di Ignazio Cantoni
1. La vita e l’opera
Oswald Arnold Gottfried Spengler nasce il 29 maggio 1880 a Blankenburg am Hartz, in Germania, a nord-ovest di Lipsia, nella Sassonia-Anhalt, secondo di cinque fratelli — di cui uno, il primogenito, morto a tre settimane —, da Bernhard (1844-1901), impiegato postale, e da Pauline Grantzow (1840-1910).
Ottiene la licenza liceale a Halle, sempre nella Sassonia-Anhalt, nel 1899, dove intraprende studi universitari di matematica e di scienze naturali, perfezionandosi all’università di Monaco e a quella di Berlino, dove si addottora con uno studio su Il fondamento del pensiero metafisico della filosofia di Eraclito nel 1904; nel 1908 viene quindi nominato insegnante liceale ad Amburgo. Nel 1911 si trasferisce a Monaco, per dedicarsi ai propri studi, e l’anno seguente abbandona la professione. Nel 1917 la sorella Adele, nata nel 1881, si suicida.
Nel 1918 esce il primo volume de Il tramonto dell’Occidente, che dà vita l’anno seguente allo «Spengler-Streit», ampio e acceso dibattito sui temi di quella che sarà la sua opera principale. Nel 1919 partecipa alla costituzione della Fondazione Nietzsche, e pubblica Prussianesimo e socialismo. Nel 1922 pubblica il secondo volume de Il tramonto dell’Occidente e svolge attività politica negli ambienti ostili alla Repubblica di Weimar, nonché diverse importanti conferenze, quali Doveri politici della gioventù tedesca, tenuta e pubblicata nel 1924, e Civiltà e tecnica, del 1931, dalla quale sviluppa L’uomo e la tecnica, che esce nello stesso anno. Malvisto dal NSDAP, il Partito Nazional-Socialista dei Lavoratori Tedeschi — ricambiandone peraltro il giudizio —, viene censurato; legato a diversi membri delle Sturmabteilungen, formazioni paramilitari del NSDAP, più note come SA, perderà molti amici durante la cosiddetta «Notte dei lunghi coltelli», in cui le Schutzstaffeln, le SS, altra milizia del partito, a Bad Wiessee, in Baviera, sopprimeranno i quadri dirigenti delle SA, episodio avvenuto fra il 30 giugno e il 2 luglio 1934. Muore la notte fra il 7 e l’8 maggio 1936 a Monaco, lasciando incompiuti gli Urfragen e gli Albori della storia mondiale, pubblicati rispettivamente nel 1965 e nel 1966.
2. La conoscenza e il cosmo
La prospettiva di Spengler è, alla scuola del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900), relativistica: non esiste la verità, ma solo percezioni di oggetti, dai quali non si può ricavare alcuna scienza, ma solo modelli interpretativi ultimamente non verificabili. L’uomo, infatti, partecipa della visione del mondo propria della civiltà in cui vive, visione che costituisce premessa e pertanto interpretazione di qualsivoglia conoscenza, che a quella rimane legata.
Con tali premesse, non vi è spazio per conoscenze incontrovertibili: anche la stessa matematica è differente da civiltà a civiltà, non essendo altro che un modello interpretativo valido solo ed esclusivamente in una civiltà, ma non in un’altra.
«Il mezzo per conoscere le forme morte è la legge matematica. Il mezzo per intendere le forme viventi è l’analogia»: la natura e lo spazio, in quanto già accaduti, sono oggetto del sapere scientifico, mentre la storia e il tempo sono oggetto del vero sapere, poiché essi sono il dipanarsi della protagonista del cosmo: la vita.
Essa non ha un motivo, né cause, né effetti: è costituita da un principio unitario che nasce, cresce e giunge a maturazione, quindi invecchia e alla fine muore, compiendo un iter immodificabile nelle sue grandi linee: essa è il Destino.
Tutto ciò che vive è vincolato al tragitto stabilito dal Destino: pertanto, si possono determinare delle analogie fra i viventi, nei quali tutti, appunto, è possibile identificare i suddetti quattro momenti, le caratteristiche di ciascuno dei quali sono simili e sono passibili di confronto, sia nel micro che nel macrocosmo.
