GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 328 (2005)
Non ho nulla contro la scienza e contro la filosofia, anzi. Nutro una sincera ammirazione per chi pratica entrambi questi rami del sapere, ma ho un pre-giudizio favorevole rispetto al senso comune. In altri termini, per esempio, considero il microscopio e il telescopio protesi degli occhi, e non gli occhi versione «non evoluta» del microscopio e del telescopio. E i concetti, dal canto loro, «microscopio» e «telescopio» della ragione. Questo pensiero, che mi accompagna da sempre, si è fatto assillante soprattutto da quando, in vista della celebrazione di una tornata elettorale referendaria, è in corso il dibattito, la polemica relativa alla Procreazione Medicalmente Assistita, inteso a definire la natura del concepito e, quindi, il suo statuto giuridico. In proposito evoco il più grande dei filosofi, o almeno il primo di loro, qualunque sia la collocazione cronologica dei suoi concorrenti: il Signor di La Palisse.
«Guardo» un maschio e una femmina del genere umano, un uomo e una donna, che si accoppiano, che hanno «commercio carnale». Trascuro per esperienza due uomini e due donne, perché si tratta di un’azienda fallita sul nascere, quindi nata fallita, che non ha titolo a essere iscritta in nessun registro delle imprese di nessuna Camera di Commercio. Non sempre, ma spesso, o almeno talora, dopo un lasso di tempo grosso modo prevedibile, ma non concordabile, non definibile in nessun patto prematrimoniale, con fatica vede la luce un soggetto che, se non abbandonato al suo destino di singolo, cioè al suo destino di morte nel caso venga trascurato, nel caso non venga accolto, diventa un uomo.
A questo punto mi chiedo: dov’è l’inganno, dov’è il trucco? Se non fosse stato quello che diventa, sarebbe forse diventato quello che è? Oppure è stato «assemblato» furtivamente per la gioia di chi lo attende, una sorta di «caro neonato» piuttosto che di «caro estinto», o per il dispetto di chi si è trovato ad aspettarlo, ma non lo voleva? E l’esser causa umana di un effetto dà potere assoluto sull’effetto stesso? L’«errore» eventuale nell’aver posta la causa autorizza a eliminare l’effetto? Talora, forse: quando l’errore è un quadro, è una statua, per esempio. Ma quando è un uomo?
Comunque stiano le cose, quello che approssimativamente diciamo che «è nato», può nascere solo perché c’era, perché era stato concepito a seguito dell’incontro non meglio specificato, anche occasionale, fra un maschio e una femmina del genere umano. Per diventare quello che è non ha avuto bisogno di nessuna decisione da parte di nessuno. È sufficiente che la femmina, la donna, si alimenti, e il concepito si prepara alla nascita. La decisione possibile, l’intervento possibile può essere solo quello d’impedirne lo sviluppo, non l’esistenza. Cioè d’impedire più o meno traumaticamente, più o meno violentemente, che quello che esiste si sviluppi. Il comportamento relativo al soggetto in questione fa parte della morale, è appunto «comportamento», ma non fa parte della morale la sua esistenza, che invece è «naturale». Come in tutto, compresa la grande storia, soprattutto nella grande storia, chi pone la causa non è assolutamente in grado di controllare la conseguenza, l’effetto del suo agire. Se non eliminando tale effetto.
Mi fermo, perché mi rendo conto di avere in qualche modo sconfinato nella scienza e/o nella filosofia, e non me ne riconosco il titolo. Ma sarebbe opportuno che anche la scienza e la filosofia, prima di spaccare il capello in quattro, o anche in più di quattro, s’impegnassero a prendere atto dell’esistenza del capello, a riconoscere l’esistenza previa del capello, che non è l’effetto del loro esercizio, ma quanto lo rende possibile ed eventualmente necessario, purché lo rispettino. Diversamente, con il microscopio, con il telescopio e con i concetti si costruisce l’utopia, non si descrive, non si misura o non si valuta la realtà. E l’utopia non è il regno della fantasia, che — come dice uno scrittore — «sub-crea» (1) e indaga le dimensioni dello spazio e del tempo, ma il regno della negazione della realtà, il regno di Procuste. Procuste fu gigante famoso nell’antica Grecia per la sua crudeltà: infatti, assaliva i viandanti e li costringeva a sdraiarsi sopra un letto, amputando loro le membra che sopravanzassero, o stirando violentemente le membra più corte del letto; quindi era ed è atto a indicare il dominio dell’ideologia, che disprezza e mutila la realtà stessa.
Giovanni Cantoni
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* Testo annotato dell’articolo comparso con il titolo Chi gioca con l’embrione, in L’Indipendente, anno XI, n. 62, Roma 4-3-2005, p. 2.
(1) Cfr. John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), Sulle fiabe, trad. it., in Idem, Il medioevo e il fantastico, a cura di Christopher Tolkien, ed. it. a cura di Gianfranco de Turris, Luni, Milano-Trento 2000, pp. 167-238, soprattutto pp. 227-229.