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Pio VII e Napoleone

27 Dicembre 2024 - Autore: Oscar Sanguinetti

Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 430 (2024)

È ricorso nel 2023 il bicentenario del ritorno al Padre del servo di Dio Papa Pio VII, asceso al Soglio nel 1800, e nell’agosto del 2024 si è concluso l’anno a lui dedicato. La sua è stata una vita non poco travagliata e il suo pontificato, nell’ultimo squarcio di essa, drammatico. L’occa­sione si presta a ricordarne brevemente la figura, illuminando in particolare la vicenda che fu al centro del suo ministero di Pontefice e di re, cioè il duro confronto con Napoleone I Bonaparte (1769-1821), imperatore dei francesi.

1. Pio VII

Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti nasce a Cesena, in Romagna, allora nello Stato della Chiesa, il 14 agosto 1742, penultimo dei figli — quattro maschi, Giacinto, Tommaso, Gregorio e il nostro Barnaba, e una femmina, Olimpia — del conte Scipione Chiaramonti (1698-1750) e di Giovanna Coronata Ghini (1713-1777), la quale, donna di profonda religiosità, rimasta vedova nel 1750, entrerà in seguito fra le carmelitane a Fano (Pesaro-Urbino). Alla nobiltà di Cesena appartengono anche i Braschi, la famiglia di Papa Pio VI (1775-1799), in stretti rapporti con i Chiaramonti.

Iscritto, come i fratelli, al Collegio dei nobili di Ravenna, non completa il ciclo scolastico perché, all’età di quattordici anni, nel 1756, sceglie di entrare nel monastero benedettino di Santa Maria del Monte nella sua città natale, prendendo il nome di Gregorio. Nell’agosto del 1758 fa la sua professione di fede. I suoi superiori, resisi conto delle capacità del giovane, lo inviano a studiare prima, dal 1760 al 1763, all’abbazia di Santa Giustina a Padova — in territorio della Repubblica di Venezia — e poi al collegio Sant’Anselmo di Roma, dove rimane dal 1763 al 1766 e nel 1765 riceve il sacramento dell’ordine; in seguito, dal 1766 al 1772, insegna filosofia nel monastero di San Giovanni Evangelista a Parma — in territorio del Ducato di Parma e Piacenza, poco favorevole alla teologia romana e una delle prime Corti a espellere i gesuiti —, infine è trasferito — anche, pare, per contrasti con i confratelli — presso l’ab­ba­zia di San Paolo Fuori le Mura, dove, dal 1772 al 1781, è priore e insegna teologia. Nel 1781 è nominato abate titolare di Gangi (Messina) (1).

Il 16 dicembre 1782, il neo-eletto Pontefice Pio VI nomina il suo concittadino vescovo di Tivoli (Roma) e, quindi, il 14 febbraio 1785, gli impone il galero cardinalizio, assegnandogli la cattedra di ordinario di Imola (Bologna): qui per un decennio si farà apprezzare per il suo carisma personale, l’umiltà, la devozione mariana e l’amore per la cultura. Dom Chiaramonti ospiterà a Imola gesuiti cileni espulsi e, dopo il 1792, preti «refrattari» esuli dalla Francia rivoluzionaria.

Lo scoppio della Rivoluzione in Francia e il succedersi accelerato di sanguinosi eventi e di violenze contro il clero e i religiosi indurranno diversi prelati e laici degli Stati Pontifici a dar vita a una vasta operazione di propaganda presso le popolazioni per prevenire il contagio delle idee irreligiose ed eversive che trionfavano Oltralpe e rendevano sempre più impazienti i nuclei filo-rivoluzionari — detti popolarmente «giacobini» — delle città papaline.

Purtroppo, questo evento si verifica nel 1796, quando l’esercito del Direttorio, guidato dal giovane e brillante generale di artiglieria di origini côrse, Napoleone Bonaparte, sconfitti gli austro-russi alle porte della Lombardia, ha mano libera per discendere la Penisola e occuparne i ricchi ma deboli principati. Mentre il Piemonte è francesizzato, nel resto dell’I­talia settentrionale vengono instaurate repubbliche a regime democratico come la Cispadana, la Transpadana, la Cisalpina, la Ligure. Mentre i ceti elevati, per lo più di buon grado, accettano i nuovi regimi, i ceti umili, meno contaminati dalle idee egualitarie del secolo e assai affezionati ai propri sovrani e alle proprie tradizioni, reagiscono e spesso insorgono.

L’invasione completa degli Stati Pontifici — il Papa si era unito alle potenze europee coalizzate contro la Francia ed era quindi considerato un nemico — dopo qualche scaramuccia con i francesi intorno a Faenza — che costa ai pontifici la perdita delle Legazioni di Bologna e di Ferrara, di Loreto e dell’importante porto di Ancona —, è scongiurata provvisoriamente da un armistizio siglato a Bologna il 23 giugno 1796: la Santa Sede, a titolo di «indennità di guerra», deve versare 21 milioni di scudi alla République, cedere definitivamente Bologna — quindi Imola —, Ferrara, Ravenna e Ancona e consegnare numerose opere d’arte di inestimabile valore, che finiranno al neo-costituito Museo del Louvre a Parigi. 

Dopo nuovi scontri fra reparti francesi al comando del generale Claude-Victor Perrin, detto «Victor», (1764-1841), e circa ottocento militi della Legione Cispadana, avvenuti il 2 febbraio al guado del torrente Senio e intorno a Faenza, un trattato, stipulato a Tolentino, nelle Marche, il 19 febbraio del 1797, garantisce la non-belligeranza francese, inasprendone però il prezzo, con la perdita di Avignone, del Contado Venassino e, in via definitiva, delle Legazioni, e con la confisca di centinaia di opere d’arte e bibliografiche. 

