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Ombre rosse sull’Angola Libera

23 Giugno 1989 - Autore: Alleanza Cattolica

Il 1° aprile 1989, armati della SWAPO sono penetrati in Namibia, violando l’Accordo di Brazzaville, firmato il 13 dicembre 1988 dai rappresentanti dei governi sudafricano, angolano e cubano alla presenza del presidente congolese, colonnello Denis Sassou Nguesso, e del sottosegretario di Stato americano per gli Affari Africani, Chester Crocker. Questo Accordo regolamenta la situazione dell’area nella prospettiva dell’elezione, il 1° novembre 1989, di un’assemblea costituente namibiana. In una nota, comparsa nella rubrica Combat Zones, di The Freedom Fighter – mensile della Freedom League e della Freedom Research Foundation -, vol. IV, n. 10, aprile 1989, vengono avanzate ipotesi interpretative di tale violazione, che può sconvolgere il futuro della regione e aumentare le difficoltà dell’UNITA, il movimento di resistenza anticomunista che ha già liberato la parte dell’Angola a nord della Namibia.

WILLIAM SUTCLIFFE, Cristianità n. 170 (1989)

 

 

Nel mese di aprile del 1989 le notizie militari più importanti sull’Angola non sono giunte dall’Angola stessa ma dalla Namibia. Milleduecento uomini della SWAPO, l’Organizzazione del Popolo dell’Africa del Sud-Ovest, dotati di armamento pesante, hanno fatto un’incursione alla luce del sole dall’Angola in Namibia il 1° aprile, giorno d’inizio del processo d’indipendenza della Namibia stessa secondo quanto stabilito dall’Accordo di Brazzaville del dicembre del 1988.

Questa incursione potrebbe far fallire l’Accordo, fermare il ritiro delle truppe cubane dall’Angola, favorire l’insediamento di diverse forze nemiche in Namibia, a sud dell’Angola Libera, e arrecare parecchi altri danni ai combattenti per la libertà dell’UNITA, l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola, e alle popolazioni civili dell’Angola e della Namibia.

L’incursione della SWAPO ha rappresentato una palese violazione dell’Accordo di Brazzaville da parte del governo comunista angolano dell’MPLA, il Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola, che aveva promesso di tenere confinate, a partire dal 1° aprile, le truppe della SWAPO sopra il 16° parallelo, che corre per circa cento chilometri a nord del confine fra l’Angola e la Namibia. L’Accordo di Brazzaville, firmato dal MPLA, dai suoi sostenitori cubani e dalla Repubblica Sudafricana, distingue con precisione fra le truppe della SWAPO e i suoi sostenitori non armati. Le prime devono essere tenute fuori dalla Namibia fino a dopo le elezioni, mentre i secondi sono liberi di entrare nel paese per prendere parte alle elezioni stesse.

Le unità d’invasione, divise in compagnie e in plotoni, sono penetrate in Namibia in cinque punti diversi, lungo un fronte di duecento chilometri che corre da Ruacana a occidente a Ombalantu a oriente. In un primo tempo,gli invasori della SWAPO hanno incontrato solamente la debole resistenza offerta dalla popolazione locale spaventata e nessuna resistenza da parte della forza delle Nazioni Unite, che avrebbe dovuto essere presente in loco per mantenere l’ordine e per supervisionare le elezioni.

Colti di sorpresa, erano nel paese soltanto centoventi dei quattromilaseicentocinquanta soldati dell’UNTAG, il Gruppo di Assistenza per la Transizione delle Nazioni Unite.

L’incursione è stata così massiccia che le Nazioni Unite sono state costrette a compiere l’imbarazzante passo di chiedere alla Repubblica Sudafricana di chiamare la SADF, la Forza di Difesa Sudafricana, e la Polizia Territoriale Namibiana, gestita dalla stessa Repubblica Sudafricana, dalle caserme nelle quali erano state relegate in previsione dell’arrivo dell’UNTAG. La SADF e le forze della Polizia Territoriale hanno sbrigativamente risolto la questione uccidendo circa duecento membri della SWAPO e ferendone oltre duecento: la forza attaccante ha subito perdite di poco inferiori rispetto a quelle di una settimana di combattimento.

