di Marco Invernizzi
1. La vita
Don Paolo de Töth è figura rappresentativa di quei cattolici che hanno accompagnato, nella storia della Chiesa in Italia, la nascita e lo svolgimento, con alterne vicende, della crisi modernista, dalla fine del secolo XIX al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Pertanto merita attenzione non solo per la sua vita pubblica, ma pure perché quest’ultima ha in qualche modo “incarnato” le speranze e le delusioni di un ambiente umano, consuetamente definito “cattolico integrale”, che è importante rivisitare anche da un punto di vista storiografico.
Nato a Udine il 7 marzo 1881 da Eleonora Vannini e dal barone Francesco de Töth – la cui famiglia era stata espulsa dall’Ungheria in seguito alla rivoluzione del 1848 -, de Töth viene ordinato sacerdote nella diocesi di Spoleto, l’8 settembre 1906, dopo una breve esperienza religiosa nell’ordine carmelitano, dal quale uscì, come scrisse al vescovo di Spoleto, a causa dell'”[…] assoluta mancanza di spirito religioso ch’è in quell’ordine e particolarmente dal fatto della vita privata che ivi si pratica”. Tuttavia, lo spirito carmelitano rimane fortemente presente nella sua vita interiore, tanto che, nel 1927, curerà la traduzione delle Opere spirituali di san Giovanni della Croce (1542-1591).
Se quanto alla vita interiore si ispira alla spiritualità carmelitana, la sua formazione filosofica e teologica sarà tomista, sotto la guida del “maestro indimenticabile”, il gesuita Guido Mattiussi (1852-1925), l’autore delle celebri XXIV tesi tomistiche, esposizione sintetica degli elementi strutturali filosofici del pensiero di san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), pubblicate il 27 luglio 1914, poche settimane prima della morte di Papa san Pio X (1903-1914), per difendere e promuovere la vera filosofia.
La vita pubblica di don de Töth può essere periodizzata in due tempi molto diversi fra loro: il primo, dal 1906 al 1929, lo vede giornalista costantemente impegnato nella difesa anche polemica delle verità cristiane, mentre nel secondo – dal 1929 al 1965 – esercita il ministero di parroco nella frazione di Maiano, presso Fiesole, la diocesi vicino a Firenze, dov’era incardinato e dove chiude la sua esistenza terrena il 25 dicembre 1965.
2. La stampa al servizio della verità
La vita giornalistica di don de Töth comincia a venticinque anni, con la trasformazione di un foglio di devozione locale, Le meraviglie di Dio in S. Chiara da Montefalco, in un battagliero quindicinale antimodernista, Le Armonie della Fede, che dirige dal 1906 al 1914, prima a Montefalco, poi a Siena e finalmente a Firenze.
Due anni dopo, nel marzo del 1908, viene chiamato da Papa san Pio X alla direzione del più importante quotidiano intransigente dell’epoca, L’Unità Cattolica, pubblicato a Firenze, che era stato diretto da due fra i massimi esponenti del movimento cattolico, don Giacomo Margotti (1823-1887) e Giuseppe Sacchetti (1845-1906).
Don de Töth avrà sempre un atteggiamento di grande devozione nei confronti di Papa san Pio X – “ogni volta che mi accostai a lui, ebbi la sensazione di avvicinare un santo”, dirà nella deposizione rilasciata nel corso del processo di beatificazione del Pontefice – e tale atteggiamento rimane inalterato anche dopo che Papa san Pio X, nell’agosto del 1909, lo allontana dalla direzione del quotidiano in seguito a una serie di polemiche con alcune autorità ecclesiastiche, provocate dal suo carattere focoso e polemico. Così don de Töth spiegherà il fatto in una lettera scritta molti anni dopo l’accaduto, il 4 aprile 1950, e diretta all’avvocato della causa di beatificazione di Papa san Pio X: “[…] avendo io travalicato i limiti, che un giusto riserbo e doveroso riguardo imponeva, mi allontanò dalla direzione del giornale, cui mi aveva messo a capo”.
