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Politica internazionale: cenni di cambiamento

1 Dicembre 2016 - Autore: Valter Maccantelli

Natura non facit saltus. Questa nota locuzione latina usata da Leibniz per affermare che la natura si modifica secondo processi graduali, spesso impercettibili, potrebbe essere usata per descrivere il quadro politico internazionale di questi giorni. Tre notizie, non sempre accolte dall’opinione pubblica europea con la dovuta attenzione, potrebbero essere i timidi segnali di cambiamenti significativi negli equilibri internazionali. Le tre “notiziole” sono: la sostanziale ripresa di controllo del conflitto siriano da parte del regime di al-Assad, le prove di “asse” fra la Libia di Haftar, l’Egitto di al-Sisi e, ancora, la Siria di al-Assad e, fresca di oggi, la notizia dell’accordo raggiunto in ambito OPEC circa la riduzione della produzione di greggio per calmierare la tendenza al ribasso dei prezzi. Se, come si usa dire oggi, la narrazione è parte costitutiva dei fatti può valere la pena darne una sommaria descrizione.

In Siria l’offensiva delle truppe lealiste, che ha come epicentro Aleppo, con il supporto aereo dell’aviazione russa (e non solo) lascia chiaramente intendere che Bashar al-Assad, dato più volte per spacciato, rischia di vincere la guerra scoppiata nel 2011.

Il Generale Haftar, che controlla quella parte di Libia che fa riferimento a Bengasi, non solo sopravvive ma solidifica sempre di più la sua posizione con l’aiuto determinante dell’Egitto di Al-Sisi.  Si rafforza a tal punto che ha iniziato perfino una sua politica estera autonoma, inaugurata il 28 novembre con una significativa visita a Mosca, al margine della quale un sito israeliano solitamente ben informato, DEBKAfile, ha fatto trapelare l’ipotesi, onestamente poco realistica ma interessante, dell’apertura di una base russa sulla costa  libica.

Oggi, 30 novembre, la Reuters dà notizia dell’accordo raggiunto  a Vienna fra i paesi OPEC per ridurre, per la prima volta dal 2008, la produzione di greggio di ben 1,2 milioni di barili al giorno. Già questa è una (buona) notizia: contrariamente a quello che pensa una parte dell’opinione pubblica, un prezzo del greggio alto è un fattore di stabilità geopolitica e incide marginalmente sul costo del famigerato ”pieno”. A renderla ancora più interessante sono i due corollari, riportati sempre da Reuters: L’Arabia Saudita, da molti ritenuta all’origine del crollo dei prezzi di questi anni in chiave anti-iraniana, si è dichiarata disponibile a fare la parte del leone in questo taglio con 500.000 barili al giorno; la Russia, secondo paese esportatore ma non membro OPEC, si è a sua volta dichiarata disponibile a seguire questa strategia con una diminuzioni di 300.000 barili/giorno. Se, come più volte abbiamo detto, quella del prezzo del greggio è una vera e propria guerra asimmetrica, quello di oggi è senza dubbio un cessate il fuoco che testimonia come Arabia Saudita, Russia ed Iran stiano cercando se non proprio una pace stabile almeno un modus vivendi temporaneo.

Possiamo individuare a questo punto due tendenze, appena accennate e sempre suscettibili di ribaltamenti, ma comunque visibili. La prima risulta evidente dal fatto che il denominatore comune di queste tre notizie è una trama di fitti e discreti incontri che hanno avuto Mosca come fulcro. È l’ennesimo indizio, se mai ve ne fosse bisogno, di un rinnovato attivismo della R ussia a livello geopolitico mondiale. Il combinato disposto del decisionismo di Putin e dell’astuta diplomazia del suo ministro Lavrov, messo al servizio di una strategia che si può condividere o criticare ma che è comunque chiara e determinata, sta cominciando a dare i suoi frutti e di questo, al di là di battute e sofismi dei complottisti alla rovescia, bisognerà realisticamente tenere il debito conto. La seconda è che il panorama internazionale sta cominciando a metabolizzare il cambio di marcia degli USA con l’elezione di Trump. Gli assestamenti che stiamo constatando, che avvengono poche settimane dopo il fallimento del progetto di Hillary per continuare la “strategia del caos” inaugurata dall’amministrazione Obama, dimostrano non solo che tale strategia esisteva ed era all’opera ma anche che l’immagine di una Clinton regina della pace e di un Trump dioscuro della guerra che ci è stata propinata durante la campagna elettorale era orchestrata ad arte per coprire il cupio dissolvi che animava il mondo dei poteri “progressisti” made in USA. Politica estera europea: non pervenuta. Politica estera italiana: vedremo dopo il referendum.

Valter Maccantelli

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