sacrifici, su determinati adempimenti per “guadagnarsi il cielo”. Per lei, “il merito non consiste nel fare né nel donare molto, ma piuttosto nel ricevere”» (n. 139).

4.1 Sant’Ignazio di Loyola e la devozione nella Compagnia di Gesù

Negli Esercizi Spirituali è molto marcata la componente affettiva, come il Papa ribadisce più volte (cfr. n. 144). L’esercitante, soprattutto nei colloqui alla fine di ogni esercizio, è richiesto di intrattenere un dialogo intimo da Amico ad amico ai piedi del Crocifisso: «quando l’esercitante si trova davanti al costato ferito di Cristo, Ignazio gli propone di entrare nel Cuore di Cristo» (ibidem) e ciò è una sorta di educazione del cuore. L’intimo legame fra il Sacro Cuore e la Compagnia, sottolineato da diversi gesuiti (cfr. n. 146), è stato riaffermato da san Giovanni Paolo II in una Lettera all’allora Preposito generale Peter Hans Kolvenbach (1928-2016): «Il desiderio di “conoscere intimamente il Signore” e di “mantenere un dialogo” con Lui, cuore a cuore, è caratteristico, grazie agli Esercizi Spirituali, del dinamismo spirituale e apostolico ignaziano, totalmente al servizio dell’amore del Cuore di Dio» (n. 147).

Molti santi hanno attinto alla spiritualità degli Esercizi e quindi anche del Cuore di Cristo: fra questi, santa Faustina Kowalska (1905-1938), la quale ha ricevuto spesso gli Esercizi ignaziani e ha unito la devozione al Cuore di Gesù con la diffusione della conoscenza della divina misericordia da lei vissuta e divulgata, come ha ripetuto il Papa polacco: «La Chiesa sembra professare in modo particolare la misericordia di Dio e venerarla rivolgendosi al Cuore di Cristo» (cfr. n. 149).

Spesso nel cuore del credente affiora il desiderio della consolazione, di restare vicino al Cristo sofferente per consolarlo nella sua Passione. Dice, infatti, Papa Pio XI (1922-1939): «Noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati» (7) (n. 153). Ciò avviene anche quando si ama davvero qualcuno che soffre: amore e sofferenza spesso non si distinguono e la consolazione è l’atto di chi vuole essere unito all’amato. L’atto d’a­more più grande che possiamo compiere, infatti, è offrire le nostre sofferenze per il prossimo, per i peccatori, per la loro salvezza. È un atto gratuito ed è solo nostro, come solo nostri sono purtroppo i peccati personali. Nel caso di Cristo, la sofferenza della Passione vissuta per noi non è un fatto del passato ma si rende presente grazie soprattutto al sacrificio eucaristico. Il mistero della Redenzione oltrepassa il tempo e lo spazio, non è cronologicamente fissato in un punto (8). Ciò significa che, come le sofferenze di Cristo durante la sua Passione sono state offerte per gli uomini di ogni tempo, così le nostre sofferenze offerte e i nostri atti d’amo­re uniti alla croce del Signore possono giungere al suo Cuore ferito e consolarlo. La Passione di Cristo continua oggi nel suo Corpo mistico che è la Chiesa, la quale nasce dal Cuore di Gesù: «In definitiva, è il Risorto che, attraverso l’azione della sua grazia, rende possibile che ci uniamo misteriosamente alla sua Passione» (n. 157). Siamo noi, infatti, i primi a essere consolati dall’offerta di Cristo. La compunzione e il dolore che sentiamo nel cuore per i nostri peccati lasciano il posto a una fiducia totale e all’abbandono: «ciò che rimane è gratitudine, tenerezza, pace; rimane il suo amore che regna nella nostra vita» (n. 161).

5. Amore per amore

Un amore così grande chiede un amore altrettanto intenso. È il lamento che Gesù rivolge a santa Margherita Maria perché riceve ingratitudine, indifferenza e freddezza: «Questo — dice il Signore — mi fa soffrire più di tutto ciò che ho patito nella mia Passione» (n. 165). Il Signore non chiede onerosi sacrifici o l’adempimento di un mero dovere, ma chiede l’amore. Questo scambio di affetto non può non prolungarsi nei fratelli: «[…] la migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli […]. L’amore per i fratelli non si fabbrica, non è il risultato di un nostro sforzo naturale, ma richiede una trasformazione del nostro cuore egoista» (nn. 167-168). La cura degli altri e il dono di sé sono il distintivo dei cristiani. La carità conduce a occuparsi dei più poveri, di coloro che sono ai margini della società perché in Cristo siamo tutti fratelli, ciascuno è sua immagine, siamo figli di un unico Padre e portatori di una dignità preziosa e unica. I pagani venivano colpiti dalla testimonianza operosa dei primi cristiani, come l’imperatore apostata Flavio Claudio Giuliano (331 ca.-363), che si chiedeva perché i seguaci di Cristo fossero così rispettati e seguiti (cfr. n. 169). Nella storia della spiritualità tanti santi sono stati per gli altri una fonte a cui dissetarsi, a imitazione del Cuore di Cristo, sorgente primaria di santità e d’amore. Papa Francesco cita Origene (185-254), sant’Ambrogio (339 ca.-397), il cistercense san Bernardo (1090 ca.-1153), san Francesco di Sales, san Charles de Foucauld. Quest’ultimo ha assunto come motto «Iesus Caritas»,con il simbolo del Cuore di Gesù sormontato da una croce, per il desiderio di portare l’amore di Gesù ai più poveri fra i poveri. In particolare, la sorgente più pura fra tutte è stata Maria, Madre del Signore: «La devozione al cuore di Maria […] non vuole togliere nulla all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, ma stimolarla […]. Grazie all’immensa sorgente che sgorga dal costato aperto di Cristo, la Chiesa, Maria e tutti i credenti, in modi diversi, diventano canali di acqua viva» (n. 176).