Nel 1797, Imola, con Bologna, è aggregata alla Repubblica Cisalpina. Il vescovo Chiaramonti conosce bene le idee libertarie ed egualitarie che animano i repubblicani francesi e i loro partigiani autoctoni. E sa, altresì, che le riforme che questi stavano attuando si sarebbero scontrate con il tradizionalismo e l’ambiente patriarcale delle campagne e sarebbero quindi state foriere di reazioni violente, come era già avvenuto a Lugo, in Romagna, nel luglio del 1796 quando, domata la rivolta con circa trecento vittime (2), la città era stata saccheggiata dagl’invasori (3). Il comportamento ostinatamente rapace e dissacrante degli occupanti lo confermava in questa previsione. Per prevenire appunto ulteriori sollevazioni, già il 4 marzo 1797 raccomanderà la sottomissione alle nuove autorità. In occasione poi del Natale del 1797 il vescovo terrà la sua ormai famosa omelia sulla compatibilità della democrazia con il Vangelo, in cui dirà: «La forma di Governo Democratico addottata fra di noi, o dilettissimi Fratelli, no non è in opposizione colle massime fin qui esposte, né ripugna al Vangelo; esige anzi tutte quelle sublimi virtù, che non s’imparano che alla scuola di Gesù Cristo, e le quali, se saranno da voi religiosamente praticate, formeranno la vostra felicità, la gloria e lo splendore della nostra Repubblica» (4).

Ma è solo una tregua. Dopo aver debellato e resa inoffensiva la massima fra le potenze anti-francesi in Italia, l’Austria, Bonaparte, rimasto dominus incontrastato della Penisola, all’inizio del 1798 invade l’Ita­lia centro-meridionale e il Lazio e proclama a Roma la Repubblica: Papa Pio VI è arrestato e deportato in Francia in un lungo e disagevole viaggio che costerà la vita all’anziano pontefice, il quale spirerà a Valence, a sud di Lione, il 29 agosto 1799. 

Proprio in quei giorni, nella primavera del 1799, gli eserciti austro-russi della Seconda Coalizione sfondano il fronte sul fiume Adda e dilagano nella pianura padana, mentre le milizie «sanfediste» del cardinale laico Fabrizio Ruffo di Bagnara e Baranello (1744-1827) riconquistano il Regno di Napoli. Si arriverà così alla breve restaurazione «dei tredici mesi», in cui l’Italia — salvo la Repubblica di Venezia, già incorporata dall’Austria nel 1797, e quella di Genova, assegnata alla Corona sabauda dopo un solo anno di indipendenza — tornerà come prima e Imola e il Bolognese di nuovo sotto la sovranità del Papa.

Subito dopo la drammatica morte di Pio VI in esilio il conclave per eleggere il suo successore deciderà di riunirsi in territorio imperiale, a Venezia, in quanto Roma non era stata ancora del tutto liberata dai francesi. Per esempio, nel 1799 il vescovo Chiaramonti storna la minaccia del saccheggio di Imola (5) andando incontro a piedi alle truppe francesi — comandate dal generale Pierre-Augustin Hulin (1758-1841), uno degli «eroi» della Bastiglia —, inopinatamente tornate in città, negoziando con lui un do ut des — la fornitura di cinquecento camicie e cinquecento paia di scarpe (6) — e salvando così la città. Tale era stato, altresì, sin dal 1797, il desiderio del Pontefice scomparso. 

Nell’isola veneziana di San Giorgio Maggiore, il 30 novembre, si riuniranno trentacinque cardinali. Nell’assise vi saranno tre mesi di stallo, dovuti al braccio di ferro fra due candidati, il cardinale romano Alessandro Mattei (1744-1820) e il pavese Carlo Bellisomi (1736-1808): dal­l’im­passe uscirà eletto l’outsider mons. Chiaramonti, proposto dal segretario del conclave, il romano monsignor Ercole Consalvi (1757-1824). Pio VII sarà proclamato Papa il 14 marzo del 1800.

Dopo un breve soggiorno in Veneto e qualche schermaglia con Francesco II d’Austria (1768-1835) — che desiderava la devoluzione all’Impero delle Legazioni e di Bologna, cosa che il nuovo Papa gli negava, e cercava di trattenere il neo-eletto in Veneto —, Pio VII il 3 luglio, dopo un viaggio per mare fino ad Ancona, fa ritorno nell’Urbe. Il 15 marzo 1800 sceglie come pro-segretario di Stato monsignor Consalvi, nominandolo cardinale l’11 agosto succes­sivo, e il 15 maggio promulga la sua prima enciclica, Diu satis. 

 2. Il braccio di ferro con Bonaparte

Poco dopo questi eventi, il 14 giugno 1800, sbaragliando gli austriaci a Marengo (Alessandria), Bonaparte torna però arbitro dell’Italia. Allora si riaccende il conflitto fra le due potestà supreme che aveva animato la cristianità occidentale fino a tutto il Settecento (7). Ma Bonaparte non è un sacro romano imperatore, anche se tenterà di diventarlo: il suo impero in realtà è il frutto maturo della Rivoluzione francese, anche se appare un ritorno dell’ordine dopo gli «anni bollenti». La sua concezione del rapporto con la Chiesa è ispirata ai princìpi della rigida separazione fra le due istituzioni — rinnovando, radicalizzandolo con lo «spirito» del­l’Ottantanove, l’antico giurisdizionalismo dei sovrani — e della religio instrumentum regni. E Pio VII non è un nuovo Bonifacio VIII (1294-1300): ha idee tutt’altro che teocratiche, ma non potrà mai accettare che la nuova creatura politica che lo fronteggia privi la Chiesa della sua libertà di evangelizzare il popolo e di munirlo dei conforti della fede.

