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Mons. Enrico Assi, vescovo di Cremona, I cristiani e la città, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985, pp. 24, L. 2.000

25 Ottobre 1985 - Autore: Marco Invernizzi

Marco Invernizzi, Cristianità n. 126 (1985)

 

Mons. Enrico Assi, vescovo di Cremona, I cristiani e la città, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985, pp. 24, L. 2.000

 

Monsignor Enrico Assi, dal 1983 vescovo di Cremona, è nato a Vimercate, in Brianza, il 19 luglio 1919. Ha compiuto gli studi sacerdotali nel seminario di Venegono, in diocesi di Milano, e in questa stessa città si è laureato in Lettere. Ordinato sacerdote nel 1943 dal cardinale Ildefonso Schuster, è stato assistente diocesano della gioventù femminile di Azione Cattolica, poi prevosto di Lecco, quindi vescovo ausiliare di Milano dal 1976 fino al trasferimento a Cremona.

Nell’anno stesso del suo insediamento alla guida della diocesi di Cremona e l’anno seguente ha voluto commemorare personalmente, il 13 novembre, la festa del patrono della città, sant’Omobono. Le due omelie pronunciate in quelle giornate sono state raccolte e pubblicate in un volumetto, I cristiani e la città, della collana di documenti pastorali Euntes, docete diretta dal cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna.

Cremona ha come patrono un santo laico vissuto nel secolo XII. Commerciante come il padre, «pose il suo impegno e la sua diligenza nell’attendere al fondaco e al commercio. Esperimentò tutte le difficoltà che sono proprie di una ditta commerciale: affrontare un pubblico nel quale non mancavano clienti avari e sospettosi, compilare i libri della contabilità, trattare con avvedutezza le compere, incrementare con discrezione e onestà le vendite». Ma Omobono sapeva «che il cuore dell’uomo non è stato costruito per placarsi nelle cose. L’uomo ha bisogno di un Altro», e per questo «ebbe una profonda, incontentabile affezione a Cristo». «Non avendo figli secondo la carne, non volle rimanere senza figli secondo lo spirito», e «la sua bottega divenne centro di irradiazione, di edificazione spirituale, di apostolato».

Sant’Omobono è stato anzitutto testimone di santità con la sua vita, «insegnando come, nell’ambito della famiglia, il cristiano vive e attua la salvezza mediante la croce», «dimostrando come le incomprensioni, anche se prolungate al limite della ostilità, non bastano ad annullare un patto di amore consacrato da Cristo nel segno sacramentale».

Proprio perché testimone di santità, sant’Omobono non si limita agli interessi familiari e professionali, ma «si getta animosamente nella mischia per richiamare i cittadini, in nome di Dio, della ragione, delle ragioni del cuore, alla fratellanza, all’amore, alla pace»: così che oggi, «onorare sant’Omobono significa accogliere l’appello ad una santità laicale, come la sua».

Commemorando sant’Omobono, monsignor Enrico Assi indica prima di tutto la entusiasmante meta della chiamata universale alla santità, ricordando a questo proposito testi del Concilio Ecumenico Vaticano II e del nuovo Codice di Diritto Canonico, e non dimenticando di denunciare i pregiudizi correnti che vengono opposti al perseguimento di un tale ideale: «Si levano anche in questi momenti voci né nuove né originali che ripetono un antico pregiudizio: “I cristiani in sacrestia”. I cristiani sarebbero abilitati ad andare a Messa, a patto che non si interessino della famiglia, della cultura, delle istituzioni della società, degli ordinamenti sociali e politici».

Le parole del vescovo di Cremona hanno il merito di non essere tanto generiche e lontane dai problemi reali da apparire inutili, agli ascoltatori e ai lettori, perché astratte e inconcludenti: egli non rinuncia a sollevare «il velo sul dramma dell’aborto, del divorzio, delle separazioni coniugali, sui tristi fenomeni della indifferenza religiosa, della permissività morale, dell’individualismo diffuso e accettato, delle situazioni di conflittualità e di divisione tra persone e gruppi», cioè su alcuni dei mali che colpiscono la nostra nazione dopo l’affermazione di ideologie laiciste e anticristiane e dei conseguenti modi di vita, siano essi riconducibili al socialcomunismo o al radicalsocialismo.

Ma vi è qualcosa di ancora più incisivo e coraggioso nelle parole di monsignor Enrico Assi, quando ricorda come il male incombente sulla presenza cattolica nella nostra nazione non sia un male astratto, ma precisamente riconducibile a «un disegno» favorito e promosso dalla libera volontà di forze umane: «Anche se si andasse ipotizzando in Italia un disegno, da parte di forze economiche, culturali e politiche, di emarginare la Chiesa, di delegittimare la presenza dei cristiani nell’impegno sociale, di ricacciare i cattolici nel privato o in sagrestia, come si trattasse di cittadini di seconda categoria, la Chiesa, per nulla intimorita da una manovra che si rivelerebbe meschina e ingiusta, nulla tralascerebbe per prendere più chiara e profonda coscienza della identità, per riaffermare il primato della fede e della sua missione evangelizzatrice; per offrire alla società l’annuncio della sua speranza e i segni concreti del suo servizio ai fratelli, soprattutto agli ultimi, e la sua collaborazione per costruire la città nuova, fraterna, riconciliata, pacifica e solidale».

In un tempo in cui «la Chiesa vive la passione di questo momento confuso, violento e pericoloso», un vescovo ricorda a tutti i cattolici che «non possono pensare che la vita cristiana debba affermare la sua originalità soltanto nell’ambito della coscienza e non debba intervenire a determinare, con il suo peso, le scelte culturali e sociali, le leggi e gli ordinamenti, la vita sociale e il costume, come se la fede non avesse rilevanza. La fede è forza, è dinamismo, è profezia: è contestazione delle strutture economiche e politiche che perpetuano l’ingiustizia, delle culture che defraudano l’uomo della fede». E lo fa attraverso il ricordo di sant’Omobono, santo laico vissuto in una civiltà cristiana, perché ci aiuti a riportare la pace di Cristo alla nostra società secolarizzata, perché «faccia di noi tutti uomini di pace, costruttori della pace e dei suoi fondamenti essenziali: la verità, la giustizia, la libertà e l’amore».

Marco Invernizzi

 

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