di Daniele Fazio
La libertà di culto è parte fondamentale della libertà religiosa. In questo triste periodo su di essa non pochi hanno avuto modo di riflettere e far sentire la propria voce di fronte ad un’incomprensibile compressione di tale aspetto fondamentale della vita dell’uomo. La riflessione e le azioni giuridiche messe in atto certamente hanno favorito un’accelerazione delle date previste, o forse non ancora contemplate, per la partecipazione alle celebrazioni.
Tant’è che i fedeli – seppur con un protocollo notevolmente rigido – potranno riaccostarsi alla Messa a partire dal 18 maggio. Naturalmente il monitoraggio e la riflessione circa lo stato di salute della libertà religiosa non finisce qui, in quanto l’evento pandemia ha fatto emergere rapporti inediti e preoccupanti tra lo Stato e la Chiesa in Italia.
Tuttavia, sarebbe un errore ridurre l’azione e l’impegno della Chiesa e dei laici cattolici al tempo del coronavirus alla sola questione della partecipazione alla liturgia. Nella “narrazione” della pandemia si è notato – ancora una volta – come non abbia avuto alcuna rilevanza nello spazio pubblico quanto di più proprio l’insegnamento cristiano avrebbe potuto offrire. Ciò naturalmente non va semplicemente addebitato al secolarismo generalizzato, ma anche all’inadeguatezza formativa ed operativa di molti settori del cattolicesimo italiano.
Ora ci ritroviamo in un contesto in cui problematiche antropologiche e sociali già vividamente presenti sono state acuite dalla crisi pandemica. Per citarne alcune: l’importanza dell’istituto familiare, continuamente bistrattato; il valore della vita dell’uomo in generale e dell’anziano in particolare; il problema del lavoro e della disoccupazione; il tracollo inesorabile della classe media, vera e propria ossatura della Nazione; lo stato in cui versa la sanità; la questione non solo strutturale, ma anche didattico-educativa della scuola; la situazione del sistema carcerario, fino a giungere alle implicazioni psicologiche del post-quarantena e del distanziamento sociale. Sullo sfondo si staglia il ripensamento dell’assetto dell’Unione Europea che – rinunciando a cosa veramente voglia dire Europa – non è capace di risposte solidali all’emergenza e ancora i rapporti con i vasti potentati economici, di cui la Cina – da cui il Covid-19 si è diffuso – è uno degli esempi possibili.
Si comprende che vi è tutto un mondo da rifare sin dalle fondamenta. Da dove partire? I cattolici hanno un grande tesoro: la dottrina sociale della Chiesa. Un vasto corpus dottrinale che lungi da essere un programma politico, si presenta come un sicuro orientamento morale sociale che permette di discernere le priorità e approntare strategie per contribuire all’edificazione di una società più giusta e solidale. Non ci si può, infatti, limitare ad azioni caritative materiali. Queste devono essere sempre accompagnate e sostenute da una carità sociale che presenti risposte che tendano a realizzare una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio. In questo senso, l’azione non potrà compendiare solo gli aspetti socio-economici, ma si dovrà coniugare con quelli più marcatamente culturali inerenti una ben integra visione del mondo, della relazione con altri, con se stessi e con Dio stesso.
Questo compito – mi si permetta di ricordarlo – risiede propriamente nella vocazione del laicato cattolico. Si può parlare allora della composizione di una task force che si ponga sempre più e meglio come soggetto culturale autorevole e affidabile al fine di presentare orientamenti e proposte che leniscano le imponenti ferite acuite dal coronavirus? Suona sempre più l’ora di laici che siano vaccinati dottrinalmente dalle ideologie di ieri e di oggi e sappiano operativamente predisporre una vera e propria missione sociale sia per fronteggiare i rigurgiti ideologici o post-ideologici neoscientisti e tecnocratici, sia per dare speranza agli uomini e alle famiglie che vivono un disorientamento epocale.
Venerdì, 15 maggio 2020