2.1 Premessa: la soppressione della Compagnia ignaziana

Il contrasto fra Chiesa e Stato non nasce improvviso ma, tralasciando le vicende medioevali, si colloca in una sequenza di eventi lunga almeno un secolo. Le dispute giurisdizionalistiche e i tentativi di creare chiese nazionali segnano ininterrottamente il periodo dell’affermazione dello Stato moderno. In questo ambito uno dei contendenti, lo Stato, consegue il suo primo successo determinante con la soppressione da parte dei sovrani «illuminati» della Compagnia di Gesù, nemica acerrima e bersaglio delle critiche dei philosophes. Dopo la spaccatura della cristianità ai tempi di Martin Lutero (1483-1546) e di Carlo V (1500-1558) questo ulteriore duro colpo fa vacillare il sistema detto «antico regime», perché priva i vertici della società della centrale più efficace di diffusione di una cultura impregnata dei princìpi della teologia romana e del realismo filosofico. 

Il provvedimento cancella, talora nel sangue, anche le estese e ricche missioni gesuitiche oltre Atlantico, veri esperimenti di una società secondo la legge divina e naturale attuati, con successo, presso i popoli indigeni. 

Tolto di mezzo il poderoso antemurale gesuitico, chiuse le scuole e i collegi dell’ordine, svuotate le residenze, esiliati i padri, disperso il patrimonio intellettuale, le corti europee e le aristocrazie in genere si trovano senza difesa di fronte alla penetrazione delle idee del secolo, i Lumi, fino a cadere sotto la dittatura culturale dei philosophes e a popolare, talora solo perché è il «gioco di moda», le pullulanti «società di pensiero» e le decine di logge massoniche seminate in tutto l’Oc­cidente e nelle colonie. 

A ogni modo, il gioco finisce presto e da quelle stesse logge germinano i club po­litici del tempo della Rivoluzione francese, il cui «gioco» preferito non è più fantasticare e chiacchierare su come edificare il «tempio della virtù», bensì tagliare teste di nobili e di «contro-rivoluzionari».

2.2 La Chiesa nella Rivoluzione francese

La Rivoluzione di Francia frantuma il rapporto di cooperazione «a basso tasso di conflittualità» fra i due gladi. L’abolizione del regime feudale — che investiva anche i feudi ecclesiastici —, l’appropriazione delle énclave pontificie di Avignone e del Contado Venassino, la Costituzione civile del clero, la soppressione delle rendite e la confisca dei beni ecclesiastici, la nomina governativa dei vescovi e dei parroci, lo scioglimento delle comunità religiose contemplative, le limitazioni del culto, la distruzione di antiche chiese e di abbazie, la dispersione di immensi patrimoni bibliografici e culturali, la persecuzione di sacerdoti e di religiosi, il patibolo salito dal «Re cristianissimo» e dalla sua sposa: questa la valanga di eventi che si abbatte in pochi anni sulla Chiesa francese, ma è solo l’ini­zio. A poco a poco tutti i Paesi soggiogati dalle baionette repubblicane e napoleoniche, in special modo la ricca e «papalina» Italia, sono sconvolti da eventi analoghi. Il regime di occupazione francese non è, come accadeva prima, solo un cambio della guardia nella guarnigione del castello o l’ingresso di un nuovo governatore «a palazzo», cioè un evento che lascia sostanzialmente intatta la vita del corpo sociale che si auto-governa: è un vero e proprio mutamento di regimepilotato dall’al­to. 

3. Pio VII e Napoleone

Il confronto fra Stato e Chiesa nei primi anni del secolo XIX sembra coagularsi intorno a due persone e a due personalità: da un lato il fulminante genio militare e politico e il rigido autoritarismo del despota, a capo della massima potenza mondiale, dall’altra, il gracile e schivo abate benedettino, successore di Pietro. 

Nonostante il conflitto latente, agli esordi del pontificato di Pio VII si crea una convergenza di eventi favorevole per riannodare i rapporti fra lo Stato francese uscito dalla Rivoluzione e la Chiesa di Roma. Dopo la seconda fase del conflitto tra la Francia e i sovrani europei in Europa si apre un quinquennio di provvisoria calma: mentre Napoleone irrobustisce il suo Stato — nel 1804 crea l’Impero e lo stesso anno promulga il Code Civil —, i suoi nemici affilano le baionette — è di questi anni la riorganizzazione del vetusto esercito austriaco (8) — per la ripresa del conflitto armato.

L’allora Primo Console è preoccupato per la condizione della nazione, duramente provata da un decennio d’ininterrotti e devastanti conflitti civili e militari, ma ha presente anche l’esperienza vissuta in Italia nell’anno «nero» per la Francia, il 1799: capisce quindi che, se vuole fare i proverbiali «due passi avanti», è quello il momento di fare il classico «passo indietro» e decide così di approfittare della momentanea pace per aprire le trattative con Roma. 

Il nuovo Papa, a sua volta, capisce che la ventilata apertura porrebbe fine al carnevale sanguinario degli anni «giacobini» e segnerebbe il ritorno alla pace religiosa. 

Così, dopo ripetuti ballon d’essai incrociati, si arriva a un’intesa, stipulata in forma concordataria il 15 luglio 1801. L’anno dopo, un simile accordo viene stretto con la Repubblica Italiana, la creatura politica nata nel 1800 nell’Italia Settentrionale, di cui Bonaparte era formalmente presidente. 

Pare un evento decisamente di svolta e l’alba di una nuova stagione per la Chiesa. Tuttavia, come è noto, con i cosiddetti settantasei «articoli organici», elaborati dal giurista illuminista Jean-Étienne-Marie Portalis (1746-1807) e promulgati dal governo francese in applicazione del trattato, l’astuto autocrate transalpino si riprende in buona misura quanto aveva dovuto cedere, ripristinando per la Chiesa di Francia uno statuto simile alla Costituzione civile del clero. Davanti a questa rimonta il Papa e il card. Consalvi, pur obtorto collo, scelgono di sorvolare, poiché comunque ciò che resta del patto del 1801 era per i cattolici una condizione assai migliore di quella degli anni repubblicani. E, in seguito, dovranno sorvolare su ben altre stranezze, come il culto di un «san Napoleone» — la cui festa è fissata per il 15 agosto, in coincidenza con l’Assunzione — e il catechismo «imperiale». Un segno di buona volontà dei francesi sarà l’au­torizzazione al rimpatrio dei resti di Papa Pio VI da Valence nel 1802.

