di Alessandro Massobrio (1950-2007)
Maurice Barrès (1862-1923)
1. L’esordio letterario
Maurice Barrès nasce a Charmes-sur-Moselle, in Lorena (Francia), nel 1862. La famiglia appartiene all’agiata borghesia locale, una borghesia di frontiera, costantemente contesa fra la tradizione francese e il mondo germanico, verso il quale nutre il disprezzo dell’antico romano nei confronti del barbaro invasore.
In questo clima, in cui contano molto le radici che uniscono il singolo alla piccola patria, il giovane Maurice ha il primo, doloroso impatto con la realtà assistendo, durante la guerra franco-prussiana (1870-1871), alla ritirata disordinata delle truppe francesi dopo la débâcle di Sedan, nelle Ardenne, nel 1870. Sono impressioni profonde, che segnano l’esistenza dello studente di Nancy e poi del giovane giornalista, che inizia a Parigi, nel 1883, la scalata al successo.
Barrès entra in contatto con gli scrittori che preparano la grande svolta della cultura del 1900: dall’italiano Gabriele D’Annunzio (1863-1938) al belga Maurice Maeterlinck (1862-1949), allo spagnolo Miguel de Unamuno (1864-1936). La sua formazione, anche se improntata al positivismo deterministico dello scrittore Émile Zola (1840-1902), dello storico, filosofo e critico Hippolyte Taine (1828-1893) e dello scrittore Ernest Renan (1832-1892), non sa sottrarsi al fascino dell’individualità d’eccezione, per la quale gli altri hanno valore solo e nella misura in cui sono utilizzabili come gradini per l’ascesa verso il potere o verso il successo.
Un egotismo estremo — segnato dall’influsso del filosofo tedesco Friederich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) — è alla base dei suoi primi romanzi, che confluiscono in una trilogia, dal significativo titolo Le Culte du Moi. Soprattutto nel primo dei tre romanzi, Sous l’oeil des barbares, del 1888 — gli altri due sono Un homme libre, del 1889, e Le jardin de Bérénice, del 1891 —, Barrès rivela che cosa rappresentino per lui, in questa fase della sua evoluzione culturale, i «barbari»: sono tutti coloro che si oppongono alla libera espansione dell’io, definito come «il modo in cui il nostro organismo reagisce alle eccitazioni dell’ambiente e sotto il contrastare dei barbari».
2. L’attività politica
Nel 1886 aderisce al partito boulangista, una formazione guidata dal generale a riposo Georges Boulanger (1837-1891), che rivendica alla Francia i territori irredenti — Alsazia e Lorena —, predica una politica aggressiva nei confronti della Germania e critica il parlamentarismo democratico in nome di un governo forte e autoritario. Il boulangismo si rivela subito, a somiglianza del fascismo delle origini, come una formazione eterogenea, che si fa portavoce, appunto, di un «fascio» di rivendicazioni diverse e spesso contraddittorie.
Eletto per la prima volta deputato nel 1889, Barrès si colloca alla sinistra del movimento, portando avanti con innegabile coerenza un programma di riforme sociali, che prevede l’incondizionato appoggio alle rivendicazioni operaie, fra le quali la soppressione del lavoro notturno dei fanciulli.
Modelli politici e ideali dello scrittore diventano in questo periodo il poeta e romanziere Victor Hugo (1802-1885) e lo storico Jules Michelet (1798-1874), autori d’impostazione democratica e repubblicana, i quali pongono i presupposti del loro impegno politico nella Rivoluzione del 1789, che neppure Barrès rinnegherà mai, considerandola una chiave di volta dello spirito nazionale francese. Questa concezione costituirà una delle discriminanti maggiori fra il pensiero dello stesso Barrès e quello di Charles Maurras (1868-1952), il fondatore del movimento Action Française, che, per tanti versi, si può considerare come il continuatore del nazionalismo barresiano.
Seguono anni di viaggi lungo le rotte del Mediterraneo e di vagabondaggi sui luoghi della memoria dell’intero Occidente, in Italia, in Spagna, in Grecia e in Egitto. A parte la Grecia, il cui classicismo sente estraneo al suo spirito decadente, egli trae dalla permanenza nelle singole nazioni la convinzione che il «sangue» e la «terra» orientino in maniera determinante il progresso storico dei singoli popoli. Ogni uomo è un albero, che affonda le proprie radici anche nell’eredità degli antenati, e ciascuno di noi è il prodotto di una serie di stratificazioni biologico-spirituali, che costituiscono il suo DNA individuale, profondamente inserito nel proprio contesto storico-sociale. Gli stranieri, gli apolidi e gli ebrei costituiscono, perciò, corpi estranei, che la nazione deve rigettare.
