di Daniele Fazio
Il coronavirus è un ospite inatteso e inquietante. Ha oramai totalmente costretto l’uomo occidentale a mutare abitudini, a partire dalle più “naturali”, come quella della relazione, delle libertà concrete – da quelle di circolazione a quella della partecipazione al culto –, del lavoro finalizzato alla sopravvivenza di sé e della propria famiglia.
Il volto della pandemia si manifesta con una potenza annichilente che ha un’unica direzione: condurre alla morte fisica, ma poi anche sociale ed economica.
Come non pensare che – piombato nell’età post-moderna – il Covid-19 possa iconizzare il corrispettivo “biologico” del nichilismo culturale dominante? Quel nichilismo che, senza mezzi termini, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) definisce il più sinistro tra tutti gli ospiti della cultura occidentale, un nichilismo che è esito di un lungo processo di autodemolizione della sintesi tra fede e ragione in grado di distruggere i fondamenti metafisici e i princìpi morali.
Quel nichilismo svuota infatti il corredo di tradizioni buone che l’uomo riceve dal passato e nega la possibilità delle domande ontologiche ed esistenziali connaturate alla struttura intima dell’essere razionale. Non ammette domande né sul fine né tantomeno sul perché. Costringe a una visione individualista ed è maestro del sospetto, gettando ombre sul tentativo di definire un’identità personale stabile e sulla naturale propensione all’incontro con le varie alterità: i nostri simili, il mondo che ci circonda, la nostra storia, Dio stesso. Il filosofo e scrittore francese Jean Paul Sartre (1905-1980) sentenziava che l’inferno sono gli altri.
Nella costruzione di questo mondo disperato dominano di conseguenza solo rapporti di forza – cioè la volontà di potenza – e l’unica legge riconosciuta dipende dal potere della tecnica divenuta pseudoreligione esclusiva, con tanto di dogmi nuovi ed istruita da esperti propri.
Nichilismo e coronavirus sono allora facce di una stessa medaglia che distruggono lo spirito e il corpo non solo dei singoli, ma anche delle comunità, dei corpi sociali che, composti da uomini, vivono non solo di riferimenti materiali, ma di un humus storico-culturale, morale e religioso.
Proprio al nichilismo del nostro tempo sembra dover condurre anche una concausa dell’impreparazione culturale e politica davanti alla stessa emergenza pandemica. Dalle prime dichiarazioni, secondo cui a morire sarebbero stati solo gli anziani e chi era affetto da patologie gravi – tanto questi sono semplicemente un peso per il funzionalismo e l’utilitarismo – all’incapacità comunicativa da parte delle classi dirigenti che dipende in fondo dalla mancanza di priorità irrinunciabili che riguardano la tenuta di una società.
Bisognerà convivere con tale ospite sinistro, inquietante, nullificante che in molteplici modi spezza legami e senso delle cose, ma la speranza non deve abbandonare. Nella catastrofe – oggi marcatamente antropologica – c’è sempre spazio per la rinascita, per un’epoca diversa. È sempre possibile spingersi oltre la linea segnata dal nichilismo. E tuttavia la speranza ragionevole – che non è una mera illusione – non può che stare in questi termini: o il domani si aprirà nuovamente alla bellezza della verità sull’uomo, sulla vita, sulla famiglia, sulla storia, sull’etica, sulla politica o continuerà a scontare la brutalità dei suoi errori teorici e pratici.
Giovedì, 9 aprile 2020