di Oscar Sanguinetti
Giuseppe Sarto nasce a Riese, vicino a Treviso, il 2 giugno 1835, secondo di dieci fratelli e maggiore dei maschi. La sua è una famiglia modesta, anche se non misera: la miseria è invece, purtroppo, la sorte ineludibile della maggior parte delle famiglie della zona e, in generale, della popolazione delle campagne venete, dopo oltre un ventennio di guerre e rivoluzioni ininterrotte che hanno sconvolto il Nordest della Penisola. Treviso appartiene allora alla Corona asburgica di cui Giuseppe Sarto sarà leale suddito.
Il piccolo Giuseppe, scolaro intelligente e ordinato, sente presto la vocazione al sacerdozio. Nel 1850, dopo le medie, entra in seminario a Padova e, otto anni più tardi, è ordinato prete. Viene subito assegnato a due piccole pievi, prima Tombolo e poi Salzano, in provincia di Venezia, dove svolge per 18 anni, con dedizione e sagacia, il suo ministero.
Nel 1875, quarantenne, viene nominato cancelliere vicario e canonico della cattedrale di Treviso. Qui non si occupa solo di amministrazione, ma continua la predicazione si occupa di direzione spirituale del seminario.
Non è certo un intellettuale nel senso corrente del termine, tuttavia non è alieno dagli studi ed è anche uno al corrente dei fatti del mondo e attento ai dibattiti del suo tempo.
Nel 1870 per protestare contro il sopruso subìto dal beato Papa Pio IX (1846-1878) e contro le spoliazioni che la Chiesa sta subendo ovunque a opera dello Stato liberale, i cattolici italiani, assumono nella sfera pubblica una linea «intransigente», marcata da un forte anti-liberalismo e dalla clamorosa decisione, ratificata da Papa Leone XIII (1878-1903) con il «non expedit», di non prendere parte attiva alla politica nazionale. Le diocesi venete sono allora la roccaforte di questo intransigentismo e il futuro papa assorbe profondamente questa prospettiva culturale.
Nel 1884 è nominato vescovo di Mantova e consacrato a Roma il 6 novembre di quell’anno. A Mantova le lotte risorgimentali hanno lasciato profondi strascichi di rancore e di disordine morale. Rigidamente in mani liberal-massoniche, la ex capitale ducale è anche in crisi economica ed è agitata da dure lotte sociali, lotte che vedono le masse rurali sempre più attratte dal socialismo.
Mons. Sarto preferisce non scontrarsi con le autorità cittadine, aggressivamente laiciste, e si concentra invece sulla rivitalizzazione della diocesi, anch’essa in grave crisi. Riforma così il seminario, convoca il sinodo diocesano, segue da vicino le nomine dei parroci e la vita spirituale e pastorale del clero, tenta infine di ottenere un miglioramento delle forme rituali, specialmente della musica liturgica e del canto sacro.
Nel 1893, dopo nove anni di episcopato, è nominato patriarca di Venezia e riceve la berretta cardinalizia: prima di poter entrare in sede dovrà attendere per ben 18 mesi l’exequatur del governo italiano.
A Venezia il suo buon senso e la sua non spregevole cultura, corroborati dall’esperienza mantovana e dalle sue radici locali, gli consentiranno di intrattenere relazioni efficaci con la diocesi e con le molte realtà della vita pubblica della città cosmopolita. Sarà vicino ai circoli del movimento cattolico, assai forti e attivi nella città lagunare. Ma soprattutto, così come ha fatto nelle campagne, vicino al popolo, ancora profondamente cattolico, sebbene depauperato dal declassamento dell’antica capitale della Serenissima. Anche a Venezia mons. Sarto presterà una speciale attenzione alla musica e al canto liturgici, collaborando con Lorenzo Perosi (1872-1956), uno dei rifondatori della musica sacra del Novecento.
Nel luglio del 1903, alla morte di Leone XIII, parte anch’egli per il Conclave, dal quale, con sorpresa di molti, inclusa la sua, il 4 agosto — grazie al veto posto da Francesco Giuseppe (1830-1916) al favorito — esce eletto Papa: si darà il nome di Pio X.
