Si celebra ogni prima domenica di febbraio, da 44 anni, la Giornata per la Vita. Quest’anno il tema scelto dai vescovi è “Custodire la Vita”. Una riflessione perché non diventi un’abitudine ma sia un’occasione per ricordare l’indisponibilità della vita e denunciare la “cultura della morte” che incombe sul Paese
di Chiara Mantovani
L’approvazione in Italia dell’iniqua legge 194/78 che legittimava l’aborto ebbe come immediata risposta l’indizione da parte dei vescovi italiani della “Giornata per la Vita”. Da allora sono trascorsi quarantaquattro anni, ma rimane importante ricordare quel gesto legislativo e le sue drammatiche conseguenze. Il Messaggio della Conferenza episcopale italiana resta dunque un piccolo e puntuale monito, un sussurro nel frastuono di una comunicazione assordante e monocorde, poco più di una nota a piè di pagina della cronaca, eppure tanto più importante quanto sottovalutato. Lo stile che lo contraddistingue è sempre colloquiale e riflessivo, non mancando qualche passaggio che meriterebbe molta attenzione e coerente azione.
A partire dal verbo evidenziato nel titolo di quest’anno: custodire. Colpisce l’evidente richiamo a Caino: «sono forse io il custode di mio fratello?» (Gn 4,9). Da quel giorno, più o meno consapevolmente, ogni volta che si sceglie la morte dell’innocente, si abdica al dovere della custodia amorevole del proprio prossimo. Modernamente, superato l’iniziale e un po’ goffo tentativo di declinare la responsabilità, si è giunti a sostituire con l’autodeterminazione l’imperativo morale della custodia, fino a ribaltarlo: ti aiuterò ad ucciderti, è tuo diritto ucciderti, per giungere al delirante ‘è tuo interesse che io ti uccida’ – sottinteso nell’aborto cosiddetto terapeutico – o addirittura è ‘il tuo migliore interesse’ (‘best interest’) che cessi ogni custodia – quando si immagina che quella vita non valga più la pena di essere vissuta.
Dalla ammissibilità dell’aborto volontario è scaturita una ferita mortale alla indisponibilità della vita umana, così che da allora essa è sottomessa a una valutazione di merito o di valore o di utilità o di semplice desiderio, proprio o altrui. Aborto ed eutanasia, fecondazione artificiale e utero in affitto – per dire solo delle sfide più attuali e drammatiche – sono pensabili soltanto se si reputa la vita umana una ‘cosa’ valutabile arbitrariamente.
Lucidamente il Messaggio identifica la radice da cui scaturiscono atteggiamenti in apparenza differenti in «una malintesa affermazione di libertà e da una distorta concezione dei diritti. […] Anche la riaffermazione del “diritto all’aborto” e la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente vanno nella medesima direzione».
Non è questa, ci ricordano i vescovi, la vera prioritaria necessità dell’uomo: «ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione. Questo è vero per tutti, ma riguarda in maniera particolare le categorie più deboli».
«Le persone, le famiglie, le comunità e le istituzioni non si sottraggano a questo compito, imboccando ipocrite scorciatoie, ma si impegnino sempre più seriamente a custodire ogni vita». Anche la nostra comunità di Alleanza Cattolica continuerà l’ennesima dura battaglia per smascherare con ragione e argomenti l’ipocrisia di chiamare progresso e diritto civile l’aborto, l’eutanasia e l’assistenza al suicidio.
Questa, però, sarà la parte che ci siamo sempre trovati a condurre. Molto più complessa è la sfida di discernere le subdole tentazioni di insofferenza e ribellione, da cui non siamo immuni, immersi anche noi in una mentalità dominante che, come abbiamo appreso alla scuola di Plinio Correa de Oliveira e di Giovanni Cantoni, rivela oggi in massimo grado l’aspetto liberale della Rivoluzione: «ogni disuguaglianza è una ingiustizia, ogni autorità un pericolo, e la libertà il bene supremo». «La sensualità porta alla rivolta contro ogni autorità e ogni legge, sia divina che umana, ecclesiastica o civile».
«Il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita». «La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia». Affidiamo a san Giuseppe la nostra vita e la nostra azione, al custode della Divina Famiglia e perciò della Chiesa, ricordato nelle parole dei Vescovi italiani e non a caso invocato affinché la morte sia davvero ‘buona’, quale ingresso festoso nella Casa del Padre.
Venerdì, 4 febbraio 2022