MASSIMO INTROVIGNE, Cristianità n. 265-266 (1997)
Fra le tante controversie che agitano le riviste culturali americane e le lunghe notti dei gruppi di discussione su Internet una delle più interessanti riguarda il pittore olandese Hyeronimus Bosch (1450-1516). Questo artista ha sempre affascinato non soltanto i critici d’arte ma anche il grande pubblico. Le centinaia di personaggi che affollano ogni suo quadro — diavoli, civette, scimmie, topi mostruosi e pesci fantastici, accanto ai grandi personaggi della storia sacra a cui sono consacrati i suoi dipinti principali — fanno pensare a un surrealista ante litteram o a un Salvador Dalí (1904-1989) nato per caso agli albori dell’epoca moderna. La Harris, una specialista londinese che ha dedicato quindici anni di studi al pittore, propone nel suo The Secret Heresy of Hyeronimus Bosch (1) un ritratto più inquietante del pittore olandese. Non era un cattolico, anche se fingeva di esserlo e partecipava attivamente alla vita della pia Confraternita di Nostra Signora. Era uno gnostico, legato alle ultime sopravvivenze dell’eresia catara che cercava di preservare, in un linguaggio cifrato, nella sua pittura e di trasmettere così ai posteri. Quando l’ultimo cataro fosse scomparso dall’Europa — sostiene la Harris — i quadri di Bosch ne avrebbero conservato e trasmesso le dottrine a chi avesse avuto orecchie per intendere e soprattutto occhi per vedere. Il libro della Harris è distribuito in America dalla casa editrice della Società Antroposofica, e pubblicazioni neo-gnostiche come Gnosis lo salutano con entusiasmo in quanto permetterebbe di inserire anche Bosch nella galleria dei grandi antenati della moderna rinascita gnostica (2).
Niente affatto, rispondono i critici della Harris. Certo, i quadri di Bosch sono pervasi da un pessimismo cupo e da un notevole anticlericalismo: il trittico della Tentazione di Sant’Antonio, conservato a Lisbona, può essere letto come una critica feroce del monachesimo, un punto su cui la studiosa londinese insiste ma che non è la prima a segnalare. Però si tratta di un atteggiamento tipico del cattolicesimo olandese della fine del Quattrocento, attraversato da ansie di riforma cattolica e da fermenti che annunciano il protestantesimo. Certo, non mancano simboli alchemici ed esoterici. Ma tutti gli studiosi di Bosch li hanno notati, rilevando che negli stessi ambienti della Confraternita di Nostra Signora — pure certamente cattolici — si manifestavano interessi di questo genere. Al massimo — obiettano i critici della Harris — si potrebbe ipotizzare, come già aveva fatto lo storico dell’arte tedesco Wilhelm Fraenger (1890-1964), un contatto fra Bosch e gli eretici Fratelli del Libero Spirito (3). Ma questi ultimi erano panteisti, non dualisti; celebravano il mondo e la carne — particolarmente nella variante degli Adamiti, che secondo Fraenger avrebbe influenzato Bosch — e non li consideravano radicalmente malvagi come i catari. Sarebbe dunque sbagliato presentare il pittore olandese come un dualista cataro.
La Harris, però, prende in esame proprio il cavallo di battaglia di Fraenger — il Giardino delle delizie del Prado di Madrid — per cercare di dimostrare che il critico tedesco sbagliava. Bosch rappresenta nel pannello centrale di questo trittico una festa della sensualità e della carne non per celebrarla, ma per mostrarne la radicale corruzione, senza speranza di riscatto. Non si tratta di offrire alle realtà terrene una speranza di redenzione, ma di negarle come radicalmente perdute e dannate, secondo una prospettiva tipicamente gnostica. Nel pannello di destra del Giardino, aggiunge la Harris, Bosch rappresenta del resto un inferno che non è ultramondano, ma terreno. L’inferno è semplicemente la terra come sarà quando gli iniziati gnostici l’avranno abbandonata, e le presunte delizie si riveleranno nel loro significato di corruzione e di morte. Lo stesso paradiso terrestre, che occupa il pannello di sinistra del Giardino del Prado, è del resto ambiguo. Il Cristo che tiene per mano Eva ha una funzione ambivalente — la salva o la introduce al peccato? —, e si potrebbe perfino sospettare che si tratti di Satana sotto mentite spoglie. Al centro della fontana del paradiso terrestre si nasconde una civetta, certamente simbolo del diavolo nella pittura olandese dell’epoca e