Nel dicembre del 1988, S.E. il cardinale Paulo Evaristo Arns, arcivescovo di San Paolo in Brasile, in occasione del trentesimo anniversario della Rivoluzione socialcomunista a Cuba, inviava un messaggio gratulatorio al despota comunista cubano Fidel Castro Ruz, messaggio che veniva pubblicato sull’organo del partito comunista caraibico Granma all’inizio di gennaio del 1989, quindi aveva ripercussioni in tutto il mondo (cfr. Cuba può sentirsi orgogliosa di essere un esempio di giustizia sociale, in Cristianità, anno XVII, n. 170, giugno 1989). In marzo, un qualificato gruppo di esponenti della diaspora cubana, chiamati a raccolta dall’associazione Cubanos Desterrados, denunciava argomentatamente la scandalosa presa di posizione del porporato brasiliano (cfr. Eminenza, anche Cuba è una “vergogna del nostro tempo”, ibidem). L’11 maggio 1989, sul Diario Las Américas, quotidiano in lingua spagnola di Miami, negli Stati Uniti, compariva una lettera aperta datata 9 maggio e indirizzata allo stesso cardinale da tre vescovi cubani, S.E. mons. Eduardo Boza Masvidal, già ausiliare de L’Avana e oggi di Los Teques, in Venezuela, S.E. mons. Augustín Román, ausiliare di Miami, e mons. Enrique San Pedro S.J., ausiliare di Galveston-Houston, sempre negli Stati Uniti. La traduzione dallo spagnolo è redazionale e il titolo quello con cui il documento è comparso sul quotidiano statunitense.
9 maggio 1989
Eminentissimo Signor Cardinale
Paulo Evaristo Arns O.F.M.
Arcivescovo di San Paolo, Brasile
Eminentissimo Signor Cardinale Arns,
Ci rivolgiamo a Vostra Eminenza in forma pubblica per due ragioni principali: in primo luogo perché il motivo che ci spinge a scrivere questa lettera è di natura pubblica, essendo stato reso noto dalla stampa nazionale e internazionale, e in secondo luogo perché, avendole scritto preventivamente in forma privata, dopo aver atteso un ragionevole lasso di tempo, non abbiamo ricevuto risposta. Le nostre precedenti lettere a Vostra Eminenza sono datate 16 gennaio (Mons. Boza Masvidal) e 27 febbraio (Mons. Román e Mons. San Pedro) del corrente anno.
L’obbiettivo di questa lettera è il suo messaggio natalizio al Signor Castro, dittatore a vita di Cuba, in occasione del trentesimo anniversario della presa del potere. Non stiamo a ripetere quanto le abbiamo detto nella nostra corrispondenza privata anche se ci permettiamo di fare un riassunto dei punti principali che in essa abbiamo toccato.
Le dicevamo che sarebbe molto lungo esporre completamente la situazione del paese quanto a discriminazione, a mancanza di libertà religiosa, e così via, indicavamo il carattere discutibile delle conquiste e dei risultati perché, da un lato, vengono raggiunti a un prezzo morale e spirituale troppo elevato e, dall’altro, perché sono molto relativi (lettera di Mons. Boza Masvidal)
Le ricordavamo anche che Cuba, da trent’anni a questa parte, subisce una dittatura militare crudele e repressiva in uno Stato poliziesco che viola e sopprime continuamente e istituzionalmente i diritti fondamentali della persona umana. E, fra altre prove di questa situazione, ricordavamo le avventure militari del castrismo, che sono costate milioni di dollari al popolo cubano e migliaia di vittime alla sua gioventù (lettera di Mons. Román e di Mons. San Pedro).
Sarebbe molto lungo commentare punto per punto tutte le sue affermazioni nel citato messaggio, ma riteniamo necessario segnalare quelle più fuori dal comune. Vostra Eminenza ritiene che “oggi Cuba si può sentire orgogliosa di essere nel nostro continente, così impoverito dal debito internazionale, un esempio di giustizia sociale”. Non vogliamo farle dire quello che non dice, ma, leggendo questa frase, si potrebbe pensare che Cuba non sia impoverita dal debito estero come il resto del continente. Siamo certi che Vostra Eminenza sa che Cuba ha un enorme debito estero non soltanto con i paesi occidentali, ma anche con i paesi comunisti; secondo gli ultimi dati a nostra disposizione questo debito si aggira approssimativamente attorno alla cifra di cinquemilacinquecento milioni di dollari.
Quanto alla giustizia sociale di cui Vostra Eminenza afferma essere Cuba un esempio nel nostro continente, desideriamo ricordarle che, mentre un numero abbastanza ridotto di gerarchi del governo gode di tutte le comodità della vita, il popolo si va riducendo a livello di sopravvivenza. Eminenza, qualcuno di noi è stato, in un recente passato, a Cuba, non per discutere con “il Comandante” su come cucinare gamberi e aragoste (cfr. Fidel e a Religião. Conversas com Frei Betto, pp. 28-29, 33-34 [1]), ma per vivere con il nostro popolo e per condividere con esso la sua difficoltà e il suo dolore.