Questo atteggiamento del Papa non è tuttavia condiviso da tutti i cardinali della Curia, divisisi in «politicanti», cioè moderati, e «zelanti», ovvero tradizionalisti, i quali ultimi quasi sempre, nelle consultazioni che regolarmente il Papa tiene con loro, emettono vota negativi o restrittivi.

L’atteggiamento conciliante del Papa emerge soprattutto in occasione dell’incoronazione del Primo Console a imperatore dei francesi nel 1804. Nell’occasione, Pio VII accetta infatti di spostarsi a Parigi, cosa del tutto insolita, anche se vi era il precedente della visita di Pio VI a Vienna poco più di vent’anni prima. E sorvola anche sull’auto-imposi­zione della corona e sul giuramento che l’imperatore fa di rispettare le «leggi del Concordato», ossia gli «articoli organici» e non la lettera del patto. Il governo francese, per irriderlo, lo condurrà al Museo del Louvre ad ammirare i capolavori artistici devoluti coattamente con il Trattato di Tolentino.

Dopo l’incoronazione a re d’Italia, avvenuta nel Duomo di Milano nel 1805, dove Napoleone cinge l’antica Corona Ferrea dei re longobardi, nella politica bonapartista affiora un’altra idea, gravida di conflittualità. Ormai l’imperatore tende a presentarsi come erede del Sacro Romano Impero — che, in previsione di tale gesto, si auto-estingue formalmente l’anno successivo —, cioè come titolare di una sovranità più alta rispetto a quella dei principi esistenti. Inoltre, la carica imperiale include quella di Re di Roma, si considera sovrano anche dei pochi Stati della Penisola rimasti formalmente indipendenti, incluso lo Stato del Papa. «Come principe temporale, [il Papa] volente o nolente, fa parte della mia confederazione» (9), come se gli Stati europei fossero una grande Confederazione Germanica.

E ancora, in una lettera al cardinale côrso Joseph Fesch (1763-1839), suo zio e ambasciatore a Roma: «Dite che Costantino ha separato il civile dal militare e che io posso anche nominare un senatore che comandi a Roma in nome mio. […] Per il Papa io sono Carlomagno, perché, come Carlomagno, riunisco la corona di Francia, quella dei Longobardi, e il mio impero confina con l’Oriente. Io intendo dunque che la sua condotta sia regolata con me su questo punto di vista. Io non cambierò nulla alle apparenze se si comporta bene, in caso diverso ridurrò il Papa a semplice vescovo di Roma» (10).

Quindi, rivolgendosi direttamente al Pontefice, il 13 febbraio del 1806, in un capolavoro di ipocrisia, scriverà: «Tutta l’Italia sarà sottomessa alla mia legge. Io non menomerò per nulla l’indipendenza della Santa Sede, le farò anche pagare i danni che le recheranno i movimenti del mio esercito; ma i nostri patti dovranno essere che Vostra Santità avrà per me, nel temporale, gli stessi riguardi che io le porto per lo spirituale, e che Ella cesserà d’avere inutili rapporti verso eretici nemici della Chiesa e verso potenze che non possono farle alcun bene. Vostra Santità è sovrano di Roma, ma io ne sono l’imperatore. Tutti i miei nemici debbono essere i suoi. Conviene dunque che nessun agente del re di Sardegna, nessun Inglese, Russo o Svedese risieda a Roma o nei vostri Stati e che nessuna nave appartenente a queste potenze entri nei vostri porti. Io avrò sempre per Vostra Santità, come capo della nostra religione, quella filiale deferenza che in tutte le occasioni le ho dimostrata, ma io debbo rendere conto a Dio, il quale ha voluto servirsi del mio braccio per ristabilire la religione» (11).

Poco dopo, in questa ottica, Napoleone esige che il Papa, ancora sul trono, si schieri ufficialmente a suo favore nella guerra contro l’Austria e l’Inghilterra, ripresa nel 1805. Di fronte al ripetuto diniego del Papa, atteggiandosi a protettore della Santa Sede, Napoleone, il 15 ottobre 1805, ordina l’occupazione del porto di Ancona, come anticipo del Blocco Continentale, dichiarato nel 1806. Confessa: «Io mi sono considerato come il protettore della S. Sede, ed a quel titolo ho occupato Ancona» (12).

Il pretesto della nuova invasione degli Stati del Papa è la già accennata tolleranza verso i nemici dell’Impero ospitati nei domini pontifici e, in particolare, il fatto che la Santa Sede avesse concesso protezione a «tal Barberi, assassino del generale [Mathurin-Léonard] Duphot [1769-1797]» (13). Questi era il rappresentante del Direttorio a Roma nel 1796, prima della rottura e della breve guerra fra la Repubblica e la Santa Sede svoltasi quell’anno, e aveva fatto di tutto per provocare incidenti diplomatici che consentissero ai francesi di invadere i porti strategici di Livorno e di Ancona, anche a costo dello scontro con il Papa, provocando la reazione popolare dei romani in cui aveva trovato la morte: dunque, un fatto di dieci anni prima.

A questo gesto unilaterale di rottura Pio VII replica con grande fermezza e coraggio (14). Ma non serve. 

Napoleone, dalla Germania, dove ormai regna indisturbato, sempre in nome dell’applicazione del Blocco Continentale nella guerra contro l’Inghilterra, dà ordine di occupare anche il porto tirrenico di Civitavecchia, nonché due principati pontifici autonomi posizionati strategicamente ai confini del Regno di Napoli — invaso nel 1806, passando per il territorio pontificio —, Benevento e Pontecorvo, dati in «feudo» il primo al generale Jean-Baptiste Bernadotte (1763-1844) e il secondo all’ex vescovo di Autun, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838): i domini pontifici sono praticamente circondati da principati ostili. Sottoposto a pressioni sempre più forti il Papa si spinge fino a licenziare, come voleva Napoleone, il segretario di Stato card. Consalvi, accusato di tramare contro l’impero.