Per spiegare la decisione del leader della SWAPO, Sam Nujoma, di invadere la Namibia, sono state formulate almeno tre plausibili ragioni.

1. Un’intimidazione diretta da parte della SWAPO. Secondo questa ipotesi, Sam Nujoma avrebbe cercato di sfruttare il vuoto di potere creatosi al momento del ritiro della SADF e della Polizia Territoriale nelle caserme, prima che l’UNTAG arrivasse in forze. La sua intenzione sarebbe stata quella di intimorire i namibiani, di ogni tribù e di ogni parte politica, per guadagnare almeno i due terzi dei delegati alla Convenzione Costituzionale alle prossime elezioni e ottenere l’approvazione di una Costituzione che imponga un governo monopartitico.

2. Un’intimidazione indiretta da parte della SWAPO. Questa seconda ipotesi costituisce una variante molto più sottile della prima. Essa sostiene che l’incursione e l’intimidazione conseguente sarebbero state deliberatamente concertate dalla SWAPO, con la complicità dei vicini “Stati della linea del fronte”, per mettere pubblicamente in imbarazzo le Nazioni Unite. Gli “Stati della linea del fronte” avrebbero così potuto avere l’opportunità di offrire la loro assistenza militare in un momento in cui le Nazioni Unite sarebbero state difficilmente in grado di rifiutare. Gli “Stati della linea del fronte” sono una lega composta da sei paesi, di cui due, Angola e Mozambico, sono comunisti, uno, lo Zimbabwe, si è avvicinato moltissimo al comunismo, e tre, il Botswana, la Tanzania e lo Zambia, sono di orientamento marxista, anche se non marxista-leninista.Tutti e sei questi paesi sono calorosamente favorevoli alla SWAPO e, con diverse modalità, tutti e sei sono anche ostili all’UNITA. Sulle truppe di tutti e sei i paesi si sarebbe potuto fare affidamento per intimidazioni a favore della SWAPO in occasione delle prossime elezioni e probabilmente gli stessi paesi ammiccherebbero di fronte a incursioni dell’MPLA – e cubane? – a nord contro l’UNITA. Infatti, il 6 aprile 1989, incontrandosi a Luanda, gli “Stati della linea del fronte” hanno appunto offerto ufficialmente l’invio di un battaglione ciascuno per ovviare alla carenza dell’UNTAG.

3. Uno stratagemma per evitare la partenza delle truppe cubane. Infine, vi è chi pensa che il MPLA abbia ingannato Sam Nujoma inducendolo a dare alle sue truppe l’ordine di attaccare, onde provocare quanto è poi accaduto, cioè il ritorno in campo in Namibia della Forza di Difesa Sudafricana. Secondo questa ipotesi, l’MPLA avrebbe cercato una scusa plausibile per chiedere a Cuba di arrestare il ritiro dei suoi oltre sessantamila uomini di stanza in Angola. In ogni caso, se l’obbiettivo comunista era questo, potrebbe essere frustrato da un emendamento proposto dal deputato repubblicano dello Stato di New York, Gerald Solomon, recentemente incaricato del progettodi raccolta di fondi per le forze delle Nazioni Unite in Namibia, emendamento che chiede all’amministrazione Bush di verificare, ogni quindici giorni, che il ritiro delle truppe cubane sia in corso, pena il taglio completo dei fondi.

Non è facile stabilire quale di queste ipotesi sia quella giusta oppure se la vera soluzione stia altrove. È comunque certo che l’insediamento nella Namibia Settentrionale di truppe degli “Stati della linea del fronte” oppure di unità della SWAPO sostenute dall’angolano MPLA peggiorerebbe la già difficile situazione dell’UNITA nell’Angola Sud-Orientale, mettendo le forze della SWAPO e dell’MPLA in grado di continuare a giocare ad attraversare il confine, forse con le stesse truppe indossanti di volta in volta berretti diversi. E vi sono ottime ragioni per dubitare che le cose andrebbero molto meglio con l’occupazione della Namibia Settentrionale da parte dell’UNTAG.

Inoltre, non è chiaro quale effetto finale produrrà l’incursione della SWAPO sull’indipendenza namibiana e sulla guerra civile in Angola, anche se sembra evidente che non si sono verificati gli effetti che gli ideatori, chiunque fossero, si aspettavano.

William Sutcliffe

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