Questo è il nocciolo dottrinale soggiacente a romanzi come Du Sang, de la Volupté, de la Mort, che esce nel 1894, lo stesso anno del dannunziano Il trionfo della Morte, un romanzo in cui, con una espressione cara al critico Mario Praz (1896-1982), l’«algolagnia», il gusto quasi sadico della sofferenza, così comune in tanti scrittori decadenti, fa dire al protagonista nei riguardi della donna amata: «O mio bel garofano, quanto ti amo così insanguinata! E quanto ti desidero sotto quel pallore e quel sanguigno della morte».
3. Il nazionalismo
Il 1894 è anche l’anno in cui divampa in Francia l’affaire Dreyfus — da Alfred Dreyfus (1859-1935), ufficiale di origine ebraica condannato alla degradazione e alla deportazione in Guyana per spionaggio a favore della Germania —, che divide l’intellighenzia francese in due partiti. Barrès, senza del tutto rinnegare le idee sociali d’un tempo, si ritrova nel campo degli anti-dreyfusardi, sospintovi dallo spettro della decadenza della nazione, il cui tramonto si preannuncia attraverso una serie di fenomeni sociali e politici, che solo un innamorato della piccola patria, la Lorena, e della grande patria, la Francia, sa percepire. Barrès enumera questi sintomi con precisione: il calo demografico, gli squilibri determinati dall’ipertrofia delle grandi città, lo spopolamento delle campagne, l’incapacità della classe dirigente di adeguarsi a una realtà dominata da solidi complessi statali. Ma ciò che soprattutto angoscia lo scrittore è la progressiva ascesa della Germania, l’eterna nemica, l’impero nato e strutturatosi intorno allo «zoccolo» prussiano, così lontano dalla «renanità», impregnata di spirito romano e cattolico. Barrès non giunge, come Maurras, a individuare nella cultura tedesca l’humus da cui hanno origine le rivoluzioni, ma avverte l’abisso che separa il mondo neolatino dal mondo germanico. E Dreyfus, ebreo al servizio del tedesco, è visto come la longa manus delle forze disgregatrici, che iniettano veleni nel tessuto della nazione.
Da questo momento l’attività letteraria di Barrès è tutta a sfondo politico, dagli articoli scritti per la rivista La Cocarde (1894-1895) al romanzo L’Énergie nationale — una trilogia, che comprende titoli significativi: Les déracinés, del 1897, L’appel au soldat, del 1900, e Leurs figures, del 1902 —, fino al romanzo La colline inspirée, del 1913, forse il capolavoro dell’intera produzione barresiana.
I déracinés sono gli «sradicati», coloro che la modernità ha sottratto al contatto vivificante con il sangue e con il suolo, intellettuali educati alle elucubrazioni metafisiche della filosofia di Immanuel Kant (1724-1804), che hanno perduto il sano realismo innato nello spirito latino. Ne è esempio il professor Bouteiller — sotto i tratti del quale Barrès ha voluto rappresentare Auguste Burdeau (1851-1894), il suo insegnante di filosofia al liceo di Nancy —, che con le sue lezioni ha reciso le radici spirituali dei suoi allievi, trascinandone uno addirittura sulla ghigliottina.
Il secondo episodio del ciclo è costituito da L’appel au soldat, incentrato sull’imbarazzante figura del generale Boulanger, fondatore di un partito nazionalista in cui Barrès aveva riposto tante speranze, ma che ha fallito miseramente il suo compito, perché la sua azione è stata ispirata solo dalle circostanze, senza una strategia e senza una dottrina politica.
Nel 1902 Barrès dà alle stampe le Scènes et Doctrine du Nationalisme, che uno dei suoi maggiori studiosi, l’israeliano Zeev Sternhell, ha ritenuto, insieme con altre opere dell’immediato dopoguerra — come Les diverses familles spirituelles de la France, del 1917, e Mes cahiers, ricordi scritti fra il 1896 e il 1923 —, l’architrave su cui la destra francese ha edificato negli anni successivi il suo edificio ideologico. Il pensiero di Barrès, a giudizio dello studioso del pensiero politico Dino Cofrancesco, fa di lui più un antenato di Charles De Gaulle (1890-1970) che di Benito Mussolini (1883-1945), soprattutto per la violenta polemica contro la partitocrazia e il parlamentarismo; per il deciso populismo, che si oppone alle occulte interferenze nella vita delle nazioni della grande finanza senza volto; il radicale nativismo, in nome del quale lo scrittore si fa portavoce di quella manodopera francese che rischia di vedersi privata del posto di lavoro a beneficio degl’immigrati, disposti, in nome del salario assicurato, a rinunciare ai propri diritti sindacali.
