Sulla tanto vituperata omelia tenuta da don Andrea Leonesi, vicario della diocesi di Macerata, che ha osato sfidare in pubblico i tabù del politicamente corretto.
di Domenico Airoma
Torno sulla tanto vituperata omelia tenuta da don Andrea Leonesi, vicario della diocesi di Macerata, nel corso della quale, parlando agli universitari della FUCI, il sacerdote ha stigmatizzato la mentalità imperante, che considera una battaglia moralmente e socialmente ineludibile quella contro la pedofilia e non altrettanto quella per garantire ad ogni donna il diritto a non abortire.
Da più parti, e fra tanti che hanno a cuore la difesa della vita, si è – giustamente – fatto notare che fra la pedofilia, cioè l’abuso del bambino, e l’aborto, che il bimbo lo uccide, vi è una oggettiva gerarchia di gravità. Non occorre spendere molte parole per argomentare ciò che è evidente, né per ribadire l’infamante disumanità dell’atto pedofilo: basterebbe ricordare quel che Nostro Signore ha detto a proposito di chi scandalizza i fanciulli, da sanzionare con macina al collo e precipitazione in mare.
Né mi sembra giusto infilarsi nel vicolo cieco proposto dal politicamente corretto, secondo il quale sarebbe meglio impegnarsi contro la pedofilia, lasciando perdere le questioni in tema di difesa della vita, che aprono le porte alla morte sociale e politica, oltre che morale a coloro che le sostengono. Meglio rossi che morti non è mai stata una prospettiva entusiasmante, soprattutto per chi è stato educato a temere chi uccide l’anima più che il corpo.
La questione che mi pare rilevante è un’altra. Ed attiene alle ragioni per le quali l’omelia di don Andrea ha scandalizzato. La realtà è che egli ha trattato in pubblico il tema dell’aborto con la pretesa di farne un discorso pubblico. E ciò non è consentito, perché è essenzialmente eversivo dell’ordine relativistico imperante. Don Andrea si è permesso non solo di mettere sullo stesso piano aborto e pedofilia (ed i rispettivi protagonisti): egli si è spinto fino a criticare la mentalità sottesa alla rimozione della questione dell’aborto dalla scena pubblica; ha preteso, in buona sostanza, di fare un discorso non più solo confessionale.
Don Andrea, perciò, va difeso non richiamando – a sua giustificazione – il contesto in cui ha pronunciato quelle parole, ovvero quello di un’omelia, perché questo significherebbe accettare come dato indiscutibile il fatto che di certe questioni non si possa più parlare in pubblico, da uomini, prima ancora che da credenti.
Don Andrea va difeso semplicemente ribadendo ad alta voce la verità, e cioè che la pedofilia è senza dubbio un crimine orrendo, che merita la più severa fra le sanzioni, ma l’aborto resta un omicidio.
Don Andrea va difeso ribadendo che la difesa della vita umana innocente, dal suo concepimento fino alla morte naturale, deve trovare riconoscimento anche nelle leggi e nelle istituzioni, come meritoriamente è stato fatto in Polonia.
E se questo dovesse costare la morte sociale, non importa. Perché sarebbe una morte decretata da una società morente.
Sabato, 7 novembre 2020