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Intransigente di formazione — si ispira al campione dell’ultramontanismo e dell’anti-liberalismo, il cardinale Louis-Edouard Pie (1815-1880), vescovo di Poitiers —, ortodosso quanto mai nella dottrina, non è però rigido nella prassi: è duttile, sebbene non molle.
Egli applica l’insegnamento del Sillabo di Pio IX, della Immortale Dei e della Rerum novarum leoniane e cerca di dar corpo all’idea di Chiesa elaborata dal Concilio Vaticano I (1869-1870). Allo scopo vara una riforma epocale del diritto canonico, che però non vedrà, in quanto il nuovo codice uscirà nel 1917 sotto Benedetto XV (1914-1922).
Pio X adotta una politica di nomina dei vescovi che prevede la sostituzione dei presuli più anziani e «ancien régime», giudicati un po’ troppo «mondani», con presuli più giovani e di formazione simile alla sua, dallo stile più austero, più missionario e più «sociale», anche se un po’ meno ieratico.
Come auspicato dai padri conciliari, egli si prodiga altresì per ripristinare il corretto rapporto tra fede e ragione e fra Rivelazione e scienza, promuovendo la filosofia tomistica e combattendo l’irrazionalismo, il fideismo e il modernismo.
Contemporaneamente, il «Papa contadino» si sforza di ravvivare la fede popolare, preda di una scristianizzazione sempre più potente, e lo fa con i catechismi — celebri saranno i due testi prescritti alla diocesi di Roma, che saranno adottati ovunque in Italia e nel mondo — e abbassando a sette anni l’età minima per la Confessione e l’Eucaristia.
Pio X, interviene infine nella liturgia, dove riforma il messale, il canto e la musica associati ai riti.
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Sul fronte sociale, in Italia nel 1903 scioglie l’Opera dei Congressi, contaminata dalle teorie moderniste e lega maggiormente il movimento cattolico alla Santa Sede e ai vescovi. Inoltre, avalla il superamento del non expedit, avviando nel 1913 una serie di accordi con l’ala più pragmatica del liberalismo, noti come «Patto Gentiloni»: nelle elezioni i cattolici avrebbero appoggiato i candidati liberali che avessero sottoscritto sette punti programmatici, corrispondenti ad altrettanti princìpi cristiani considerati «non negoziabili».
Nei rapporti con gli Stati — affidati al giovane segretario di Stato anglo-spagnolo il servo di Dio Rafael Merry del Val (1865-1930) —, Pio X cerca di smarcare la Santa Sede dalle pesanti tutele profane, come quella asburgica, assecondando i governi che rispettavano i diritti dei cattolici e combattendo invece, anche aspramente, chi li negava, come la Francia della Terza Repubblica laicista.
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La memoria del pontificato di Pio X è spesso ridotta alla lotta contro il modernismo, quella corrente culturale intra-ecclesiale che nello studio delle discipline sacre subiva l’influenza del razionalismo, del positivismo e del secolarismo delle scienze profane del tempo, le quali non sono neutre, ma si fondano su premesse teoretiche che riducono la conoscenza del reale al puro dato fenomenico, cosa che cozzava contro la struttura metafisica e il realismo delle scienze umane cristiane.
Il modernismo era da condannare perché demoliva in larga misura l’immagine trascendente di Cristo, facendone un personaggio solo storico, diluendone la figura e l’insegnamento nella fede della comunità, imprimendo alla storia della salvezza una direzione puramente umana.
Le tendenze modernistiche di rado assumevano la forma di un «partito» o di una scuola, ma s’incarnavano in studiosi singoli, in realtà però collegati e ben coesi fra loro, e si diffondevano con relativa discrezione, quando non in clandestinità, nei migliori ambienti intellettuali cattolici europei.
Anche le dottrine sociali erano contaminate da questo atteggiamento, che induceva una deriva sempre più forte dei movimenti laicali e sociali verso prospettive di democrazia radicale, quando non socialista.
Così, già a partire da 1906, i dicasteri vaticani — ma anche alcuni episcopati — avviano una serie di misure repressive contro questa corrente.