5.1 La riparazione sociale e la Contro-Rivoluzione

Il Papa, a questo punto dell’enciclica, introduce il concetto di «riparazione», a cui lega un significato sociale più che individuale. Il significato a livello sociale è stato indicato da san Giovanni Paolo II quando ha scritto che il regno del Cuore di Gesù, quindi la civiltà dell’amore, può essere costruito sulle rovine di questo mondo costituito da «strutture di peccato» — «espressione ed effetto dei peccati personali» (9) — se uniamo all’offerta del nostro amore per Dio l’amore del prossimo, secondo l’in­segnamento del Vangelo. Le strutture di peccato influiscono sullo sviluppo dei popoli e allontanano dalla Legge evangelica, e quindi dalla salvezza, coloro che ne sono gli artefici. Un’organizzazione sociale fondata sul peccato costituisce un pericolo per la salvezza dell’anima di coloro che vivono in essa (10), i quali sono chiamati a «riparare» tali strutture non solo esteriormente con le opere ma offrendo al Cuore di Cristo, che ci insegna ad amare, la propria conversione del cuore (cfr. nn. 182-184). 

La Contro-Rivoluzione, tema caro ad Alleanza Cattolica secondo la nota descrizione che ne offre il professor Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), insieme al concetto di «riparazione», è una vera e propria rianimazione del corpo sociale, malato a causa delle patologie accumulate in Occidente a partire almeno dal protestantesimo fino alla Rivoluzione culturale del 1968 (11). Una nuova società cristiana potrà essere ricostruita se coloro che operano per il regno di Cristo si aprono alla dimensione pubblica della fede, superando quel ripiegamento nell’intimismo e nella privatizzazione della fede stessa che è una vera tentazione, soprattutto oggi in epoca di dilagante relativismo, e un costante pericolo a cui la riparazione sociale al Cuore di Gesù, indicata da Papa Francesco, può essere una sicura risposta. È indicativo, inoltre, come tutti coloro che nella storia si sono gloriati del nome di cristiani e hanno resistito al processo rivoluzionario e di scristianizzazione della società si sono avvalsi del simbolo del Sacro Cuore di Gesù nelle loro insegne e nei loro motti. Oggi, la Quarta Rivoluzione, quella culturale, ha acquisito spazi e conquistato mentalità in modi forse impensabili solo trent’anni fa. Il pericolo odierno non è solo l’attacco all’uomo nella sua interiorità e nella sua più profonda identità e dignità ma anche la perdita della libertà, dono primario di Dio all’uomo con cui può liberamente amarlo, corrispondere alla sua volontà e decidersi per Lui, senza asservimenti a poteri esterni e interni che lo condizionano fino ad autodistruggersi e a rischiare di distruggere il pianeta in cui vive.

Il Papa, quindi, afferma che «uno spirito di riparazione ci invita a sperare che ogni ferita possa essere guarita, anche se è profonda» (n. 186). Riconoscere il proprio peccato e chiederne perdono è la realizzazione di quello spirito che cambia in profondità i nostri cuori: «Avviene una sorta di ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi con sé stessi e misericordiosi con gli altri» (n. 190). Non solo, ma la riparazione «si intende come rimuovere gli ostacoli che poniamo all’espansione dell’amore di Cristo nel mondo con le nostre mancanze di fiducia, gratitudine e dedizione» (n. 194). Più noi ci abbandoniamo all’azione di Cristo con fiducia e apertura, più il suo amore si prolunga nella nostra vita e in quella di coloro che incontriamo. Più noi mostriamo ostacolo e indifferenza all’azione divina, più la diffusione dell’a­more potente e fecondo del suo Cuore viene impedita. L’atto di riparazione certamente si prefigge il desiderio di «[…] risarcire gli oltraggi in qualsiasi modo recati all’amore increato» (n. 200); ma anche noi possiamo offrire a Dio le nostre rinunce e le nostre sofferenze unendole alla passione di Gesù ad imitazione di Santa Teresa di Gesù Bambino, che si offrì vittima all’Amore misericordioso permettendo al Signore di espandersi e diffondersi in cambio di tutte le volte in cui l’amore del suo Cuore è stato rifiutato. Solo Cristo ci salva con il sacrificio sulla croce riattualizzato e ripresentato nella santa Messa, e «la riparazione che offriamo è una partecipazione liberamente accettata al suo amore redentore e al suo unico sacrificio» (n. 201).