Le guerre della Quarta Coalizione — Prussia, Russia, Inghilterra — spostano per un momento altrove l’attenzione del despota. Sui campi di Jena e di Auerstadt, di Eylau e di Friedland, nel convegno di Tilsit nella Prussia Orientale del luglio 1807, il «sole di Napoleone» raggiunge il suo apogeo.

Nei due anni successivi i rapporti con Roma si fanno sempre più tesi. L’11 ottobre 1806 il Papa rifiuta l’investitura canonica ai vescovi designati dal governo per le sedi vacanti nel Regno d’Italia, rompendo con questo gesto il concordato. Nell’autunno del 1807 vieta al suo rappresentante a Parigi, il cardinale «conciliante» Alphonse-Hubert de Latier de Bayane (1739-1818), di accettare la richiesta di partecipazione dello Stato Pontificio alla coalizione contro l’Inghilterra e l’aumento del numero dei cardinali francesi. Infine, a partire dal 1808, nega l’investitura ai vescovi nominati da Napoleone nelle diocesi dell’Impero. 

Se il Papa rifiuta di prendere parte alla nuova guerra che si prepara in Europa, nell’aprile del 1808 i francesi occupano per ritorsione le Marche — annesse al Regno d’Italia — e, nel maggio del 1809, l’Um­bria. Ripetendo il gesto di dieci anni prima del generale Louis-Alexandre Berthier (1753-1815), il 2 febbraio 1808 il collega Sextius Alexandre François de Miollis (1759-1828) occupa il Lazio e la città di Roma. 

Per qualche mese Pio VII — che ha ordinato ai suoi soldati di non reagire — rimane ancora nominalmente sovrano, mentre i francesi occupano l’intero Stato e si fanno sempre più arroganti e invadenti. 

I cardinali invisi a Napoleone — soprattutto Fabrizio Ruffo di Baranello (1744-1827), cui non perdonava il fatto che dieci anni prima, alla testa delle «masse» sanfediste calabresi, aveva inflitto ai francesi memorabili sconfitte (15) — conosceranno l’esilio, prima a Parigi, poi dispersi in varie città dell’Impero. 

Le cronache registrano un tentativo di far fuggire il Pontefice da Roma, guidato dall’ex leader insorgente marchigiano Giuseppe Vanni (1763-1808) di Caldarola, che, sbarcato a Ostia dal Regno di Napoli, cercherà di raggiungere Roma, ma verrà arrestato e fucilato dai francesi, nonostante la sovranità pontificia ancora in vigore (16).

Queste trame e la scomunica contro «gl’invasori» — imperatore incluso, anche se non nominatim — fulminata dal Papa con il breve Quum memoranda, del 10 giugno 1809, hanno l’effetto d’irritare ulteriormente Napoleone, che detterà un ultimatum al Papa. Il 17 successivo, ancora all’oscuro della scomunica, scrive al cugino Murat: «Raccomandate al generale Miollis […] di non sostenere alcuna polemica con le autorità; arrestate e passate per le armi tutti coloro che si oppongono all’unione [con la Francia]. Portate in Francia [il card.] Pacca e tutti quelli che sono stati ministri del Papa, tranne quelli da cui si possono trarre informazioni utili. […] Il generale Radet, con 240 gendarmi, dovrebbe essere arrivato a Roma. Mettiamo rigore, coerenza e fermezza appropriati nell’applicare queste misure. Quanto al Papa, se si oppone, non dobbiamo fare nulla di più di quanto faremmo con un vescovo ordinario. L’immunità di cui devono godere i suoi palazzi va mantenuta solo purché si sottometterà di buon grado e non farà alcunché contro la tranquillità interna dello Stato» (17).

Napoleone il 20 giugno scrive: «Ho appena ricevuto la notizia che il Papa ci ha scomunicati tutti. È una scomunica che ha rivolto contro se stesso. Basta riguardi: è un pazzo furioso che deve essere rinchiuso. Fate arrestare il cardinale Pacca e gli altri seguaci del Papa» (18). E ancora: «Se il Papa, contrariamente allo spirito del suo stato e del Vangelo, predica la rivolta e vuole avvalersi dell’immuni­tà della sua casa per far stampare circolari, bisogna fermarlo. Il tempo per queste sceneggiate è passato. Filippo il Bello fece arrestare Bonifacio, e Carlo V tenne a lungo in carcere Clemente VII; e questi avevano fatto ancora meno. Un prete che predica la discordia e la guerra ai poteri temporali, invece della pace, abusa del suo carattere» (19).

Miollis, interpretando, forse con eccessivo zelo, le direttive ricevute, il 5 luglio 1809, ordina di invadere i palazzi vaticani e di occupare Castel Sant’Angelo. Poche ore dopo, intorno alle due del mattino, il generale Étienne Radet (1762-1825), su ordine di Miollis, comanda l’assalto alla dimora stessa del Papa, il palazzo del Quirinale, al quale partecipano anche una sessantina di romani, fra ex «giacobini» graziati nel 1799 e teppaglia comune. Papa Pio VII è arrestato e trasportato su due piedi fuori Roma. 

Il Papa è condotto via in carrozza, febbricitante, insieme al nuovo Prosegretario di Stato, cardinale Bartolomeo Pacca (1756-1844), nella semi-clandestinità per evitare la reazione delle popolazioni dei villaggi attraversati in un tragitto che passa per Firenze, poi Genova, quindi Grenoble — dove viene separato dal cardinal Pacca, che viene recluso per ben quattro anni nel cupo forte-carcere alpino di Fenestrelle, fra Torino e Sestriére — e rientrando poi in Italia passando per Valence e per Nizza, con meta ultima Savona, nella Liguria orientale, da poco già territorio imperiale, dove il convoglio giunge il 17 agosto.

