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Riformare il cuore per riformare la comunità

23 Marzo 2018 - Autore: Daniele Fazio

di Daniele Fazio

Nel quinto anniversario del pontificato di Papa Francesco si è riflettuto da diverse angolature sul carattere riformatore – riuscito o meno – dell’azione del vescovo di Roma. E, tuttavia, spesso si è omesso di riflettere su come le riforme – sempre doverose –, all’interno del soggetto storico rappresentato dalla Chiesa, debbano necessariamente avere un fondamento che riguarda il cambiamento dello stile di vita e, quindi, la conversione di quanti sono chiamati a collaborare con il Successore di Pietro (in questo vi è incluso anche l’ultimo fedele e non solo il primo dei cardinali) per portare a tutti gli uomini l’annuncio salvifico.

Non si tratta, allora, per ciò che concerne la Chiesa, semplicemente di un restyling strutturale o di un cambio di guardia, ma più profondamente di una riforma interiore dei credenti che – al di là della mondanità materiale e spirituale – possa continuamente centrare l’attenzione sulla sequela di Cristo che chiede continua conversione.

Da questo punto di vista, una pagina da non dimenticare è offerta dallo storico gallese Christopher Dawson (1889-1990) che nel volume La divisione della Cristianità Occidentale (D’Ettoris, Crotone 2009) descrive di un periodo critico della Chiesa e il segreto della sua rinascita. Una tale pagina sarebbe bene tenere presente, mutatis mutandis, anche oggi, non solo per ciò che concerne il rinnovamento del tessuto ecclesiale, ma anche per ciò che riguarda il rinnovamento sociale e politico.

Nel 1517, la Chiesa e la società cristiana furono scosse dalla lacerazione religiosa, culturale e sociopolitica, esplosa con la Rivoluzione protestante, esito ultimo dello spirito ereticale che nei secoli XV e XVI aveva pervaso i chierici, lato sensu, europei. La china neopaganeggiante dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva fiaccato le anime di molti e rilassato i costumi, anche alla stessa corte pontificia. Nel 1534 fu eletto alla Cattedra di Pietro Alessandro Farnese (1468-1549), che prese il nome di Paolo III. Anch’egli era stato uno spirito rinascimentale e aveva potuto saggiare, per esperienza diretta, la frivolezza e l’inautenticità di vita che proveniva da tale prospettiva e che conduceva alla morte spirituale. La sua vita improvvisamente mutò e, dopo l’ordinazione sacerdotale, sentì sempre più la necessità di una riforma della Chiesa. Divenuto Papa, mise mano alla Riforma Cattolica, attorniandosi da un gruppo di cardinali e prelati che avevano in animo gli stessi obiettivi. Tuttavia, fu presto visibile come il problema della Riforma non riguardasse semplicemente la struttura curiale e le istituzioni ecclesiastiche, ma fosse più profondo. E i vari tentativi fatti rischiavano di fallire se non fossero stati sopperiti da un surplus che i cardinali umanisti non potevano darsi per svariati motivi, tra cui il proprio passato turbolento.

Ecco allora che qui irrompe lo Spirito a cambiare la storia. Scrive Dawson: «provvidenzialmente, […] proprio nel momento in cui i cardinali dibattevano le loro proposte di riforma, apparve a Roma un gruppetto di pellegrini spagnoli e savoiardi, ex studenti di Parigi, guidati da un ex soldato della Navarra, venuti ad offrirsi come volontari per servire la Chiesa e il Papato dove e come fosse più necessario. Essi incontrarono la stessa opposizione subita dai cardinali riformatori e proprio attraverso lo stesso cardinal Contarini le loro proposte di una nuova società furono sottoposte al Papa» (p. 158).

Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), con il primo nucleo di compagni, era giunto a Roma e, non sappiamo quanto consapevolmente, recava con sé, racchiusi in appunti laconici, il progetto di riforma più urgente e necessario per l’intera Cristianità: gli Esercizi Spirituali. Da quel momento ogni uomo. chierico o laico, che avesse in animo di servire la Chiesa nella grande opera di riforma ricevette gli Esercizi Spirituali ignaziani. Continua Dawson: «questo libro degli Esercizi, per così dire, è per tantissimi versi il testo fondamentale del risveglio cattolico […]. Ciò fu sufficiente a mutare le vite degli uomini e ad apportare cambiamenti di lunga portata nella società e nella cultura» (pp. 158- 159).

Veramente il mondo cattolico europeo poté essere risollevato dalla rovina con gli Esercizi. Esso seppe attingere vera forza dalla riforma interiore per poter operare il rinnovamento ecclesiale e sociale che fu compiuto, nonostante le pesanti avversità, dal Concilio di Trento (1545-1563).

Oltre allo straordinario valore degli Esercizi spirituali ignaziani – valido anche ai nostri giorni –, la storia insegna, a ulteriore riprova, che tutto nasce e scaturisce da cuore dell’uomo – centro delle sue decisioni più intime –, dalla sua disponibilità o meno ad accogliere la grazia rinnovatrice donata dallo Spirito Santo. Solo nella misura in cui vi saranno uomini disponibili alla riforma interiore, allora, si potrà vedere realizzata anche una riforma delle strutture (dalla curia romana ai parlamenti nazionali) e ciò è certamente vero in campo ecclesiale, ma anche in campo sociale e politico.

Non è un caso che Papa Francesco – primo Pontefice gesuita della storia –, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, abbia esplicitamente scritto: «È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale» (n. 205).

Già il filosofo greco Platone (428/427-348/347 a. C.) aveva organizzato il proprio “Stato ideale” partendo dall’ordine dell’anima umana a testimonianza della corrispondenza tra ordine interiore della persona e ordine esteriore della società. Non si possono cambiare gli altri se prima non si è messo in conto di cambiare se stessi. Così come non si deve aspettare di esser santi per poter agire a favore degli altri. È bene, però, tener presente che il principio del rinnovamento ecclesiale e sociale, della riforma della Chiesa così come dell’edificazione di una nuova società cristiana, non può prescindere da un serio e saldo cambiamento del cuore. La riforma interiore prelude alla riforma delle comunità ecclesiali e civili.

 

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