Egli rimarrà sempre legato all’impostazione pastorale di Papa san Pio X, senza peraltro mai venir meno alla fedeltà ai suoi successori, chiunque fossero. C osì avviene durante il pontificato di Papa Benedetto XV (1914-1922), l’arcivescovo di Bologna Giacomo della Chiesa, con il quale don de Töth, pur essendo amico di famiglia, aveva avuto un diverbio nel 1907, proprio nell’episcopio del capoluogo emiliano, per la protezione accordata dal cardinale all’Avvenire d’Italia, un giornale che egli riteneva di simpatie moderniste.
3. “Fede e Ragione”
Proprio durante il pontificato di Papa Benedetto XV comincia l’ultimo impegno giornalistico di don de Töth, legato alla fondazione e alla direzione del periodico Fede e Ragione, pubblicato a partire dal 1919. Fra la rivista e la Santa Sede – il cui segretario di Stato, card. Pietro Gasparri (1852-1934) avverserà profondamente il periodico – probabilmente ha svolto funzione di trait d’union il marchese Filippo Sassoli de’ Bianchi (1871-1938), già cameriere segreto di cappa e spada di Papa san Pio X e nominato cavaliere del Sacro Ordine di San Gregorio Magno, nel settembre 1914, durante il pontificato di Papa Benedetto XV. Sassoli de’ Bianchi è fra i primi collaboratori della rivista, dalle cui pagine polemizza aspramente contro l’aconfessionalismo del Partito Popolare Italiano, partito dal quale uscirà nel 1923, dopo averne guidato la cosiddetta “ala destra”, in contrapposizione con la linea politica del segretario, don Luigi Sturzo (1871-1959).
Fede e Ragione uscirà settimanalmente per dieci anni, pubblicando da una parte saggi teologici, filosofici e storici di carattere formativo e, dall’altra, seguendo e cercando di interpretare gli avvenimenti principali della vita della Chiesa e del mondo culturale e politico. Per quanto riguarda l’Italia, la rivista è fermamente avversa al PPI e denuncia ogni cedimento nella lotta – che dopo la morte di Papa san Pio X aveva perduto incisività – contro il modernismo, mentre attacca frontalmente il movimento fascista delle origini, denunciandone l’ideologia “massonizzante” e la presenza fra i fondatori di numerosissimi affiliati sia alla massoneria di Palazzo Giustiniani che a quella di piazza del Gesù. Soltanto dopo la marcia su Roma, di fronte alla trasformazione del movimento in regime e all’attenuazione degli aspetti anticattolici, soprattutto in Benito Mussolini (1883-1945), Fede e Ragione cambia atteggiamento verso il governo, coltivando la speranza che il regime possa essere trasformato fino ad assomigliare a uno Stato cattolico.
La rivista cessa le pubblicazioni nel 1929, dopo la stipula del Concordato fra la Santa Sede e il Regno d’Italia, e cessa in modo misterioso, senza una causa evidente, forse perché “scomoda” sia al regime fascista che alla stessa Santa Sede, in particolare alla Segreteria di Stato che – secondo quanto scritto dal vescovo di Fiesole, mons. Giovanni Fossà (1853-1936), a Papa Pio XI (1922-1939), il 4 febbraio 1923 – voleva la rivista “[…] soppressa ad ogni costo”.
4. La biografia del conte Stanislao Medolago Albani (1851-1921)
La seconda parte della vita di don de Töth trascorre nella parrocchia di San Martino di Maiano, una frazione di Fiesole, la diocesi dove era stato incardinato e dove era stato soprattutto protetto dal vescovo, mons. Fossà, contro i numerosi attacchi che dovette subire come direttore di Fede e Ragione.
È un periodo lungo e operoso, dedicato anzitutto al ministero sacerdotale nella piccola parrocchia toscana, ma anche alla stesura di quella ricerca alla quale egli teneva più di ogni altra, la vita dell’amico conte Stanislao Medolago Albani. L’opera uscita dal grande impegno di don de Töth non è soltanto un’accurata biografia del dirigente cattolico bergamasco, ma è diventata, attraverso i continui ritocchi apportati dall’autore e l’accumularsi di nuovi documenti provenienti in massima parte dall’Archivio Medolago, una monumentale storia del movimento cattolico dal 1874 al 1902, cioè dalla fondazione dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici all’elezione a presidente di quest’ultima del conte Giovanni Grosoli Pironi (1859-1937). Lo studio biografico scritto da don de Töth è diviso in tre parti: nella prima viene descritta l’infanzia di Medolago Albani, segnata dal dolore per la precoce scomparsa della madre, Benedetta de Maistre (?-1851) – nipote di Joseph de Maistre (1753-1821) – e poi anche del padre, conte Gerolamo (?-1855); nella seconda parte, vengono esposte le importanti vicende politiche e sociali del movimento cattolico bergamasco, con particolare attenzione agli scontri elettorali della seconda metà dell’Ottocento, mentre nella terza parte si affrontano le vicende nazionali del movimento cattolico. Il tutto è corredato da una ricchissima serie di documenti inediti.