3. L’antropologia
Nell’uomo vi sono due dimensioni vitali ultimamente non armonizzabili: la pianta e l’animale, indicati anche con i termini «essere» ed «essere desto», «anima» e «spirito». La prima dimensione è sede degli elementi innati, istintivi e pertanto irriflessi dell’uomo, dei suoi atteggiamenti più marcati e del suo modo di agire privo di schemi mentali. Essa ha come leggi lo spirito di onore e la volontà di potenza: quest’ultima è l’istinto di autoaffermazione di ogni forma di vita, ove necessario a scapito delle altre, istinto che è alla base della guerra. La seconda, al contrario, è la sede della ragione come conoscenza, riflessione e calcolo ed è in certo modo il principio di decadenza dell’uomo. Il primato fra tali dimensioni va alla prima, perché ritenuta più originaria, nonché quella più adeguata per vivere. La seconda dimensione, che è la premessa della riflessione, è al contrario frutto della concessione fatta dall’uomo alla razionalità a scapito della volontà di potenza: «La vita razionale (pensiero) è, all’origine, una parte della vita, una parte sottomessa: successivamente essa si è sviluppata crescendo al di là di tale ruolo asservito, per dominare la vita che s’atrofizza, alla fine, sotto questa tirannide»: essa infatti crea uno iato fra la realtà e l’uomo, spazio che viene colmato dall’ideologia e dalla religione, cioè dalla pretesa di poter agire nella realtà meglio che seguendo l’istinto.
L’essere non è propriamente irrazionale, essendo comprese in esso tutte le espressioni culturali: Spengler parla di «idee senza parole», ovvero slancio vitale privo di alcun tipo d’incertezza sul come o sul perché dell’azione stessa, mentre l’essere desto è sinonimo di critica corrosiva degli elementi esistenziali — convinzioni e direttive di azione — indispensabili per la vita.
La religione stessa nasce dall’angoscia dell’uomo che con la propria ragione si spinge in un terreno che non è più il suo, cioè la morte: finché essa rimane pura «religiosità», sentimento della grandezza dell’universo, è legittima, ma nel momento in cui diviene dogma spinge l’uomo ad allontanarsi dal mondo, cioè dalla vita, in una serie di negazioni — la morale in primis — che, pur non essendo prive di una loro grandezza, sono l’esatto contrario di quanto è naturale.
4. Le civiltà e la civilizzazione
Quanto accade nell’uomo è elemento e sintesi della storia, le cui protagoniste sono le civiltà: come quello, infatti, esse hanno una loro vita simile alle piante, un loro essere: il sangue, la razza — che in Spengler non ha alcuna accezione razzista —, il ceto, che sono i corrispondenti delle radici, dalle quali derivano tutti gli elementi che la caratterizzano.
Esse hanno poi il proprio essere desto, il quale consiste nella religione in quanto teologia e in tutta la cultura latamente filosofica.
Sulla scorta dello scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), nella vita di ogni civiltà possono essere identificate quattro epoche o stagioni che, data l’analogia fra le corrispondenti di ciascuna, vengono chiamate sincroniche: la crescita, l’apogeo, il declino e la fine.
La nascita e lo sviluppo di una civiltà sono caratterizzati da una volontà di affermazione della propria identità che non mette in discussione alcun elemento dell’ethos: tale fase è indicata come civiltà in senso pieno — Kultur —; il declino e la morte vedono il progressivo decrescere dello slancio vitale, con il conseguente sviluppo dell’essere desto e l’inevitabile affermarsi della critica razionalista alla tradizione, e sono indicati con il termine civilizzazione — Zivilisation.
Analogamente a quanto visto per l’uomo, il modello interpretativo, cioè il fondamento di una civiltà che dà il tono a tutto il dipanarsi della sua vita, è chiamato simbolo fondamentale: esso è la metafora prima che determina l’interpretazione e il conseguente rapporto con il mondo: per esempio, la civiltà occidentale è gotica e faustiana, dato il suo slancio verso l’infinito, mentre la civiltà greca è apollinea.