«Sistemata» con la forza la querelle con il Papa, Napoleone può dedicarsi alla campagna del 1809, conclusasi ancora una volta — però l’ul­tima — con la sfolgorante vittoria di Wagram, nei pressi di Vienna. 

A Savona — dove resta dal 6 luglio 1809 al 9 giugno 1811 — Pio VII vive nei disagi ed è non solo privato della sua libertà di sovrano, ma anche e soprattutto impedito di svolgere il suo ministero spirituale. Il popolo savonese e gli addetti alla sua persona si fanno in quattro per far entrare e uscire la corrispondenza del Papa oltre le mura del confino. Particolarmente attivo in questo drammatico frangente è una figura ben nota negli ambienti cattolici del Cuneese: Pio Bruno Lanteri (1759-1830), sacerdote e fondatore degli Oblati di Maria Vergine, uno dei pionieri del­l’a­zione cattolica in Italia (20). Questi, per il suo atteggiamento contro-rivo­luzionario a più riprese evidenziato, è tenuto sotto tiro dalla occhiuta gen­darmeria francese — il Piemonte è da anni parte della Francia —, ma per ben due anni, attraverso la catena clandestina della sua organizzazione — Cuneo non è molto distante da Savona —, riesce più volte a far comunicare il Papa con l’esterno: nel 1811 l’operazione è però scoperta dalla polizia e Lanteri finirà confinato per tre anni, fino al 1814, nella sua tenuta della Grangia di Bardassano, nei pressi di Torino (21). Anche una società segreta realista, i Cavalieri della Fede (22), e un pubblicista, François David Aynès (1766-1827), diffusore clandestino della bolla di scomunica di Napoleone (23), si prodigano perché il Papa comunichi con l’esterno.

Nel periodo di pace che intercorre fra Wagram e l’invasione della Russia, l’autocrate parigino ripudia Josephine de la Pagérie Beauharnais (1763-1814), sposata civilmente il 9 marzo 1796, e il 2 aprile 1810, nella cappella allestita ad hoc nel palazzo del Louvre, alla presenza di un collegio cardinalizio dimidiato, convola a nozze religiose, officiante lo zio cardinale Fesch, con la principessa Maria Luigia d’Austria (1791-1847), figlia di Francesco II. È l’ennesimo gesto di disprezzo per le leggi di Dio e per l’autorità del Pontefice. Poco dopo, cerca di minare l’autorità apostolica contrapponendogli un’assemblea di vescovi «nazionali», riunendo nel 1811 a Parigi — il cosiddetto «conciliabolo di Parigi» —, con la mediazione del card. de Bayane, novantacinque vescovi francesi. Ma anche questo non serve a piegare Pio VII. 

Al ritorno dalla disastrosa spedizione contro la Russia, Napoleone decide di portare il Papa più vicino a sé e nel 1812 — accantonato il progetto d’insediarlo addirittura nell’Ilê de la Cité di Parigi — ordina il frettoloso trasferimento del Papa sofferente — al punto tale che, al passo del Moncenisio, gli fu impartita l’estrema unzione —, durato dal 9 al 19 giugno, da Savona al castello di Fontainebleau, nei pressi della capitale. Qui crea un simulacro di corte pontificia adunando intorno a Pio VII un gruppo di cardinali provenienti dai territori a lui sottomessi. Gli undici filo-napoleonici saranno detti cardinali «rossi», perché conserveranno la porpora; gli oppositori, invece, cardinali «neri» (24), perché privati delle insegne esteriori, ridotte all’abito nero clericale. 

Il 25 gennaio 1813, stremato dalle pressioni di Napoleone, che incontra vis-à-vis lungo tutta una settimana, Pio VII accetta di apporre la sua firma sotto una bozza di accordo che, contrariamente alle intese, viene divulgata in tutta Europa come «nuovo Concordato». Il Papa accetta praticamente tutto ciò che Napoleone chiede, incluso il trasferimento a Parigi, e in compenso riceve una dotazione finanziaria di rilievo e la rappresentanza diplomatica, ricuperando una relativa libertà di azione per sé e per i cardinali. Così, dopo soli tre giorni, il Pontefice, in una lettera diretta all’imperatore, ritratta l’accordo, in quanto «coactus feci». Napoleone non divulga la decisione del Papa sino al 24 marzo successivo. 

Il 19 ottobre 1813 Napoleone viene gravemente sconfitto a Lipsia e, temendo che gli alleati, che minacciano Parigi, lo liberino, il 23 gennaio 1814, decide di rimandare discretamente il Pontefice a Savona — dove giunge il 16 febbraio — e, nel precipitare degli eventi, lo autorizza a tornare a Roma, dove Pio VII entra il 19 marzo: il suo viaggio dalla Liguria occidentale alla Città Eterna, via Parma e Bologna — come, del resto, era stata in certa misura, l’andata —, mentre l’impero si sfascia, è un autentico trionfo. Il 24 marzo successivo, l’astro napoleonico in breve tramonta: il 6 aprile l’imperatore abdica e imbocca la strada dell’e­silio e del confino all’isola d’Elba.

Mentre il congresso di Vienna (1814-1815), grazie all’abilità dei diplomatici pontifici, reintegra il Papa in tutti i suoi possedimenti italiani e francesi, il 7 agosto 1814, Papa Pio VII compie un gesto di straordinaria importanza, autorizzando la ricostituzione della Compagnia di Gesù.

