di Daniele Fazio
Educazione, dal latino ex ducere, significa letteralmente “trarre fuori”. Cosa occorre “estrarre” dunque dalla persona? Niente altro se non la consapevolezza di essere persona. Il processo educativo ha infatti lo scopo primario di aiutare l’integrazione armonica tra le varie caratteristiche che compongono la persona stessa. Non si tratta di cambiare i connotati dell’essere umano, ma di intraprendere un cammino, spesso complesso, che miri a far prendere coscienza di ciò che si è attraverso un perfezionamento dell’integrazione tra corpo, psiche, intelligenza e volontà. L’educazione è dunque una relazione tra persone di carattere asimmetrico: prevede infatti un educatore e un educando, ovvero una persona che trasmetta e un’altra che riceva aggiungendovi del proprio.
Questa relazione risponde ad un altro dato costitutivo dell’esser persona. L’uomo, infatti, non è solo la natura di cui è fatto – un animale che vive per istinto –, ma ha bisogno di apporti culturali. L’imperatore Federico II di Svevia (1194-1250) compì un esperimento famoso: vietò alle balie di rivolgere parola ai neonati per vedere quale lingua “naturale” questi parlassero. Il risultato fu semplicemente la morte di quegli infanti, uno a uno. L’educazione è allora anche comunicazione: cum munus, ovvero “circolarità di un dono”. L’educazione deve insomma equilibrare costantemente natura e cultura.
Il paradigma educativo, da un punto di vista più generale, può essere sintetizzato nella massima “persona, divieni ciò che sei”. Tuttavia, la crisi antropologica contemporanea, esito della rivoluzione in interiore homine emblematizzata dall’ideologia del Sessantotto, induce a un paradigma educativo contrario, frutto di un soggettivismo irresponsabile che rinuncia a orientare i giovani al senso della vita, alla felicità e alla verità. Di fatto, si invita a un orientamento opposto al principio-persona nella logica “sii ciò che divieni”.
Il problema fondamentale sta nel tipo di uomo che si desidera formare. Spesso le agenzie educative non posseggono alcuna visione antropologica o ne hanno una erronea. L’emergenza educativa sta proprio nel fatto che le cosiddette agenzie educative – famiglia, scuola e istituzioni sociali varie o, detto in altri termini, il “mondo degli adulti” – non sanno più cosa comunicare perché non coltivano più una visione dell’uomo che sia realistica cioè naturale e cristiana. Non si tratta tanto di studiare metodi pedagogici o di fare più o meno convinti appelli al rispetto delle regole. Il problema, infatti, è preliminare: si tratta di reimpostare la visione dell’umano che è stata dispersa.
Papa Benedetto XVI ha fornito una mappa molto precisa dell’emergenza educativa nella Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione del 21 gennaio 2008 così come nel Discorso alla 61° Assemblea generale della Conferenza Episcopale italiana svolto il 27 maggio 2010 , là dove egli individua alcuni punti che non vanno elusi.
Anzitutto il falso concetto di autonomia dell’uomo. Si pensa l’“io” come slegato dal “tu”, dal “noi”, e così facendo si incide negativamente sulla costruzione dell’identità personale – che nella relazione trova un luogo fondamentale –, ma anche sulla edificazione della società: senza legami orizzontali, ma anche tra le generazioni, le società sono polverizzate.
Quindi la diffusione di una visione scettica e relativistica che nega che la natura dell’uomo esista e possa essere conosciuta, ragion per cui da essa non deriva nessun orientamento valoriale. Così la ragione e la rivelazione vengono fatte tacere, e anche la storia diventa un mero agglomerato di discussioni culturali. Già a metà degli anni 1950, lo storico gallese Christopher Dawson (1889-1970) aveva denunciato la crisi dell’istruzione ravvisandola in Occidente nella rinuncia sistematica alla linfa proveniente dalle radici cristiane. Il cristianesimo, però, come ricorda Papa Francesco nel Discorso al Parlamento europeo del 25 settembre 2014, non riguarda semplicemente un momento d’esordio storico, ma è indispensabile anche oggi per vivificare le società: «[…] ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita».
Il percorso della ripresa è certamente complesso, giacché educare non è mai stato facile in nessuna epoca. Tuttavia, la dinamica del risveglio educativo non può non mettere al primo posto il compito di far scaturire un nuovo interesse per le domande esistenziali: chi sono?, da dove vengo?, dove vado?, come posso essere felice? Rinunciare a questo significa abbandonare la fiducia nella vita, lasciando i giovani ai meri istinti. Educare significa rispondere ai bisogni esistenziali fondamentali: per questo è un’opera che appartiene alla missione evangelizzatrice.