Giovanni Paolo II, Cristianità n. 320 (2003)
Messaggio ai Venerati Fratelli Lubomyr Card. Husar, Arcivescovo Maggiore di Lviv degli Ucraini, e Marian Card. Jaworski, Arcivescovo di Lviv dei Latini, in occasione del 70° anniversario dell’holodomor (*), del 23-11-2003, nn. 1-5, in L’Osservatore Romano, 5-12-2003. Titolo e nota storica redazionali.
Il ricordo delle vicende drammatiche di un popolo, oltre che in se stesso doveroso, si rivela quanto mai utile per suscitare nelle nuove generazioni l’impegno a farsi, in ogni circostanza, vigili sentinelle del rispetto della dignità di ogni uomo. La preghiera di suffragio, inoltre, che da tale ricordo scaturisce, è per i credenti balsamo che lenisce il dolore ed efficace supplica al Dio dei viventi, affinché doni il riposo eterno a quanti sono stati ingiustamente privati del bene dell’esistenza. La doverosa memoria del passato acquista, infine, una valenza che travalica i confini di una nazione, raggiungendo gli altri popoli, che sono stati vittime di eventi ugualmente funesti e possono trarre conforto dalla condivisione.
Sono questi i sentimenti che il 70° anniversario delle tristi vicende dell’holodomor* ispira al mio animo: milioni di persone hanno subito una morte atroce per la nefasta efficacia di un’ideologia che, lungo tutto il XX secolo, ha causato sofferenze e lutti in molte parti del mondo. Per tale ragione […] intendo rendermi spiritualmente presente alle celebrazioni che si terranno nel ricordo delle innumerevoli vittime della grande carestia provocata in Ucraina durante il regime comunista. Si trattò di un disumano disegno attuato con fredda determinazione dai detentori del potere in quell’epoca.
[…] Le celebrazioni previste, destinate a rinsaldare il giusto amore per la Patria nel ricordo del sacrificio dei suoi figli, non sono rivolte contro altre Nazioni, ma intendono piuttosto ravvivare nell’animo di ciascuno il senso della dignità di ogni persona, a qualunque popolo essa appartenga.
Tornano alla mente le forti parole del mio predecessore il Papa Pio XI di v. m., il quale, riferendosi alle politiche dei governanti sovietici del tempo, distingueva nettamente tra governanti e sudditi e, mentre scagionava questi ultimi, denunciava apertamente le responsabilità del sistema “misconoscitore della vera origine della natura e del fine dello Stato, negatore dei diritti della persona umana, della sua dignità e libertà” (Lett. enc. Divini Redemptoris [18 marzo 1937], II: AAS 29 [1937], 77).
Come non pensare, a questo proposito, alla distruzione di tante famiglie, al dolore degli innumerevoli orfani, al dissesto dell’intera compagine sociale? Mentre mi sento vicino a quanti hanno patito per le conseguenze del triste dramma del 1933, desidero riaffermare la necessità di far memoria di quei fatti, per poter ripetere insieme, ancora una volta: Mai più! La consapevolezza delle aberrazioni passate si traduce in un costante stimolo a costruire un avvenire più a misura dell’uomo, contrastando ogni ideologia che profani la vita, la dignità, le giuste aspirazioni della persona.
L’esperienza di quella tragedia deve guidare oggi il sentire e l’operare del popolo ucraino verso prospettive di concordia e di cooperazione. Purtroppo, l’ideologia comunista ha contribuito ad approfondire le divisioni anche nell’ambito della vita sociale e religiosa. Occorre impegnarsi per una pacificazione sincera e fattiva: è in questo modo che possono essere adeguatamente onorate le vittime appartenenti all’intera famiglia ucraina.
Al sentimento del cristiano suffragio per quanti sono morti a causa di un dissennato disegno omicida si deve accompagnare la volontà di edificare una società dove il bene comune, la legge naturale, la giustizia per tutti e il diritto delle genti siano guide costanti per un efficace rinnovamento dei cuori e delle menti di quanti si onorano di appartenere al popolo ucraino. Così la memoria degli eventi passati diverrà fonte di ispirazione per la generazione presente e per quelle future.
Durante l’indimenticabile viaggio compiuto nella vostra Patria due anni orsono, accennando al luttuoso periodo vissuto dall’Ucraina settant’anni fa, ricordavo “gli anni terribili della dittatura sovietica e la durissima carestia degli inizi degli anni trenta, quando il vostro Paese, “granaio dell’Europa”, non riuscì più a sfamare i propri figli, che morirono a milioni” (Discorso ai rappresentanti della politica, della cultura, della scienza e dell’impresa nel Palazzo Presidenziale [23 giugno 2001], 3: Insegnamenti 24/1, 2001, 1268).
È da sperare che, con l’aiuto della grazia di Dio, le lezioni della storia aiutino a trovare solidi motivi di intesa, in vista di una costruttiva cooperazione, al fine di edificare insieme un Paese che si sviluppi in maniera armoniosa e pacifica ad ogni livello.
Raggiungere questo nobile scopo dipende in primo luogo dagli Ucraini, ai quali è affidata la custodia dell’eredità cristiana orientale e occidentale, e la responsabilità di saperla far pervenire ad una sintesi originale di cultura e di civiltà. Sta in questo lo specifico contributo che l’Ucraina è chiamata ad offrire all’edificazione di quella “casa comune europea” nella quale ogni popolo possa trovare conveniente accoglienza nel rispetto dei valori della propria identità.
[…] in questa circostanza così solenne come non riandare con la mente alla seminagione evangelica operata dai Santi Cirillo e Metodio? Come non ripensare con gratitudine alla testimonianza di San Vladimiro e della madre Sant’Olga, per mezzo dei quali Dio donò al vostro popolo la grazia del Battesimo e della vita nuova in Cristo? Con l’animo illuminato dal Vangelo, si può meglio comprendere come si debba amare la Patria per contribuire efficacemente al suo avanzamento sulla strada della cultura e della civiltà. L’appartenenza ad una stirpe deve accompagnarsi all’impegno di un generoso e gratuito scambio dei doni ricevuti in eredità dalle precedenti generazioni, al fine di edificare una società aperta all’incontro con altri popoli e altre tradizioni.
Mentre auspico che il popolo ucraino sappia guardare alle vicende della storia con occhi riconciliati, affido quanti ancora soffrono per le conseguenze di quei tristi fatti alle interiori consolazioni della Tuttasanta, Madre di Dio.
Nota storica:
(*) Holodomor, la “grande fame”: così è conosciuta in Ucraina l’immane carestia voluta, fra il 1932 e il 1933, dal governo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, all’epoca guidato da Josif Visarionoviã Džugašvili, detto Stalin (1879-1953).
In quegli anni, il regime sovietico decreta la requisizione di tutta la produzione agricola e delle derrate alimentari per piegare gli abitanti del paese alla politica della collettivizzazione forzata. In questo modo un paese agricolo, noto come il “granaio d’Europa”, viene messo in condizioni di non riuscire più a sfamare neppure i suoi abitanti, anzi, di “produrre” oltre sei milioni di morti per inedia, epidemie, cannibalismo e suicidi (cfr. Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek e Jean-Louis Margolin, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore e repressione, trad. it., Mondadori, Milano 2000, pp. 147-156).