Ma le tribolazioni di Papa Chiaramonti non sono ancora finite. Il 19 marzo 1815, durante i Cento Giorni, il re «napoleonico» di Napoli Joaquim Murat, cognato di Napoleone, dopo un periodo d’intesa con l’Au­stria, torna a schierarsi con la Francia e attacca lo Stato Pontificio, sì che il Papa, dopo un lungo tour, deve rifugiarsi nei suoi territori in Italia settentrionale. Finita la parabola murattiana, appena reinsediato a Roma, dove arriva il 7 giugno, rinomina il card. Consalvi prosegretario di Stato.

4. Conclusioni

Non è ovviamente giusto ridurre il pontificato di Pio VII alla lotta contro Napoleone: i quattordici anni tempestosi che intercorrono fra l’ele­zione al soglio di Pietro e la caduta del despota europeo non esauriscono di certo il senso del pontificato di Pio, che nei circa dieci anni di riconquistata libertà può dispiegare la sua azione magisteriale e missionaria in ben altri ambiti e latitudini. Finito il braccio di ferro con Bonaparte, Pio VII stipula nuovi concordati; tiene diciannove concistori in cui nomina novantanove cardinali; promuove le scienze; modernizza l’amministra­zione dei suoi Stati; avvia la redazione di nuovi codici; condanna la Carboneria e le altre società segrete rivoluzionarie che combattevano la Restaurazione. Inoltre, a lui si deve l’istituzione della festa della Beata Vergine Addolorata — estesa, il 18 settembre 1814, a tutta la Chiesa —, nonché la beatificazione di grandi cristiani, come Alfonso de’ Liguori (1696-1787) e Veronica Giuliani (1660-1727).

Tuttavia, la dura lotta da lui combattuta contro il laicismo della Rivoluzione rappresenta una «lezione» che lascia una impronta sensibile tanto sui Papi successivi — influenzandone l’atteggiamento di fronte alla ripresa del processo rivoluzionario —, quanto sul cattolicesimo del XIX secolo, determinando, per esempio, la nascita dell’ultramontanismo.

«Papa delle rivoluzioni» — come lo definisce il biografo Philippe Boutry (25) —, a Pio VII si è rivelato fino a che punto possa spingersi il potere secolarizzato moderno, un potere che nel migliore dei casi concepisce l’autorità suprema del cristianesimo come cappellanìa di Stato e non più come il termine supremo di riferimento spirituale e morale di un popolo e di una civiltà. 

Nei suoi travagliati anni Pio VII comprende altresì che, mentre l’Eu­ropa, culla della Chiesa, inizia a farsi sempre meno ospitale per il Vangelo, altre cristianità fioriscono rigogliose oltre gli oceani, specialmente nelle due Americhe, e creano nuove opportunità per l’evangelizzazione ma sono anche fonti di nuovi conflitti, che domandano nuova attenzione da parte del Vicario di Cristo.

«Papa martire» — così lo ha definito il cardinale Angelo Sodano (1927-2022) (26) —, di lui è stato avviato il processo di beatificazione il 15 agosto 2007.

Fra il 2023 e il 2024 si è svolto l’Anno Chiaramontiano, con molteplici iniziative commemoratrici, chiuso, il 20 agosto 2024 da una solenne Messa nella cattedrale di Cesena, presieduta dal card. Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e concelebrata con i vescovi locali. Il card. Zuppi nella sua omelia ha detto: «Imprigionato per 1.100 giorni e davanti ad una Chiesa che sembrava ricevere un attacco letale Pio VII ha saputo insegnare e applicare la forza degli umili: che affidandosi al Signore trovano la tenacia, l’insistenza, la furbizia e le capacità per tracciare le vie giuste del futuro».

Il regnante pontefice, a sua volta, ricevendo i pellegrini delle diocesi «chiaramontiane», così si è espresso: «Papa Pio VII ne è stato [della comunione] un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci. I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche. Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto. E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo. Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile» (27).

Oscar Sanguinetti

Note:

1) Traggo queste notizie da Luigi Crippa O.S.B., Pio VII verso l’onore degli altari, EDI. Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2014, pp. 17-21, specialmente dalle pp. 18-19. Per inciso, il benedettino lecchese Luigi Crippa (1934-2023) dal 1997 al 2007 è stato abate di Santa Maria del Monte di Cesena: su di lui cfr. il sito web <https://www.centrostoricobenedettinoitaliano.it/in-memoriam-ricordo-di-don-luigi-crippa-o-s-b> (gli indirizzi Internet del­l’articolo sono stati consultati il 31-12-2024). Nonché dalla ricca voce redatta da Philippe Boutry, Pio VII, in Enciclopedia dei Papi, 3 voll., Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2008, vol. III, pp. 509-529 (con vasta bibliografia); e Idem, voce Pio VII, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXXIV, 2015, nel sito web <https://www.treccani.it/­enciclopedia/papa-pio-vii_(Dizionario-Biografico)>.

2) Cfr. P. Boutry, op. cit., p. 513. 

3) Sull’episodio cfr. il datato — del 1906 —, ma sempreverde, Alfonso Lazzari (1871-1956), La sommossa e il sacco di Lugo nel 1796, prefazione di Francesco Mario Agnoli, con una mia Premessa alla terza edizione, Fondazione Cassa di Risparmio e Banco del Monte di Lugo Editrice, Faenza (Ravenna) 1996.

4) Cfr. Omelia del cardinale Chiaramonti (Pio VII) detta al popolo d’Imola nel Natale dell’anno 1797, ed. integrale, Le Monnier, Firenze 1859.

5) A Tossignano (Bologna), a sud ovest di Imola, nel maggio di quell’anno, poco prima dell’invasione austro-russa, era scoppiato un moto contadino capitanato da tale Antonio Lombardi, «uomo torbido, inquieto, ardente», ex guardia al servizio del marchese Francesco Martelli Tartagni (1757-1797) di Forlì, autoproclamatosi «Generale della Croce». Una formazione di circa quattrocento ribelli di Castel del Rio, Fontanelice, Casola Valsenio, Brisighella dichiarava decaduta la Repubblica e issava il vessillo imperiale. Una colonna di milizie cisalpine, dragoni piemontesi e legionari francesi, inviata contro gl’insorti, era caduta in una imboscata e aveva dovuto ritirarsi verso Imola, inseguita anche dagli abitanti dei dintorni, richiamati dal suono delle campane a martello. Per riportare l’ordine, il 24 maggio da Bologna era inviata in zona una colonna mobile comandata da Hulin, forte di milleduecento uomini e quattro cannoni.

