di Oscar Sanguinetti
Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti nasce a Cesena, allora nello Stato della Chiesa, nel 1742, penultimo figlio del conte Scipione Chiaramonti (1798-1850) e di Giovanna Coronata Ghini (1713-1777).
All’età di quattordici anni sceglie di entrare nel monastero benedettino di Santa Maria del Monte nella sua città natale, prendendo il nome di Gregorio. Nel 1765 riceve il sacramento dell’ordine. Il 16 dicembre 1782, il neo-eletto Pontefice Pio VI (1775-1799) lo proclama vescovo di Tivoli (Roma); quindi, il 14 febbraio 1785 gli impone il galero cardinalizio, assegnandogli contemporaneamente la cattedra di Imola (Bologna).
Lo scoppio della Rivoluzione in Francia sfocia nel 1792 nella guerra fra la Francia e le monarchie europee decise a restaurare il re Borbone: dopo alterne vicende, la Repubblica riporta successi decisivi, che non solo salvano il nuovo regime ma lo proiettano oltre le frontiere dell’antico regno.
Nel 1796 l’esercito d’Italia guidato dal giovane generale di artiglieria Napoleone Bonaparte (1769-1821) sconfigge gli austro-russi alle porte della Lombardia e ha mano libera per scendere la Penisola e occuparne i ricchi ma deboli principati.
L’invasione degli Stati pontifici è scongiurata da un armistizio siglato a Bologna il 23 giugno 1796 e da un trattato stipulato a Tolentino, nelle Marche, il 19 febbraio del 1797, che impongono un prezzo altissimo alla non-belligeranza francese.
Nel 1797, Imola, come il capoluogo Bologna, è aggregata alla Repubblica Cisalpina. Il vescovo Chiaramonti sa che le idee che animano i repubblicani francesi e i loro partigiani autoctoni si scontravano con il tradizionalismo e la cultura patriarcale delle campagne e sarebbero state accolte da reazioni popolari violente, come era avvenuto a Lugo in Romagna nel luglio del 1796. Per questo, in occasione del Natale del 1797 dirà: «La forma di Governo Democratico adottata fra di noi, o dilettissimi Fratelli, no non è in opposizione colle massime fin qui esposte, né ripugna al Vangelo; esige anzi tutte quelle sublimi virtù, che non s’imparano che alla scuola di Gesù Cristo, e le quali, se saranno da voi religiosamente praticate, formeranno la vostra felicità, la gloria e lo splendore della nostra Repubblica»[1].
Nel 1798 gli Stati pontifici sono invasi e il Papa Pio VI arrestato e deportato verso la Francia, morendo nel 1799 a Valence.
L’anno successivo le armi francesi sono sconfitte e, con la restaurazione «dei tredici mesi», il Bolognese tornerà sotto la sovranità del Papa.
Il conclave per eleggere il successore di Pio VI si tiene in territorio imperiale, a Venezia, in quanto la Penisola è considerata ancora instabile. Qui il 30 novembre si riuniscono trentacinque cardinali, che, dopo tre mesi di «fumate nere» eleggono l’out-sider mons. Chiaramonti, proposto dal segretario di Stato card. Ercole Consalvi (1757-1824), che sarà proclamato Papa Pio VII il 14 marzo 1800.
Poco dopo, il 14 giugno 1800, sbaragliando gli austriaci a Marengo (Alessandria), Bonaparte torna però arbitro dell’Italia. E si riaccende il conflitto con la Santa Sede.
Il conflitto fra Stato e Chiesa non era una novità, ma ora l’autocomprensione dei due soggetti è diversa rispetto all’epoca medioevale. Da un lato sta un autocrate, che legittima il suo potere attraverso una presunta volontà del popolo e concepisce il ministero petrino come puro instrumentum regni, che ha la missione di propagare nel mondo la libertà, l’uguaglianza e la fraternità. Dall’altro, il capo di una Chiesa indebolita da decenni di giurisdizionalismo, di illuminismo, di giansenismo e priva della sponda temporale.
Nonostante lo sfondo conflittuale, agli esordi del pontificato di Pio VII si crea tuttavia una convergenza di eventi favorevole a riannodare i rapporti con lo Stato francese.
Bonaparte è preoccupato per la nazione, prostrata da un decennio di devastanti conflitti civili e militari e ha altresì ben presente l’esperienza vissuta in Italia nell’anno «nero» per la Francia, il 1799. Capisce cioè che, se la Rivoluzione vuole fare i proverbiali «due passi avanti», è quello il momento di fare il classico «passo indietro» e decide così di riaprire il dialogo con Roma.
