Il Ministro della Pubblica Istruzione invia una lettera agli studenti per ricordare l’abbattimento del Muro di Berlino e i danni del comunismo. Ma ancora in Italia riflettere su questo sembra un “reato”
di Daniele Fazio
In occasione del 9 novembre, in cui cade l’anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino e si celebra, per volere del Parlamento italiano, il “giorno della libertà” (Legge 61/2005), il Ministro della Pubblica Istruzione, prof. Giuseppe Valditara, ha voluto sottolineare l’importanza della ricorrenza inviando per tramite dei Dirigenti Scolastici una lettera alla popolazione studentesca.
L’invito è a riflettere sulla fine del comunismo, quanto meno in Europa, e considerare – scrive Valditara – come «là dove [esso] prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l’utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto – umanità, giustizia, libertà, verità – sia subordinato all’obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri».
È bastato questo per suscitare un vespaio ideologico, proveniente da alcuni esponenti delle opposizioni – dal Partito Democratico al Movimento Cinque Stelle – e dall’Anpi, che hanno marchiato la lettera come un tentativo da Miniculpop. Ma evidentemente la storia non può che dare ragione alle parole del Ministro – che si vanta, tra l’altro, di essere figlio di un membro della brigata partigiana “Garibaldi”, affiliata al PCI – e le reazioni scomposte non possono far altro che rivelare il tentativo di imporre una visione ideologica manichea della storia, per la quale, sempre e comunque, il comunismo sarebbe intoccabile.
La realtà ci dice, invece, che il comunismo sovietico – il fenomeno ideologico più vasto ed invasivo finora realizzatosi – per settant’anni ha tenuto sotto il tallone totalitario interi popoli. Non si è realizzato alcun paradiso, ma si sono negate le più elementari libertà di milioni di persone e si è prodotto un numero spaventevole di morti. L’evento dell’abbattimento del Muro di Berlino ha segnato veramente la fine di un incubo, non solo per l’Europa dell’Est, ma anche per il mondo intero, soggiogato dalla paura della Guerra Fredda e dalla contrapposizione dei blocchi. Grazie all’avvenimento del 9 novembre si è concretamente potuto avviare un processo di reale unificazione europea. Laddove il comunismo è ancora in piedi, esso non fa altro che confermare le sue dinamiche totalitarie. Ne sono esempi macroscopici, ad esempio, la Repubblica popolare cinese, la Corea del Nord e Cuba.
Ci sono certamente altre date significative, su cui occorrerebbe fermarsi e fare memoria, ma è più che mai importante riflettere sul grande respiro di libertà che, a partire dal 9 novembre 1989, tutta l’Europa dell’Est iniziò a vivere. Fare questo, per certi ambienti, è però ancora una cosa vietata. Il Ministro si è reso colpevole del reato di “leso comunismo”, ossia della negazione di una “utopia al passato” che vuole dogmaticamente cristallizzare il comunismo come un’ideologia che incarna il bene assoluto.
Se da un lato l’impero sovietico si è sgretolato, dall’altro ancora tanta strada c’è da fare per far crollare tanti muri ideologici, che giungono a minimizzare e mistificare la storia per imporre una visione di parte e negare – spesso non solo con polemiche pretestuose – le libertà concrete.
Lunedì, 14 novembre 2022