di Oscar Sanguinetti
Il Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini (1891-1960), nato a Roma nel 1945, fu un movimento di protesta contro lo strapotere dello Stato repubblicano ‒ che aveva conservato molto dello spazio assegnato allo Stato dal regime fascista ‒ nei confronti del cittadino e in specie del cittadino più debole. Il primo bersaglio di Giannini fu, in senso lato, la mancata epurazione repubblicana dei quadri del passato regime e la conservazione di tutte le strutture statalistiche che il totalitarismo “all’italiana” ‒ ma non per questo meno totalitarismo, almeno nelle intenzioni ‒ di Benito Mussolini (1883-1945) aveva creato nella società e nell’economia. Quindi il permanere, anche in regime repubblicano e democratico, specialmente a opera della classe dirigente e dirigista della Democrazia Cristiana ‒ una Democrazia Cristiana che godeva di consenso ampio già negli anni precedenti il successo del 1948 ‒, di uno Stato ancora più pesante in termini reali e ancor più vessatorio ‒ per allora ‒ nei confronti del cittadino e del contribuente.
Per questo fu un movimento, ancorché effimero ‒ durò solo tre-quattro anni ‒, non antipolitico ‒ e definirlo tale sarebbe riduttivo e anacronistico, perché la fiducia nella politica era allora ancora altissima ‒, ma di destra, espressione dei ceti medi, e di quella Destra assai lontana da quella presunta Destra “hegeliana” e conservatrice dello Stato liberale cui troppo spesso si associa l’aggettivo. Una Destra, cioè, autenticamente popolare, che rivendicava spazi di libertà concreta che lo Stato moderno nelle sue svariate versioni aveva confiscato a vantaggio di “libertà di carta” o di egualitarismi di marca socialista: un movimento radicale di massa antistatalista e, quindi, anticomunista, che purtroppo non trovò un leader politico all’altezza della situazione.
Il MoVimento 5 Stelle (M5S) sembra viceversa avere un DNA diverso e nasce dalla sfiducia di parte dell’elettorato di sinistra, quello erede del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista Italiano, nell’attuale classe dirigente del partito che di quella esperienza si presenta di fatto come l’erede, il Partito Democratico. Nasce infatti all’interno di un radicalismo di sinistra deluso dallo spostamento del partito idealmente di riferimento su paradigmi liberalsocialisti e su politiche a sostegno dei cosiddetti «poteri forti», che del resto connotano sempre più tutta la Sinistra politica e di governo. L’M5S ‒ senza negare l’attrazione che esercitano anche verso fasce minori di elettorato “di destra”, talmente esasperate da non andare più tanto per il sottile ‒ ha eroso una base assai distante dalla «pancia conservatrice del Paese» ‒, affascinandola con ricette antipolitiche ‒ queste sì ‒ a corto circuito, ispirate non di rado ad autentici deliri fantaideologici made in Casaleggio Associati, nonché con promesse di interventi statali ‒ questa è la differenza più evidente con il Qualunquismo di Giannini ‒ a forte contenuto classista, come il «reddito di cittadinanza» e altre follie del genere, che sono una manna dal cielo per fannulloni o per situazioni davvero gravi che da troppo tempo affliggono alcune aree del Paese, soprattutto il Mezzogiorno. Il successo dei “grillini” nelle elezioni politiche del 2018 in regioni tradizionalmente e disciplinatamente di sinistra come la Sardegna, dove i 5 Stelle hanno letteralmente “fatto il botto”, lo mostra ampiamente.
Dunque, tutto ciò premesso, pare alquanto fuori luogo istituire, come fa il politologo Ernesto Galli della Loggia, nell’articolo Il senso di un voto, pubblicato sul Corriere della Sera del 29 ottobre e anticipato online il giorno precedente, un’analogia forte tra Qualunquismo e M5S per pronosticare come fatale e imminente il tracollo ‒ anche se indizi in tal senso emergono dal voto regionale in Umbria ‒ del secondo così come fu rapido il crollo del primo nel 1948. Qualunquismo e “Grillismo” sono due esplosioni popolari apparentemente simili sul piano morfologico, ma in realtà assai diverse nelle motivazioni e nella base popolare; e anche se il trend del M5S è palesemente a scendere ‒ un trend tuttavia non di oggi, che la sua classe dirigente ha finora affrontato in maniera dilettantesca ‒, non è facile formulare previsioni sul suo futuro. Va anche tenuto conto che, nella rapida dissoluzione del partito di Giannini, contarono diversi fattori esterni: per esempio la “grande paura” dei ceti medi e cattolici del 1948, che il 18 aprile generò la maggioranza assoluta conquistata dalla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi (1881-1954) nelle elezioni politiche. Senza poi dimenticare quanto l’antiatlantismo e il terzaforzismo del leader qualunquista ‒ in un momento storico in cui incombeva come non mai la minaccia comunista pilotata da Mosca ‒ gli abbiano giocato contro.
Mercoledì, 30 ottobre 2019