Dal canto suo, il nuovo Papa comprende che un accordo porrebbe fine al carnevale sanguinario degli anni «giacobini» e un sollievo per la Chiesa. Così, dopo ripetuti ballon d’essai incrociati, la Santa Sede nel 1801 sigla un concordato con la Francia.
Tuttavia, con le cosiddette «leggi organiche» di applicazione del trattato, Napoleone si riprende in buona misura quanto aveva dovuto concedere. Davanti a questa scaltra rimonta, Pio VII, pur obtorto collo, sceglie di sorvolare, poiché comunque ciò che resta del patto del 1801 significa la pace religiosa. E, in seguito, dovrà sorvolare su ben altre stranezze, come il culto di un «san Napoleone» e il catechismo «imperiale».
Per incoronare imperatore Napoleone, nel 1804, Pio VII accetta di spostarsi a Parigi e «glissa» sull’auto-imposizione della corona e sul giuramento che l’imperatore fa di rispettare le «leggi del Concordato», ossia le leggi applicative e non la lettera dell’accordo.
Con l’incoronazione a Re d’Italia, avvenuta a Milano nel 1805, Napoleone si presenta come erede del Sacro Romano Impero, ergo Re di Roma. Grazie a quest’ultima prerogativa, Napoleone riteneva di avere sovranità sugli Stati della Penisola, incluso lo Stato del Papa. Scrive infatti: «Come principe temporale, [il Papa] volente o nolente, fa parte della mia confederazione»[2].
Infatti, poco dopo egli esige che il Papa si schieri ufficialmente con la Francia nella guerra, ripresa nel 1805. Al diniego del Papa, nel 1807 Napoleone ordina l’occupazione del porto di Ancona. A questo gesto di rottura, Pio VII replica con grande fermezza e coraggio. Ma non serve: Napoleone dà ordine di occupare anche il porto di Civitavecchia, nonché i due principati ai confini con il Regno di Napoli, Benevento e Pontecorvo.
Nella guerra che nel 1809 si prepara in Europa Napoleone esige di nuovo che il Papa — ancora formalmente in trono — schieri la diplomazia e le armi pontificie al suo fianco. Ma Pio VII di nuovo rifiuta. Così, il 2 febbraio 1809, il generale Sextius de Miollis (1759-1828) occupa il resto del Lazio e la capitale.
Per qualche mese Pio VII è lasciato ancora sovrano, mentre i francesi si fanno sempre più arroganti e invadenti. Il Papa rifiuta tuttavia di abbandonare la Città santa e colpisce di scomunica «gl’invasori», incluso l’imperatore. Napoleone, a questo punto, gli detta un ultimatum, spirato il quale ordina a Miollis di occupare i palazzi vaticani e Castel Sant’Angelo, cosa che avviene nella notte fra il 5 e il 6 luglio 1809. Il 6 luglio, il generale Étienne Radet (1762-1825) comanda l’assalto alla dimora del Papa, il Quirinale. Il Pontefice è arrestato e trasportato sui due piedi fuori Roma e inizia per lui un lungo e penoso viaggio che si concluderà a Savona, da poco territorio imperiale.
Al ritorno dalla disastrosa spedizione contro la Russia, Napoleone decide il 19 giugno di spostare il Papa a Fontainebleau, dove aduna intorno a lui un certo numero di cardinali, fra «rossi», quelli concilianti, e «neri» — tredici —, detti così perché, ritenuti ostili al regime, sono privati dei benefìci e delle insegne esteriori, ridotte all’abito nero clericale.
Il 25 gennaio 1813, al culmine delle pressioni, Pio VII accetta di firmare una bozza di accordo che, contrariamente alle intese, viene divulgata subito in tutta Europa come «nuovo Concordato». Ma il 28 gennaio 1814 il Papa ritratta coraggiosamente l’accordo, in quanto «coactus fecit».
Nell’ottobre del 1813 Napoleone è sconfitto a Lipsia e il suo astro in breve tramonta.
Poco prima di abdicare, il 21 gennaio 1814, il despota sconfitto rinvia il Pontefice a Savona, da dove Pio VII torna a Roma: il suo viaggio verso la Città Eterna, lungo la via tirrenica, è un trionfo.