5.2 La dimensione missionaria

Oltre alla dimensione sociale della riparazione al Cuore di Cristo, Papa Francesco ricorda come san Giovanni Paolo II ha parlato anche di cooperazione alla missione di salvezza. La proposta cristiana non è privata e individuale ma ha un necessario risvolto missionario: «La missione, intesa nella prospettiva di irradiare l’amore del Cuore di Cristo, richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita» (n. 209). L’amore del Cuore di Gesù richiede così cuori innamorati per diffonderlo: «Di conseguenza, attraverso i cristiani, l’amore sarà riversato nei cuori degli uomini, perché si edifichi il corpo di Cristo che è la Chiesa e si costruisca anche una società di giustizia, pace e fratellanza […]. Alla luce del Sacro Cuore, la missione diventa una questione d’amore» (nn. 206-208). Il fuoco della missione non può essere spento. Pur nel rispetto della libertà e delle convinzioni dell’altro, la Chiesa è dedicata all’opera missionaria di annunciare l’amore di Cristo, opera che diventa, per ogni fedele, una necessità d’amore: «Guai a me se non annuncio il Vangelo» (1 Cor 9,16). 

L’ardore dell’annuncio del Vangelo, il fervore che, come dono, sgorga dal Cuore di Cristo è il proposito finale del Santo Padre che con accorato appello si rivolge al fedele con queste parole: «In qualche modo devi essere missionario, missionaria, come lo furono gli apostoli di Gesù e i primi discepoli, che andarono ad annunciare l’amore di Dio, andarono a raccontare che Cristo è vivo e vale la pena di conoscerlo. […] Questa è anche la tua missione. Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria. Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà» (n. 216). L’anima innamorata e piena di fervore per il suo Signore diffonde il bene e non si lascia turbare dagli insuccessi e dalle contrarietà. Desidera diffondere il messaggio di Cristo per la nuova evangelizzazione ed edificare così una nuova civiltà cristiana, un mondo ordinato secondo il piano di Dio e a misura d’uomo. 

Conclusione

L’intenzione dell’enciclica è ricordare che l’amore di Cristo è un amore gratuito, fuori dalle logiche materiali del denaro e del potere, un amore che salva e che sgorga dal Cuore di Gesù. Questo amore, se noi gli corrispondiamo, si diffonde nel prossimo, con cui si tessono legami fraterni, se ne riconosce la sua profonda dignità a immagine di Dio e si costruisce insieme la casa comune. 

La Dilexit nos invita a non ridurre l’esperienza di fede alla sola convinzione dell’esistenza di Dio o alla sola adesione a un sistema di valori morali, e ci aiuta ad andare al cuore del problema: la convinzione profonda di essere amati da Dio con un Amore che è molto più di un semplice sentimento. Un Amore che è una Persona, Gesù Cristo: «E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16). Accorgerci del Suo Amore, averne consapevolezza, cambia completamente il corso della vita: «Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità» (n. 219).

Don Giovanni Poggiali

Note:

1) Cfr. Francesco, Lettera enciclica «Dilexit nos» sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, del 24-10-2024. Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a questo documento.

2) Cfr. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, a cura di Pietro Schiavone S.J., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1988, n. 230, p. 173.

3) «Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (n. 217).

4) Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera «Placuit Deo». Su alcuni aspetti della salvezza cristiana, del 22-2-2018, n. 3.

5) Sant’Agostino, Opere. Esposizione sui Salmi, II. Sul Salmo 61, trad. it., Città Nuova, Roma 1990, Sal 61,9, p. 359: «Inchiodato poi sulla croce: Ho sete, disse; e tuttavia i presenti non gli dettero ciò di cui aveva sete. Egli aveva sete di loro; ma loro gli diedero dell’aceto».

6) Pio XII, Lettera enciclica «Haurietis aquas» sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù, del 15-5-1956, IV: «Le rivelazioni, di cui fu favorita Santa Margherita Maria, non aggiunsero alcuna nuova verità alla dottrina cattolica. Ma la loro importanza consiste in ciò, che il Signore — mostrando il suo Cuore Sacratissimo — in modo straordinario e singolare si degnò di attrarre le menti degli uomini alla contemplazione e alla venerazione dell’amore misericordiosissimo di Dio per il genere umano».

7) Pio XI, Lettera enciclica «Miserentissimus Redemptor» sull’atto di riparazione al Sacratissimo Cuore di Gesù, dell’8-5-1928.

8) Cfr. ibidem.

9) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1869.

10) Cfr. Pio XII, Radiomessaggio di Pentecoste 1941 nel 50° anniversario della Rerum Novarum, del 1°-6-1941.

11) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009), con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, presentazione e cura di Giovanni Cantoni (1938-2020), Sugarco, Milano 2009.

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