In questo scenario non manca l’antisemitismo, che ricompare in Leurs Figures, l’ultimo romanzo della trilogia L’Énergie nationale, ma il j’accuse di Barrès è soprattutto rivolto contro il sionismo mondialistico, non certo contro la piccola e media borghesia di origine ebraica, che spesso si è radicata nel tessuto sociale francese più e meglio degli stessi nativi. In realtà, Leurs figures si caratterizza come un grandioso affresco della decadenza della vita politica della Terza Repubblica al tempo dello scandalo di Panama, che, nel 1889, travolge in un clamoroso fallimento non soltanto la Compagnia di Panama, creata da Ferdinand Lesseps (1805-1894) per il taglio dell’istmo, ma anche l’intera classe parlamentare francese, legata a inconfessabili interessi affaristici.
4. La conversione
A questo punto della sua evoluzione politica ed esistenziale Barrès incontra il cattolicesimo. La fede di san Luigi IX (1215-1270) e di santa Giovanna d’Arco (1412-1431) aveva costituito, nel corso dei secoli, l’autentica eredità spirituale che i morti avevano trasmesso ai vivi, che se n’erano serviti come di una linfa preziosa, innanzi alla quale la barbarie era arretrata, come la notte al sorgere del sole. Esistono dubbi sulla conversione di questo esteta, che per tutta la giovinezza aveva cercato la voluttà rara e la morte eroica, quasi che il cattolicesimo di Barrès costituisca un capitolo necessario della sua dottrina politica. Certo è che l’ultimo Barrès, quello profondamente toccato negli affetti più intimi dal suicidio del nipote Charles Demange (1884-1909), nel 1906, trova proprio nella fede la risposta a quegl’interrogativi esistenziali che la passione politica aveva soffocato. Inoltre, il suicidio del nipote — giovane poeta, al quale si stavano schiudendo le porte della celebrità letteraria, morto per amore di una donna fatale e straniera, Anna de Noailles (1876-1933), di origine valacca, che, dopo aver tentato inutilmente di legare a sé per sempre lo zio, si vendica, seducendo e spingendo alla morte il nipote — rafforza nello scrittore l’avversione per tutto quanto è estraneo alla Francia, che tenta di contaminare con i suoi veleni.
Barrès si trasforma in infaticabile propagandista della revanche anti-tedesca, che prenderà corpo con il primo conflitto mondiale (1914-1918). Pubblica un’altra epopea romanzesca, un dittico dal titolo significativo, Les bastions de l’Est (1905-1909), che si configura come una letteratura di difesa, fatta di bastioni e di casematte, contro la minaccia dei nuovi barbari che giungono dall’Oriente. Allo scoppio delle ostilità percorre instancabilmente il fronte, scrivendo le Cronique de la Grande Guerre (1914-1918), che concorrono a completare il ritratto di questo egotista, passato dal culto di sé a quello della nazione.
Muore a Parigi nel 1923.
Alessandro Massobrio (1950-2007)
26 ottobre 2018
Per approfondire: Maurice Barrès, Morte a Venezia, trad. it., Novecento, Palermo 1985; idem, Il Greco o il segreto di Toledo, trad. it., Viscontea, Pavia 1989; Marie-Claire Bancquart, Maurice Barrès, dall’egotismo al nazionalismo, in Storia della letteratura francese, Garzanti, Milano 1985, vol. III, pp. 46-50; e Bruno Brunotti, Maurice Barrès, in I contemporanei. Letteratura Francese, Lucarini, Roma 1976, pp. 292-307.
Cofrancesco 1958. Dino, voce Barrès, in Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, Torino, vol. II, p. 194.
Nolte 1971. Ernst (1923-2016), I tre volti del fascismo, trad. it., Mondadori, Milano.
Sternhell 1997. Zeev, La destra rivoluzionaria, trad. it., Corbaccio, Milano.
Praz 1966. Mario (1896-1982), La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze, pp. 335-336 e pp. 348-354.