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L’ultima sentenza di Giuliano Amato

14 Settembre 2022 - Autore: Domenico Airoma

Giuliano Amato

Nel discorso di commiato dalla Corte Costituzionale, il presidente uscente Giuliano Amato lancia un allarme: l’Italia rischia il caos istituzionale, e non a causa di Giorgia Meloni

di Domenico Airoma

Giuliano Amato lascia la Corte Costituzionale e lo fa pronunciando un discorso che difficilmente rimarrà archiviato nello stanco cerimoniale della Consulta. «Non è un testamento», ha precisato, ma «una pagina di un diario di bordo». Il tono e il giudizio sembrano, tuttavia, quelli propri di una sentenza.

Qual è il fatto che è – o, per meglio dire, che è stato – sotto i suoi occhi lungo questi mesi da presidente dell’organo chiamato a giudicare della conformità alla Costituzione delle leggi? Una conflittualità generalizzata, che ha una sua precisa causa: l’assenza di soluzioni condivise su temi e valori identitari. Il frutto ultimo di un relativismo portato fin dentro i principi costitutivi di ogni consorzio civile, nell’essenza stessa dell’umano, sta espandendo le sue tossine, mettendo gli uni contro gli altri, dai singoli fino alle nazioni.

Tale conflittualità fatta sistema, osserva Giuliano Amato, «dà attualità alla domanda su chi abbia l’ultima parola»,su chi debba decidere quali principi e quali valori debbano prevalere, decretando l’immoralità di quelli soccombenti, dal momento che di fronte a un grave e ripetuto conflitto fra istituzioni deve esserci qualcuno che decida chi è il vincitore e chi è destinato a perdere, perché non si tratta di una partita di calcio, ma di un importante equilibrio fra poteri da garantire. Sempre più frequentemente, confessa l’ex-presidente, «i casi davanti a noi ci portano spesso sul crinale, che separa la nostra giurisdizione dalle scelte che competono al Parlamento». Ed è un crinale sul quale il rischio di perdere l’equilibrio è assai concreto, essendo rimesso al senso del limite dei giudici. Ed è proprio questo il punto sul quale Giuliano Amato lancia l’allarme più forte, giungendo a individuare nel giudice che si fa legislatore il rischio di un vero e proprio caos istituzionale: «(…) le difficoltà decisionali del Parlamento (…) cominciano a dar fiato a tesi che ritenevo ormai sepolte sulla giurisprudenza come fonte del diritto al pari della legislazione e sulla legittimazione che ciò avrebbe nella previsione costituzionale secondo cui la giustizia è amministrata in  nome del popolo. Se c’è una strada che porta dalle situazioni innegabilmente difficili al caos istituzionale, questa è quella strada. No, la soluzione non è che ciascuno dei poteri profitti delle difficoltà altrui per fare ciò che gli pare giusto e che tuttavia tocca all’altro. L’esercizio responsabile e certo non timido del proprio potere è un dovere istituzionale. Ma con il rispetto del suo limite, che è parte irrinunciabile della rule of law, chiunque sia a non rispettarlo, l’esecutivo come il giudiziario». Un richiamo questo al significato più profondo dello Stato di diritto, che riguarda anche l’Unione Europea, non estranea a questo processo di sconfinamento.

Nulla di nuovo, si potrebbe dire. Cose già dette da altri osservatori. Ma a nessuno deve sfuggire che, questa volta, quel che conta, ancor prima di ciò che è stato detto, è il pulpito dal quale è stato lanciato l’allarme. Un allarme non generico, fondato su un’osservazione condotta da uno scranno assai particolare e concluso con un giudizio chiaro. C’è il rischio di un vero e proprio caos istituzionale, che non viene attribuito all’esito delle prossime consultazioni elettorali, ma a chi, pur non avendo alcuna legittimazione elettiva, pretende di decidere su questioni di vita e di morte.

Resta un ultimo dato, che emerge in controluce. Le parole di Giuliano Amato non paiono molto distanti da quelle utilizzate dalla Corte Suprema degli Stati Uniti quando, nel giugno scorso, ha deciso che non appartiene ai giudici introdurre un diritto all’aborto, ma ai parlamenti. Coetera desiderantur, certo. Forse, però, incominciano a darsi le condizioni perché anche chi desidera operare per ristabilire la verità sull’uomo abbia diritto di parola. Senza che vi sia un giudice a decretare che il caso è chiuso.

Mercoledì, 14 settembre 2022

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