5. Conclusione
Nel corso di tutta la vita, don de Töth ha indubbiamente suscitato tanto forti simpatie quanto profonde avversioni, anche a causa del suo carattere immediato e sanguigno e dello stile giornalistico dell’epoca, avvezzo a condurre la polemica più attraverso l’invettiva che con l’uso del “fioretto”. Molti potranno anche scandalizzarsi leggendo, per esempio, le violente polemiche, che coinvolgono anche alcune autorità ecclesiastiche, fra Fede e Ragione e L’Unità Cattolica dopo le dimissioni di don de Töth. Ma – ripeto – bisogna assolutamente tener presente che quello era lo stile dell’epoca e che, comunque, l’intensità della polemica antimodernista di don de Töth e delle sue iniziative editoriali apparirà giustificata proprio dall’esplosione del modernismo negli ultimi anni della vita del fondatore di Fede e Ragione e soprattutto ai nostri giorni: il modernismo era una malattia che doveva essere curata drasticamente al suo insorgere, come non verrà più fatto dopo il pontificato di Papa san Pio X.
Tuttavia, alcune persone che hanno conosciuto e frequentato don de Töth – in primis il conte Antonio Medolago (1908-1982), che ne ha ereditato e custodito la biblioteca, e la figlia di questi Luisa Maddalena -, se sono state testimoni delle manifestazioni del suo carattere focoso, hanno anche potuto verificare la sua mancanza di rancore verso chiunque come pure la sua limpidezza di fondo, che gli impediva di tacere quanto pensava, anche quando questo tratto andava contro i suoi interessi. Per questo sembra ingiustificato il livore con cui don de Töth viene ancor oggi descritto, per esempio nell’opera di Maurizio Tagliaferri, L’Unità Cattolica. Studio di una mentalità. Infatti l’autore lo descrive come di “temperamento arrogante ed ambizioso”, mostrando di non aver fatto corretta opera di storico, dal momento che non si è curato di interrogare non solo i documenti, ma anche i testimoni ancora viventi, cioè di chiedere a chi ha conosciuto don de Töth conferma del suo giudizio, questo sì arrogante e soprattutto temerario e tendenzioso, indegno di uno studio pubblicato dall’editrice di un’università pontificia con relativo imprimatur da parte dell’autorità ecclesiastica.
Per approfondire: le principali opere di don Paolo de Töth, sia edite che inedite, sono difficilmente reperibili, se non nell’Archivio Medolago, Fondo de Töth, che contiene anche la collezione completa di Fede e Ragione, consultabile pure presso la Fondazione Feltrinelli di Milano e la Biblioteca Nazionale di Firenze; vedi la ricostruzione storica e la critica, nel mio La rivista “Fede e Ragione” nell’ambito del movimento cattolico italiano dal 1919 al 1929, tesi di laurea, anno accademico 1976-1977, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, relatore professor Luigi Prosdocimi; vedi pure Alberto Maria Fortuna, Vita e opere di don Paolo de Töth, in Adveniat Regnum. Rivista di Studi Cattolici, anno III, nn. 4-5, autunno 1965-inverno 1966, pp. 87-93; Idem, I poveri pazzi di “Fede e Ragione”, in Giornale di Bordo, dicembre 1968-gennaio 1969, pp. 143-147; e Gianni Vannoni, Don Paolo de Töth, in Cristianità, anno III, n. 14, novembre-dicembre 1975, pp. 10-13; l’opera citata di Maurizio Tagliaferri, L’Unità Cattolica. Storia di una mentalità, è pubblicata dall’Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 1993.