Siamo certi che Vostra Eminenza non desidera per il suo amato Brasile una situazione in cui un numero ridottissimo detenga in modo irreversibile tutto il potere politico ed economico, del quale abusa a proprio vantaggio e per restare al potere, mentre il popolo in genere è mantenuto in una condizione di sottomissione totale equivalente a uno stato minorile. Di grazia, Signor Cardinale, chieda ai suoi amici che visitano Cuba e che sono in confidenza con gli esponenti della dittatura, se hanno mai visto qualcuno di loro fare pazientemente la coda con la tessera del razionamento in mano per poter comperare una libbra di carne ogni nove giorni o due camicie all’anno, come il rimanente della popolazione.
Poi Vostra Eminenza dice che “la fede cristiana scopre nelle conquiste della Rivoluzione i segni del Regno di Dio che si manifesta nei nostri cuori e nelle strutture, che permettono di fare della convivenza politica un’opera d’amore”. Non sappiamo perché, ma, leggendo queste frasi, ci vengono in mente quelle altre di Paolo VI, nelle quali afferma che “la Chiesa … rifiuta di sostituire l’annuncio del Regno con la proclamazione delle liberazioni umane, e sostiene che anche il suo contributo alla liberazione è incompleto se trascura di annunziare la salvezza in Gesù Cristo. [Essa] … non identifica giammai liberazione umana e salvezza , perché sa … che non basta instaurare la liberazione, creare il benessere e lo sviluppo, perché venga il Regno di Dio” (Evangelii nuntiandi, nn. 34 e 35).
D’altra parte, affermare che le strutture vigenti a Cuba “permettono di fare della convivenza politica un’opera d’amore” significa disconoscere completamente la realtà cubana. Se le cose stessero come dice Vostra Eminenza, perché si deve giudicare un crimine il tentativo di fuga da questa “convivenza politica”, che viene qualificata nella stessa occasione come “opera d’amore”? Perché un paese come Cuba, che aveva un’emigrazione bassissima, ha visto, durante i trent’anni della dittatura castrista, un milione di suoi cittadini abbandonare il paese? Perché, nel breve lasso di cinque mesi, nel 1980, centoventicinquemila persone si sono gettate sulle coste della Florida in un esodo incontrollabile? Cosa dovremmo pensare, Signor Cardinale, se in cinque mesi un milione e centomila brasiliani cercassero rifugio in Cile?
Signor Cardinale, pensiamo che sia vittima della sua bontà e del suo buon cuore. Vostra Eminenza conosce Cuba solamente attraverso la testimonianza di altre persone di sua fiducia. Non tocca a noi esprimere in questa sede un’opinione sull’intenzione di queste persone o sull’informazione che loro stesse possono avere, o sul fatto che possano essere anch’esse a conoscenza del sorprendente silenzio di Vostra Eminenza relativamente alla nostra profferta fraterna, in quanto fratelli nell’episcopato, di presentarle altri aspetti della situazione di Cuba che, a quanto pare, Vostra Eminenza ignora.
Uno degli aspetti che potrebbe costituire per Vostra Eminenza fonte di preoccupazione è la mancanza di libertà religiosa, che a Cuba tocca soprattutto i cattolici. Questa mancanza di libertà, di cui potremmo fornire particolari a Vostra Eminenza quando volesse, si riflette tragicamente nelle statistiche religiose: Cuba è l’unico paese fra quelli dei Caraibi e probabilmente, in genere, dell’America Latina, che negli ultimi trent’anni ha visto diminuire in cifre assolute il numero di cattolici, sacerdoti, religiosi e seminaristi, così come l’assistenza alla Messa domenicale.
La recente polemica, suscitata dal suo messaggio natalizio, è una prova evidente di quanto stiamo dicendo. Vostra Eminenza ha potuto rispondere e fare tutte le dichiarazioni pubbliche che ha creduto opportuno fare, tanto nella sua patria quanto all’estero. Per quel che sappiamo, da parte loro i vescovi di Cuba hanno mantenuto il loro consueto silenzio. La stampa le ha attribuito l’affermazione che il messaggio, che intendeva essere confidenziale e privato, è stato reso pubblico soltanto dopo che il Signor Arcivescovo de L’Avana ha dato il suo assenso. Dalla testimonianza di persone assolutamente fededegne ci consta che questa affermazione non corrisponde ai fatti. Eminenza, non dubitiamo della sua veridicità, ma pensiamo che una volta di più sia stato vittima della sua fiducia e della sua credulità, confidando in terze persone.
A proposito della libertà religiosa, osiamo ancora una volta citare l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: “Da questa giusta liberazione legata all’evangelizzazione, che mira a ottenere strutture salvaguardanti le libertà umane, non può essere separata l’assicurazione di tutti i fondamentali diritti dell’uomo, fra i quali la libertà religiosa occupa un posto di primaria importanza” (Evangelii nuntiandi, n. 39).
Vogliamo concludere reiterandole il desiderio che esprimevamo nella nostra corrispondenza privata: “Dio voglia che il suo paese non debba mai passare attraverso la tragica esperienza che noi stiamo attraversando”.
Signor Cardinale, Pace e Bene
Mons. Eduardo Boza Masvidal
Vescovo a Los Teques
Mons Augustín Román
Vescovo Ausiliare di Miami
Mons. Enrique San Pedro S.J.
Vescovo Ausiliare di Galveston- Houston
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(1) Cfr. Fidel Castro: la mia fede. Cristianesimo e Rivoluzione in un’intervista con Frei Betto, trad. it., Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1986, pp. 18-19 e 21-22 (n.d.r.).