nei quadri di Bosch in particolare. Il messaggio che se ne ricava, secondo la studiosa inglese, è la quintessenza dello gnosticismo: il creatore di questo mondo è cattivo e il mondo è cattivo. L’unica speranza è costituita, semmai, dalla reincarnazione, simboleggiata da un volo di rondini a spirale attraverso le cavità di una strana roccia che compare sullo sfondo del pannello di sinistra del Giardino. Dalle esegesi della Harris — che dedica interi capitoli alle fontane di Bosch e al loro simbolismo — è facile, comunque, rimanere affascinati. Neanche il più cattolico dei dipinti di Bosch, il trittico dell’Adorazione dei Magi pure conservato al Prado, sfugge all’interpretazione gnostica della studiosa inglese. Una volta che si ingrandiscono le minute figurine di Bosch si notano strani particolari: una casa sullo sfondo ha tutte le caratteristiche del bordello, un asino su cui avanza una scimmia in un panorama dominato da un idolo pagano sembra una caricatura della tradizionale rappresentazione della fuga in Egitto, e della leggenda secondo cui gli idoli cadevano infranti al passaggio del Bambino. La Harris ne conclude che l’Adorazione è una denuncia cataro-gnostica del presunto inganno dell’incarnazione che, nella sua materialità, sarebbe una menzogna demoniaca. Il Cristo che salva non ha vera carne e vera natura umana e può essere soltanto un Cristo doceta, cioè che sembra uomo ma non lo è. Sarebbe naturalmente troppo lungo seguire tutte le interpretazioni della Harris: non resta che rimandare al volume, che del resto meriterebbe di essere raccomandato anche soltanto per le splendide illustrazioni.
Lo scopo della studiosa inglese non è quello di denunciare Bosch come gnostico, ma di rivalutarlo. La Harris ha un’evidente simpatia per il catarismo e non risparmia qualche attacco di maniera alle perfidie degli inquisitori. Seguendo le sue analisi, dobbiamo veramente credere che il pittore preferito dal cattolicissimo re di Spagna Filippo II (1527-1598) — ma i suoi consiglieri, nota la Harris, lo mettevano in guardia contro i significati nascosti delle opere del pittore olandese — fosse uno degli ultimi catari europei? Effettivamente la Harris ha scoperto molte coincidenze curiose fra i simboli di Bosch e le pietre tombali, i cosiddetti stécci, lasciati dall’ultimo catarismo in Bosnia. Le sue speculazioni su effettivi contatti di Bosch con le ultime sopravvivenze catare nell’Italia Settentrionale e nei Balcani — alla cui luce interpreta il viaggio a Venezia del pittore olandese nel 1500 — rimangono però congetture, ipotesi ancora in attesa di prova. Non sempre, inoltre, la Harris distingue rigorosamente — come suggerisce di fare la storiografia catara più recente, per esempio la sintesi di Anne Brenon del 1996 (4) — fra dualismo manicheo e dualismo cristiano — docetista — cataro. Per credere a un Bosch cataro vi è forse bisogno di attendere ulteriori riscontri. Più convincente appare il collegamento fra Bosch e un più vago milieu gnostico, non necessariamente cataro, di cui si conoscono numerose manifestazioni fra la fine del Medioevo e l’epoca della Riforma. Forse il pittore olandese non ha consapevolmente nascosto nei suoi dipinti una Bibbia catara, come vorrebbe la Harris. Ma certo molti suoi riferimenti, che sembrano più di semplici allusioni, rivelano una presenza insieme antica e nuova di fermenti gnostici agli inizi dell’epoca moderna e confermano che l’arte — come oggi la letteratura o il cinema — può insieme rivelare e trasmettere le tensioni nascoste e profonde che attraversano ogni epoca di transizione e di crisi.
Massimo Introvigne
* Articolo anticipato, senza note e con il titolo redazionale Bosch, ultimo “cataro”, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, anno XXX, n. 102, 30-4-1997, p. 18.
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(1) Cfr. Lynda Harris, The Secret Heresy of Hyeronimus Bosch, Floris Books, Edimburgo 1995.
(2) Cfr. Mark Richard Barna, Hyeronimus Bosch, Secret Cathar, in Gnosis. A Journal of the Western Inner Traditions, n. 42, inverno 1997, pp. 68-69.
(3) Cfr. Wilhelm Fraenger, The Millennium of Hyeronimus Bosch. Outlines of a New Interpretation, ed. ingl., Hacker Art Books, New York 1976.
(4) Cfr. Anne Brenon, Les Cathares. Vie et mort d’une Eglise chrétienne, Jacques Grancher, Parigi 1996.