Dunque giovedì prossimo 14 dicembre, salvo un miracolo per il quale dobbiamo sempre pregare, il ddl sul fine vita diverrà legge dello Stato. Un disegno di legge che prevede “disposizioni anticipate di trattamento” obbligatorie del paziente contro ogni rispetto della professionalità del medico, al quale viene persino negata la libertà di coscienza; un ddl presentato in Senato al termine della legislatura, per tentare di unire una sinistra disperata e divisa, che di fatto ci porta verso l’eutanasia, così come il divorzio breve ci ha condotto verso la totale privatizzazione del matrimonio e le unioni civili verso il matrimonio omosessuale. Tutto questo avviene, bisogna ricordarlo, nel completo disprezzo del metodo democratico tanto celebrato a parole, eliminando ogni possibilità di discussione e di miglioramento dei provvedimenti, impedendo gli emendamenti delle opposizioni e in certi casi imponendo ai parlamentari il ricatto della “fiducia”.
C’è un mondo di militanti pro-life che rischia di perdere la speranza nell’utilità della propria battaglia, combattuta con entusiasmo per tanti anni, da quando la questione bioetica ha preso il posto delle battaglie ideologiche tipiche del secolo breve (1914-1989). Il rischio deriva dal constatare che tanti sforzi non hanno portato a vittorie politiche evidenti, come molti speravano.
A questi militanti, alle famiglie dei due recenti Family Day, bisogna ricordare che la salvezza non può venire dalla politica, ma da una costante azione culturale che rianimi il corpo sociale, ricordando continuamente la sacralità della vita e la centralità della famiglia, e invitando gli uomini del nostro tempo, soprattutto i giovani, a ritrovare la via della fede, che spesso i loro genitori non sono stati in grado di trasmettere loro.
Tuttavia, questi militanti pro-life non devono neanche perdere la speranza nella possibilità di raggiungere alcuni piccoli risultati con un’azione politica realistica. Mentre la battaglia culturale guarda lontano e spera di ottenere i risultati sulla lunga distanza, le battaglie politiche si combattono con le forze in campo adesso, consapevoli che si tratta di scegliere il meglio che c’è, di rallentare un processo di disgregazione. Non fare queste scelte, peraltro, sarebbe peccare di omissione. Le elezioni amministrative della scorsa primavera, con quanto è avvenuto nei comuni di Piacenza, Genova e Verona, fra altri, che hanno visto l’elezione di sindaci che si sono schierati per la famiglia firmando il manifesto del “Comitato Difendiamo i nostri Figli”, sono la dimostrazione che piccoli risultati si possono ottenere, che forse produrranno anche conseguenze importanti, ma che certamente hanno evitato a quelle città disastri antropologici maggiori.
Ecco perché così come sarebbe sbagliato deprimersi davanti alle sconfitte, altrettanto sbagliato sarebbe pensare di potere prescindere dalle forze politiche in campo. Da queste bisogna partire, dalle loro caratteristiche e dai loro limiti, dei quali bisogna tenere conto per cercare di migliorare. È un processo lento e faticoso, come tutti gli itinerari che hanno come obiettivo la conversione di un popolo. Fare la Contro-Rivoluzione significa questo, piegarsi con umiltà e buona volontà sui nostri difetti, sulle nostre omissioni, sui peccati che la nostra generazione ha commesso e di cui portiamo tutti le conseguenze negative, per annunciare però che un mondo migliore è possibile, se si avrà la pazienza di costruirlo e di aspettarlo, senza cercare illusorie scorciatoie.
Il Santo Padre Francesco ha dedicato alla speranza i principali discorsi del 2017 (cfr. Il cammino della speranza, Libreria editrice vaticana, 2017), ricordando come “la speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno” e così spiegando che i poveri, come Giuseppe, Maria e i pastori di Betlemme, sono stati i portatori di speranza all’interno di un mondo che stava morendo, “adagiato in tante certezze acquisite” (Udienza generale, 27 settembre 2017).
Anche le famiglie dei Family Day sono fra i poveri del nostro tempo, disprezzate da governi che non le hanno volute ascoltare, umiliate dagli attuali potenti che preferiscono concedere i loro favori alle lobby lgbt piuttosto che alle famiglie numerose, che con fatica si sforzano di mettere al mondo ed educare dei figli, dentro un mondo che non li vuole più e che preferisce gli animali.
Come ha detto Papa Francesco concludendo l’Udienza generale, “se Dio è con noi, nessuno ci ruberà quella virtù di cui abbiamo assolutamente bisogno per vivere. Nessuno ci ruberà la speranza”.
Anche noi, uomini del terzo millennio, cerchiamo di coltivarla nel nostro cuore perché possa essere il “Pan di Via” che ci possa dare la forza di continuare a combattere per un mondo migliore.