Le civiltà nascono e crescono dall’elemento contadino: il rapporto con la terra è quasi personale, poiché la proprietà è indivisibile, riconosciuta da tutti i confinanti e considerata come un legato da trasmettere; la famiglia garantisce l’innesto nella tradizione di cui si fa parte, la quale impedisce lo sradicamento. L’inizio della fine è costituito dall’affermarsi del modello di vita urbano, dovuto allo stabilirsi dei mercati. In tale contesto lontano dagli elementi originali tutto diviene artificiale: la proprietà diviene denaro, o comunque viene considerata come quantificabile; la politica diviene demagogia, poiché si forma il proletariato e si sviluppa l’abitudine a ragionare in termini di maggioranza e minoranza; di conseguenza si afferma la democrazia.
Quest’ultima ha come foraggio non l’economia, ma la finanza, e come capi demagoghi ignoranti e rivoluzionari di professione, il cui movente e argomento principe presso il popolo divenuto massa — fellahim — è l’invidia nei confronti di tutto quanto è distinto e ordinato. Non vi è più spazio per onore, razza e ceto, e l’ideale è la pace universale, cioè la dichiarazione di resa incondizionata a chi è più forte.
Tali valutazioni non sono in Spengler, almeno a parole, giudizi di valore oppure considerazioni riconducibili a pessimismo: sono passaggi obbligati di un percorso che non permette deroghe, e del quale si deve non solo accettare, ma anche volere ciò che necessariamente accadrà, posto che si voglia essere anche attori e non solo elementi passivi della storia mondiale.
5. L’Occidente e il suo tramonto
La civiltà occidentale, gotica e faustiana, è entrata in crisi sostanzialmente con la Rivoluzione detta francese, del 1789, nella quale la canaille urbana, debitamente alimentata nella propria invidia, ha compiuto l’annientamento sistematico degli elementi che avevano forgiato l’Occidente: nobiltà, ruralità e, in misura minore, Chiesa. Il socialismo e il comunismo sono state le tappe coerenti di tale processo di degrado, insieme e non in contrasto con la loro madre, cioè l’economia classica inglese, che ha trasformato il rapporto con le cose in un fatto pienamente quantificabile, poiché l’accento non è più sulla proprietà e sulla produzione, ma sulla finanza.
Di fronte a tale situazione, Spengler rivendica alla Germania il possesso di un ethos che è sempre rimasto immune da tali premesse, cioè il prussianesimo, ethos ereditato dallo spirito dell’Ordine Equestre Teutonico e tutto fatto di libera iniziativa, sforzo, propensione al sacrificio e spirito di servizio verso la comunità statuale alla quale si appartiene.
La vergogna della prima guerra mondiale (1914-1918) — della quale l’unico vincitore è la democrazia — proietta l’occidente verso l’ultimo stadio. Il processo di morte attende un rallentamento, a opera di persone che si faranno carico di popoli la cui forma interiore è sempre più debole: i «Cesari», come per esempio l’uomo politico italiano Benito Mussolini (1883-1945).
6. «Ciò che è vivo e ciò che è morto» di Spengler
Il pensiero di Spengler è, fra le altre cose, inaccettabile per il suo relativismo e carente perché la vita, in sé punto di partenza categoriale adeguato, in lui è limitata all’immanenza.
Tuttavia, se accostata con spirito critico, la sua opera è utile, fra gli altri, per almeno due aspetti. Il primo è la capacità di descrivere i fenomeni culturali in modo da far loro esprimere l’intera metafisica soggiacente: capacità presente, per esempio, nel pensatore e uomo d’azione brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995); il secondo è la consonanza su più di un punto con la topica storica dello scrittore barocco napoletano Giambattista Vico (1668-1744) e il supporto implicito che le analisi di differenti civiltà offrono al «modello» vichiano, per alcuni difettoso perché riguardante solo la civiltà romana.
Ignazio Cantoni
Per approfondire: Domenico Conte, Introduzione a Spengler, Laterza, Roma-Bari 1997, con la bibliografia italiana ivi segnalata, da integrare almeno con le seguenti traduzioni italiane pubblicate dalle Edizioni di Ar di Padova: La rigenerazione del Reich, 1992; Forme della politica mondiale, 1994; Per un soldato, 1995; Albori della storia mondiale, 2 voll., 1996; nonché con: Eraclito, Mimesis, Milano 2003; Anni della decisione, Clinamen, Firenze 2016; e L’uomo e la tecnica, Aragno, Torino 2016.