di Domenico Airoma
Le fiamme che avvolgono il pinnacolo della cattedrale di Parigi e lo divorano fino a farlo precipitare, sprigionando un vortice di fuoco e di fiamme, rievocano un altro terribile incendio. Quello che circondò le torri gemelle di New York, colpite dall’odio del fondamentalismo islamico per l’Occidente. Questa volta, però, non c’è un nemico contro cui inveire. E neppure un complotto. C’è forse solo incuria e negligenza. E c’è forse più di un Undici Settembre.
Dinanzi a quelle macerie ancora roventi, al cospetto di quelle torri annerite dal fumo, non ci sono solo i francesi. C’è tutto un mondo che è costretto impietosamente a guardare se stesso, a considerare quanto è rimasto del suo corpo e del suo spirito.
L’abbattimento delle Torri gemelle ha cambiato lo skyline di Manhattan in modo definitivo; ma nessuno ne ha invocato la ricostruzione.
Il rogo di Notre Dame non sfigura solo il paesaggio di Parigi. Ferisce l’anima dell’Europa intera. Induce a guardarsi dentro. Spinge a pregare. E soprattutto impone un’urgenza: ricostruire.
Ma perché ricostruire?
Perché non possiamo rassegnarci a vivere in un mondo di macerie; perché ne ha bisogno la nostra anima; perché è Notre Dame che ce lo chiede.
Martedì, 16 aprile 2019