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Può rinascere la speranza?

29 Aprile 2020 - Autore: Daniele Fazio

di Daniele Fazio

Dopo il naufragio della speranza, causato dalla secolarizzazione, il mondo occidentale ristagna in una sorta di non senso culturale e l’esperienza antropologica è consegnata all’insignificanza esistenziale. Il superamento di questa situazione non tollera la replicazione di modalità ideologiche quali sono oggi le proposte transumaniste e tecnocratiche. La speranza che il mondo ha conosciuto in un preciso momento della sua storia, mutandola in positivo, non può essere ridonata da surrogati scientifici, politici e variamente immanenti. Per capire come la speranza possa rinascere sarà utile indagare come essa sia stata immessa nel circolo storico del nostro mondo e chi ne è stato l’autore.  

Il mondo antico con l’esperienza dell’Impero romano aveva raggiunto il suo capolinea. Ossia l’umanità aveva da un lato espresso la sua massima intuizione metafisica, religiosa ed etica, all’interno della cultura greco-romana, dall’altro un tale assetto non alimentandosi di linfa soprannaturale aveva ridotto l’esperienza religiosa a “religione di stato”, traducendo così tutto in burocrazia del sacro e ponendo l’uomo sotto la rigida legge del Fato, determinato dal movimento degli astri. La filosofia, da parte sua, andava a corrodere questa religiosità vuota e debole presentandosi non semplicemente come una ricerca delle cause prime e delle essenze, ma come una via non solo etica, ma anche salvifica per l’uomo. Tuttavia, anche’essa sprofondava alla fine in uno scetticismo insuperabile perché non riusciva a dare risposte credibili per illuminare il mistero della vita e della morte, e soprattutto non poteva dire nulla di realmente fondato circa il mistero della sofferenza e la vita dopo la morte.

Si poneva la necessità di una svolta che da solo il mondo non avrebbe mai potuto darsi. E la svolta venne a Betlemme con la nascita del figlio di Dio. La stessa esperienza dei Magi indica perfettamente l’accettazione, ma ancora di più l’adorazione dell’unico vero Dio, da parte di quell’antichità buona che attendeva la salvezza e riconosceva che poteva venire solo dall’Alto.

Nell’enciclica Spe Salvi, Benedetto XVI riporta alla nostra attenzione una delle prime raffigurazione di Cristo. È presentato nelle vesti del filosofo e del pastore. Sono queste due figure importanti per l’antichità. I filosofi, infatti, rappresentavano dei maestri di vita, ma spesso si riducevano a ciarlatani interessati a ricompense monetarie, mentre i pastori venivano descritti dalla letteratura – si pensi a Publio Virgilio Marone (70-19 a. C.) – semplicemente sotto l’aspetto bucolico. Nella realtà, però, il pastore aveva un gran da fare per radunare e difendere le pecore dalle minacce dei lupi. Ed ecco che Cristo viene presentato come il vero filosofo che non inganna e il vero pastore che dissipa le paure di ogni uomo perché consegna il segreto della vita vera, della vita oltre la morte. Proprio così appare la speranza nella storia ed essa è legata intimamente alla venuta di Gesù Cristo. Non siamo semplicemente davanti ad un fatto teorico, ma davanti alla concreta salvezza dell’uomo, che ora sa qual è il suo fine ultimo, la sua piena realizzazione e riesce a dare un senso anche alle sofferenze. La speranza è nata e si è alimentata di un rapporto religioso autentico con una trascendenza concreta che rifugge da ogni astrattismo e progressismo rassicurante.

Il cristianesimo ha, dunque, immesso nella Tarda Antichità la dimensione vera della speranza, offerta non semplicemente alle classi umili, ma a tutte le categorie sociali. La speranza così è stata comunicata all’uomo e vivendo in essa il cristiano è stato capace non solo di guardare alla sua personale salvezza, ma anche di costruire un mondo nuovo con “investimenti” a lungo termine. La costruzione delle cattedrali, ad esempio, impegnava una generazione dopo l’altra. Perché iniziarne la costruzione se poi non si sarebbe mai vista la realizzazione? Perché questa vita è un semplice segmento dell’avventura del cristiano, una preparazione alla vera vita e il piccolo percorso che ognuno compie in terra serve a lasciare un seme buono ad altri perché si ritrovino in un contesto sociale e culturale migliore di quello ereditato. Questo sguardo alla storia ci fa toccare con mano la differenza tra un mondo che vive di speranza e un mondo che muore disperato.

Solo nella linea della nascita della speranza può avvenire la sua rinascita. Ossia ciò avverrà solo se Cristo tornerà ad essere centrale in ogni ambito della vita umana.

Mercoldì, 22 aprile 2020

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Info Daniele Fazio

Daniele Fazio è nato a Sant'Agata di Militello (Messina) nel 1983. Dopo gli studi classici, ha conseguito la laurea di primo livello in filosofia con una tesi su "Verità e Persona nel pensiero filosofico di Karol Wojtyla". Ha poi conseguito la laurea specialistica in Filosofia contemporanea con una tesi su "Ontologia ed etica della Persona. Prospettive contemporanee". Entrambe le tesi sono state discusse presso l'Ateneo di Messina con la professoressa Paola Ricci Sindoni, ordinario di Filosofia morale. Dal 2009 al 2012 è stato borsista del Centro Universitario Cattolico, con progetto Robert Spaemann: cristianesimo e filosofia nella modernità. Dottore di ricerca in Metodologie della Filosofia (2015) ha curato una ricerca sul pensiero di Étienne Gilson. E' cultore della materia presso la Cattedra di Filosofia morale del Dipartimento Civiltà Antiche e Moderne di Messina, con cui regolarmente collabora sin dal 2009. Ha frequentato i corsi del Tirocinio Formativo Attivo per l’abilitazione all’insegnamento negli Istituti di Istruzione Secondaria per la classe ex A037 – Filosofia e Storia.
Militante di Alleanza Cattolica, tra le sue pubblicazioni, oltre agli articoli su riviste scientifiche, sono da rilevare la monografia Étienne Gilson. Metafisica dell’actus essendi e modernità, ed. Orthotes, Napoli 2018 e il saggio Eric Voegelin, un maitre à penser del Novecento in E. Voegelin, Politica, storia e filosofia, a cura di Oscar Sanguinetti, D’Ettoris Editori, Crotone 2018.

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