6) Cfr. L. Crippa O.S.B., op. cit., p. 31.

7) È noto l’episodio della visita di Pio VI a Vienna nel 1782 — primo viaggio di un Papa fuori d’Italia — per scongiurare l’«imperatore-sacrestano», Giuseppe II (1741-1790), di addolcire la sua politica rigidamente regalistica e laicizzatrice.

8) Ho sfiorato l’argomento nel mio (e di Marco Albera), Il maggiore Branda de’ Lucioni e la «massa cristia­na». Aspetti e figure dell’insorgenza anti-giacobina e della liberazione del Piemonte nel 1799, Libreria Piemontese Editrice, Torino 1999.

9) Napoleone Bonaparte, Lettera a Talleyrand, del 19-6-1806, da Saint-Cloud, in Correspondance de Napoléon Ierpubliée par ordre de l’Empereur Napoléon III, 32 voll., Imprimerie impériale, Parigi 1858-1869, vol. XII, lettera n. 10.377, p. 577.

10) Idem, Lettera al cardinale Fesch, del 7-1-1806, da Monaco di Baviera, ibid., vol. XI, pp. 643-644 (pp. 643-644).

11) Idem, Lettera al Papa, del 13-2-1806, da Parigi, ibid., vol. XII, pp. 47-49 (pp. 47-48).

12) Idem, Lettera al Papa, del 7-1-1806, da Monaco di Baviera, ibid., vol. XI, pp. 642-643 (p. 642).

13) Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, Lettera al cardinal Caprara, del 30-4-1806, cit. in Ilario Rinieri S.J. (1853-1941), Napoleone e Pio VII (1804-1813). Relazioni storiche su documenti inediti dell’Archivio Vaticano, 2 voll., UTET. Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1906, vol. I, p. 260.

14) In particolare, la lettera del 21 marzo 1806.

15) Su di lui cfr., fra l’altro, Giovanni Ruffo (1927-2009), Il cardinale rosso, Calabria Letteraria editrice, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1998.

16) Su di lui cfr. Rossano Cicconi (1945-2024), Giuseppe Vanni nella documentazione caldarolese, in 1799: l’insorgenza antifrancese e il sacco di Macerata. Atti del Convegno di Studi omonimo, Macerata, 20-5-1999, Comune di Macerata, Macerata 2001, pp. 361-464.

17) N. Bonaparte, Lettera a Joachim Napoléon [Murat; 1767-1815], re di Napoli, del 17-6-1809, da Schönbrunn, in Idem, Lettres inédites de Napoléon Ier. An VIII-1815, a cura di Léon Lecestre (1861-1941), 2a ed., 2 voll., Plon-Nourit, Parigi 1897, vol. I, An VIII-1809, lettera 457, pp. 316-317 (p. 317) (trad. red.).

18) Idem, Lettera a Joachim Napoléon, re di Napoli, del 20-6-1809, da Schönbrunn, ibid., vol. I, cit., lettera 459, p. 317 (trad. red.).

19) Idem, Lettera al re di Napoli Joaquim Murat, del 19-6-1806, da Schönbrunn (Vienna), in Correspondance de Napoléon Ier publiée par ordre de l’Empereur Napoléon III, cit., vol. XII, lettera n. 15.384, p. 161 (trad. red.).

20) Sulle Amicizie il miglior studio, ancorché datato, è Candido Bona I.M.C. (1923-2013), Le «amicizie». Società segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Deputazione Subalpina di Storia Patria, Torino 1962.

21) Cfr. I. Rinieri S.J., op. cit., vol. II, p. 17n.

22) Su di loro cfr., in italiano, la relativa voce di Wikipedia.

23) Cfr. F. D. Aynès (a cura di), Correspondance authentique de la Cour de Rome avec la France depuis l’invasion de l’État romain jusqu’à l’enlèvement du souverain pontife […], 2a ed., L. Saint-Michel, Parigi 1814; reprint, IDC, Leida (Paesi Bassi) 1987. Su di lui cfr. J.[ean] Verrier (1887-1963), François David Aynès. La diffusion des documents pontificaux pendant la captivitè de Pie VII a Savone, in Revue d’Histoire Ecclesiastique, anno LV, n. 1, Université Catholique de Louvain, Louvain-Leuwen (Belgio) 1960, pp. 71-121; e ibid., n. 2-3, pp. 453-491. 

24) Per la storia: Ercole Consalvi, Cesare Brancadoro (1755-1837), Michele Di Pietro (1747-1821), Giulio Gabrielli (1748-1822), Giulio Maria Della Somaglia (1744-1830), Alessandro Mattei, Carlo Opizzoni (1769-1855), Ferdinando Pignatelli (1770-1853), Pier Francesco Galleffi (1770-1837), Lorenzo Litta (1756-1820), Fabrizio Ruffo, Giovanni Filippo Gallarati Scotti (1747-1919) e Ferdinando Maria Saluzzo (1744-1816).

25) P. Boutry, voce cit., p. 525.

26) Card. Angelo Sodano, Pio VII e Napoleone. Una lezione della storia, conferenza tenuta a Limone Piemonte (Cuneo) il 28 agosto 2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, 29-8-2009, p. 3.

27) Francesco, Discorso ai pellegrini delle diocesi di Cesena-Sarsina, Tivoli, Savona-Noli e Imola, in occasione del bicentenario della morte del servo di Dio Pio VII, del 20-4-2024.

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