di Oscar Sanguinetti
Venti anni or sono, alla vigilia di Pasqua, moriva Marzio Tremaglia: non era riuscito a sconfiggere il male che da molti mesi combatteva con coraggio. Era nato a Bergamo nel 1958 da Mirko, dirigente e parlamentare prima del Movimento Sociale-Destra Nazionale e poi di Alleanza Nazionale, scomparso nel 2011 ottantacinquenne. Marzio si era laureato in giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e aveva intrapreso la carriera di avvocato; era sposato con Loredana e padre di due figli. Fin dai primi anni della giovinezza aveva militato nei gruppi giovanili del partito e anch’egli era entrato nel gruppo dirigente del partito. Nel 1980, giovanissimo, era stato eletto consigliere comunale nella sua città, Bergamo, e riconfermato per due tornate successive. Dal 1995 alla morte, era stato deputato all’Assemblea della Regione Lombardia per Alleanza Nazionale e assessore alla Trasparenza e alla Cultura della giunta di Roberto Formigoni.
Giornalista e uomo di non comune cultura, nel suo ruolo istituzionale nelle illustri città della sua regione ha avviato riuscite iniziative — ricerche, mostre, pubblicazioni — finalizzate a valorizzare l’identità lombarda e, di rimando, l’identità italiana.
Con altri amici, ebbi modo di conoscerlo e di apprezzarlo come intelligente interlocutore e sponsor in una di queste occasioni, l’organizzazione nel 1999 — pochi mesi prima della sua scomparsa — di un convegno scientifico sulle insorgenze contro-rivoluzionarie in età napoleonica, che coinvolse le migliori forze della cultura non partitica di destra, fra cui l’Istituto per la Storia delle Insorgenze.
Stimato anche dagli avversari politici per il suo stile garbato ma non disgiunto da fermezza, Marzio Tremaglia è stato un esempio di quegli “uomini nuovi” che si sarebbe auspicato fiorissero più numerosi nelle file della destra nazionale italiana dopo il 1989: uomini e donne, cioè, fedeli alle tradizioni, ma che non vivessero di nostalgia, preferendo alla rievocazione — pur doverosa — l’attualizzazione dei principi di sempre in forme aggiornate in un mondo, come quello successivo al crollo del comunismo sovietico, che non era più quello dei padri. Era facile pronosticare per lui, se fosse vissuto, una luminosa carriera politica nel contesto, “sbloccato” per la destra nazionale, degli anni Duemila.
Ha lasciato scritto: «Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato ma necessita di dimensioni più alte e diverse. Penso che l’apertura al sacro e al bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione etica della vita che si riassume nel senso dell’onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà».
Sabato, 25 aprile 2020