Pio X non parte in quarta con le censure canoniche, ma si premura di analizzare prima il fenomeno con un documento, l’enciclica Pascendi dominici gregis del 1907, in cui riduce magistralmente a denominatore comune la miriade di autori, dottrine, tesi, scritti che si presentano per loro natura frammentari ed eterogenei, evidenziandone la contaminazione da parte dell’immanentismo moderno e il danno arrecato alla dottrina della fede. Pio X coglie perfettamente il giro mentale dei «novatori», nonché il loro atteggiamento nicodemistico e settario, e afferma che, se la Chiesa adottasse il loro punto di vista, crollerebbero i dogmi più centrali, la figura storica di Gesù risulterebbe «ridotta» e secolarizzata e si rimetterebbe in discussione la natura stessa della Chiesa.
A essa il Papa fa seguire, nel 1910, a scontro già in atto, una lettera ai vescovi francesi, la Notre charge apostolique, in cui condanna il movimento sociale del Sillon. Egli sottolinea che «la Chiesa […] non deve distaccarsi dal passato […:] le basta riprendere con la collaborazione dei veri operai della restaurazione sociale, gli organismi infranti dalla Rivoluzione e adattarli, nel medesimo spirito cristiano che li ha ispirati, al nuovo ambiente creato dall’evoluzione materiale della società contemporanea: infatti i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti».
Pio X vede nel modernismo un pericolo mortale, per questo interviene con tutto il peso dell’autorità apostolica e con la rigidità del diritto canonico.
La storiografia postconciliare considera l’anti-modernismo di Papa Sarto come un peccato che infanga la figura del Vicario di Cristo: anzi, per i neo-modernisti Pio X è l’emblema stesso di una Chiesa repressiva, anti-pluralistica e «costantiniana». Ora, che Pio X non abbia guardato troppo per il sottile, che talora i suoi cooperatori siano trascesi nella delazione, che egli abbia usato agenzie esterne come il Sodalitium Pianum, è fuori di dubbio. Ma la battaglia anti-modernista, soprattutto alla luce del disegno di riforma che animava il santo Pontefice, era comunque un’azione lecita e doverosa e il fenomeno modernista, granulare e sotterraneo, non poteva essere combattuto se non colpendo anche i suoi singoli esponenti.
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Pio X scompare ai primi di agosto del 1914, poche settimane prima della deflagrazione mondiale, che il vecchio Pontefice ha pronosticato: egli fa in tempo a vederne lo scoppio, ma gliene saranno risparmiate le sofferenze.
Papa Sarto ha costruito la sua santità con la povertà personale, con la devozione straordinaria al suo ministero e nell’amore al popolo a lui affidato. Sarà beatificato nel 1951 e canonizzato il 29 maggio 1954, grazie alla forte determinazione del venerabile Pio XII (1939-1958), che s’impone sulle resistenze di molti uomini di Chiesa.
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Pio X è oggi visto di norma come campione del cattolicesimo anti-moderno, come simbolo della Chiesa «preconciliare», come modello di pontefice intransigente e duro. E, per questo e per diametrum, diverrà la bandiera del tradizionalismo radicale del periodo post-conciliare.
Certo, la Chiesa del tempo di Pio X è alquanto diversa dalla Chiesa odierna — anche perché allora le chiese erano piene, oggi no —: dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) la fede è rimasta identica, ma il modo di proporla è cambiato, perché è mutato l’atteggiamento verso il mondo moderno, che la Chiesa vede come un malato da curare con lo «spirito del samaritano», piuttosto che come un nemico da combattere a oltranza.
Ma non per questo Pio X è un Papa da mandare in soffitta. Molto di quanto egli ha costruito rimane ancora nelle vene profonde in cui circola la linfa della Chiesa: tante delle sue linee pastorali — per esempio la maggior partecipazione popolare alla liturgia e l’«onda lunga» del Catechismo a domande e risposte — rimangono vive ancora oggi.
Martedì, 19 novembre 2024
Per approfondire
— Enchiridion delle encicliche. 4. Pio X. Benedetto XV. 1903-1922, 2a ed., E.D.B., Bologna 1999.
— Oscar Sanguinetti, Pio X. Un pontefice santo alle soglie del «secolo breve», prefazione di don Roberto Spataro S.D.B., Sugarco, Milano 2014.
— Pio X e il suo tempo, a cura di Gianni La Bella, il Mulino, Bologna 2003.