Il 7 agosto di quello stesso anno, Papa Pio VII, appena reinsediato, compie un gesto di straordinaria importanza, autorizzando la ricostituzione della Compagnia di Gesù.
Ma le tribolazioni non sono ancora finite. All’inizio del 1815 il re “napoleonico” di Napoli Joaquim Murat (1767-1815) attacca lo Stato Pontificio e Pio VII, dopo un lungo tour verso nord, deve rifugiarsi nei suoi territori. Appena reinsediato a Roma, rinomina il card. Consalvi segretario di Stato.
* * *
Non è naturalmente possibile ridurre il pontificato di Pio VII alla lotta contro Napoleone, anche se i lunghi anni del conflitto lo assorbono in misura pressoché totale. Nei dieci anni di riconquistata libertà la sua azione magisteriale e missionaria potrà dispiegarsi in altri ambiti e latitudini.
Pio VII non è solo un Papa «politico»: egli stipula nuovi concordati; tiene diciannove concistori in cui nomina novantanove cardinali; promuove le scienze; modernizza l’amministrazione dei suoi Stati; avvia la redazione di nuovi codici; condanna la Carboneria e le altre sette. Inoltre a lui si deve l’istituzione della festa della Beata Vergine Addolorata, nonché la beatificazione di grandi cristiani, come Alfonso de’ Liguori (1696-1787) e Veronica Giuliani (1660-1727).
Tuttavia, all’inizio del XIX secolo l’Europa è ancora il centro del mondo e Roma la testa e il cuore della cristianità. La dura lotta combattuta dal Papa contro il laicismo della Rivoluzione lascia una impronta sensibile sui Papi successivi e sulla Chiesa del secolo XIX, influenzando, per esempio, la nascita dell’ultramontanismo e l’atteggiamento dei pontefici alla ripresa del processo rivoluzionario.
Nei suoi travagliati anni Pio VII comprende che l’Europa, culla della Chiesa, inizia a farsi sempre meno ospitale per il Vangelo, mentre altre cristianità fioriscono rigogliose oltre gli oceani, specialmente nelle due Americhe e domandano nuova attenzione.
«Papa martire» — così lo ha definito il cardinale Angelo Sodano (1927-2022)[3] — di lui è stata avviata la causa di beatificazione il 15 agosto 2007.
Fra il 2023 e il 2024 si è svolto l’Anno Chiaramontiano, con molteplici iniziative commemorative; il 20 agosto 2024, a chiusura dell’Anno, si è tenuta una solenne concelebrazione nella cattedrale di Cesena, presieduta dal card. Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Il regnante pontefice, a sua volta, ricevendo i pellegrini delle diocesi «chiaramontiane», così si è espresso: «Papa Pio VII […] seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo»[4].
Martedì, 5 novembre 2024
Per approfondire
— Philippe Boutry, voce Pio VII, in Enciclopedia dei Papi, 3 voll., Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2008, vol. III, pp. 509-529 (con vasta bibliografia).
— Luigi Crippa O.S.B., Pio VII verso l’onore degli altari, EDI. Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2014.
— Napoleone Bonaparte, Correspondance publiée par ordre de l’Empereur Napoléon III, 32 voll., Imprimerie Impériale, Parigi 1858-1869 (disponibile online nel sito web <www.gallica.fr>).
— Ilario Rinieri S.J., Napoleone e Pio VII (1804-1813). Relazioni storiche su documenti inediti dell’Archivio Vaticano, 2 voll., UTET. Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1906.
[1] Cfr. Omelia del cardinale Chiaramonti (Pio VII) detta al popolo d’Imola nel Natale dell’anno 1797, ed. integrale, Le Monnier, Firenze 1859.
[2] Napoleone Bonaparte, Lettera a Talleyrand, da Saint-Cloud, del 19-6-1806, in Correspondance de Napoléon Ier publiée par ordre de l’Empereur Napoléon IIIme, 32 voll., Imprimerie impériale, Parigi 1858-1869, vol. XII, lettera n. 10.377, p. 577.
[3] Angelo card. Sodano, Pio VII e Napoleone. Una lezione della storia, conferenza tenuta a Limone Piemonte (Cuneo) il 28 agosto 2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, 29-8-2009.
[4] Francesco, Discorso ai pellegrini delle diocesi di Cesena-Sarsina, Tivoli, Savona-Noli e Imola, in occasione del bicentenario della morte del servo di Dio Pio VII, del 20-4-2024.