Come si può agire nell’interesse esclusivo della nazione?
di Daniele Fazio
Nella “liturgia laica” d’inizio del nuovo governo si assiste al giuramento del Presidente del consiglio e dei nuovi ministri, innanzi al Presidente della Repubblica. La formula del giuramento è suggellata nella parte conclusiva dall’impegno ad operare nel solo interesse della nazione di cui si assume il ruolo di guida.
Ma cosa significa fare il “ministro”, a partire dal ruolo del primo di essi, che è rappresentato appunto dal Presidente del consiglio dei ministri? Mi piace richiamare a questo proposito quanto scrive il pensatore contro-rivoluzionario Louis de Bonald: «i ministri sono dunque più sudditi che non i sudditi stessi, poiché soggetti come sono a tutte le leggi comuni ai membri della stessa società, sono per di più soggetti alle leggi specifiche del loro ufficio».
Insomma, un ruolo di guida, ma con profonde responsabilità in relazione al bene comune che supera quelle stesse di un cittadino ordinario. La performance del popolo, o meglio della nazione, dipende infatti anche e soprattutto dall’esempio, lato sensu, delle guide politiche.
E qui giungiamo al secondo elemento scandito dal testo del giuramento, che caratterizza la missione ultima di chi lo pronuncia: agire esclusivamente per la nazione. Al di là delle precisazioni terminologiche importanti, che rimandano a visioni filosofiche e politiche diverse, se non opposte, attorno alle parole “patria”, “nazione”, “stato”, credo che il modo per agire nell’esclusivo interesse della nazione sia considerarla come “patria” e amarla.
L’amor patrio, al di là della sua perversione in nazionalismo, è fattore morale importante che dunque deve caratterizzare tutti gli appartenenti ad un popolo ma soprattutto chi ha vocazione politica e assume funzioni pubbliche. La patria è una famiglia di famiglie, con usi, costumi, lingua, tradizione culturale e religiosa condivisi e presenti in un territorio dotato di confini più o meno delineati. Ogni uomo nasce non solo in una famiglia – con un padre e una madre –, ma anche in un tessuto socio-culturale che costituisce il suo corredo storico, la sua identità.
L’uomo cosmopolita e irrelato è il frutto di una visione astratta, proveniente dalle ideologie moderne, che lo considerano semplicemente nel suo aspetto individualistico e immanente. Da un lato, il socialismo di stampo marxista ha combattuto l’idea di patria a favore dell’internazionalismo e della lotta di classe, volendo abbattere le strutture che rendono le comunità vive: la famiglia, la religione, la proprietà privata. Dall’altro lato, i vari nazionalismi di stampo democraticistico o liberal-autoritario, animati dall’immanentismo idealista, hanno svuotato il riferimento alla legge morale naturale, che viene da una fonte trascendente, trasformando la patria in una divinità. Così facendo, hanno negato le diversificazioni e le legittime autonomie e libertà, hanno cancellato le “patrie reali” a favore di conformazioni territoriali messe in competizione per imporre, l’una contro l’altra, il proprio primato. La storia degli ultimi due secoli è stato il teatro tragico che ha visto questi due cattivi attori animare le fila principali degli assetti politici.
Tutto questo sicuramente non è servito all’incremento dell’amore verso la patria, che non può essere il frutto di una ideologia, ma la conseguenza di una religiosità naturale e del senso comune insiti in ciascun uomo, che si riconosce non solo figlio di una famiglia, ma anche erede di un humus culturale e storico in senso ampio, che ne struttura le radici. La patria è la casa comune, una dimora culturale e il luogo per la trasmissione di una eredità da ricevere e tramandare, non in relazione a forme storiche sempre mutevoli, ma in relazione principalmente al “fuoco sacro” di valori perenni che animano ogni società.
Onore e servizio alla patria, in quest’ottica, discendono dal Quarto Comandamento. Scriveva san Tommaso d’Aquino: «onorare Dio è religione, onorare i genitori e la patria è pietà». Dunque, l’amore di patria si conforma come pietas, ossia come un dovere naturale di ogni uomo che si potrà verificare solo lontano dalle prospettive ideologiche negatrici della trascendenza e fautrici di un’astrazione che impone all’uomo sacrifici e moralità pubblica ben lungi dal praticarsi senza la grazia di Dio.
Un esempio di questo amore è incarnato da un figlio eminente della Polonia: san Giovanni Paolo II. Il giorno del giuramento del nuovo governo coincideva la sua memoria liturgica (22 ottobre). Auspichiamo che questo possa servire da ispirazione per i credenti, da motivo di riflessione per i non credenti e da monito per tutti.
Martedì, 25 ottobre 2022