Il 24 settembre 1992 è caduto l’ottantesimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Singulari quadam, di Papa san Pio X. Nell’occasione, monsignor Franco Biffi, docente di dottrina sociale della Chiesa nelle Pontificie Università Lateranense e Gregoriana, ha celebrato la ricorrenza in L’Osservatore Romano, facendo precedere a considerazioni specifiche sul documento notazioni di genere sul magistero del Pontefice santo e sull’attenzione di cui è consuetamente fatto oggetto: “Nell’elenco dei pontefici che hanno fatto spazio, nel loro magistero, alla questione sociale, si è soliti saltare da Leone XIII (autore della celebratissima enciclica Rerum novarum) a Pio XI (autore, oltre che della ben nota Quadragesimo anno, anche di altre encicliche sociali d’eccezionale rilievo dottrinale e politico, quali la Non abbiamo bisogno, contro il fascismo, la Mit brenneder Sorge, contro il nazismo, la Divini Redemptoris contro il comunismo ateo e la Nos es muy conocida contro il radicalismo massonico e persecutore), per poi ampliarsi a Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e all’attuale Papa. Quasi mai viene citato il Papa S. Pio X (che governò la Chiesa dal 1903 al 1914), dando quasi per scontato che egli non abbia preso parte alla redazione del “vangelo sociale” della Chiesa. Il che è ingiusto, oltre che superficiale. Proprio in questo mese di settembre ricorre l’ottantesimo anniversario d’una breve enciclica sociale, la Singulari quadam, del 24 settembre 1912, la cui portata dottrinale è pari al suo intuito profetico” (Franco Biffi, Un Magistero sociale fondato sulla promozione della giustizia, in L’Osservatore Romano, 24-9-1992).
Osservazioni di identico tenore ha fatto S. E. mons. Jorge María Mejía, vicepresidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, recensendo l’opera di un teologo e sociologo dell’università di Louvain-la-Neuve, don Michael Schooyans, Initiation à l’enseignement social de l’Eglise (Editions de l’Emmanuel, Parigi 1992): “[…] merita […] doveroso rilievo il fatto che il ruolo di Papa S. Pio X nello sviluppo della dottrina sociale, ma anzitutto della pratica sociale, sia stato oggetto di particolare attenzione”, così come “il riferimento alle “surprises” che ci riserverebbe lo studio di quel pontificato” (Jorge Mejía, La dottrina sociale della Chiesa: una “teologia della carità”, in L’Osservatore Romano, 31-10-1992).
Se le notazioni di monsignor Franco Biffi e di S. E. mons. Jorge María Mejía valgono, di genere, per tutta la produzione magisteriale di Papa san Pio X — d’argomento sociale e non —, l’ingiustizia e la superficialità a suo proposito si fanno macroscopiche nel caso di un documento, in relazione al quale altri decida se è caduto nell’oblio o se vi è stato fatto artificialmente cadere: si tratta della lettera agli arcivescovi e ai vescovi francesi Notre charge apostolique, del 20 agosto 1910, nuovamente tradotta da Pasquale Casiraghi ed edita, a cura di Giovanni Cantoni, con il titolo La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi “Notre charge apostolique”.
Alla fine del secolo XIX, precisamente nel 1891, in Francia, Marc Sangnier (1873-1950) fonda con altri il Sillon, il “Solco”, un movimento sociopolitico considerato dagli studiosi espressione significativa del democratismo cristiano e dagli storici precorritore di diversi partiti di questa tendenza, una filiazione che taluni di essi rivendicano esplicitamente, come fa — per esempio — uno dei fondatori del Mouvement Républicain Populaire, Georges Bidault, allora presidente del Consiglio della Repubblica Francese, in occasione delle esequie appunto di Marc Sangnier, il 1° giugno 1950 (sul punto, cfr. Jean de Fabrègues, Le Sillon de Marc Sangnier. Un tournant majeur du mouvement social catholique, Perrin, Parigi 1964, p. 9; in genere, in una prospettiva apertamente filosillonista, cfr. Maurice Vaussard, Storia della democrazia cristiana, trad. it., Cappelli, Bologna 1959, pp. 75-87 e passim).
Nel 1910 Papa san Pio X — che nel 1906 aveva condannato il modernismo dogmatico con l’enciclica Pascendi dominici gregis — con la lettera Notre charge apostolique mette in guardia contro gli errori del Sillon. Infatti, la ragione del documento è costituita dalle preoccupazioni suscitate nel Sommo Pontefice dalle deviazioni di questo movimento, di cui espone puntualmente la dottrina e la prassi, accompagnandole a passo a passo con la loro confutazione; finalmente, alla descrizione delle tesi dottrinali e operative fa seguire un giudizio complessivo ed esortazioni.
Quanto alla dottrina, premessa l’affermazione dell’impossibilità di un’azione sociale senza adeguati riferimenti dottrinali — da cui si ricava, per i cattolici, la necessità della subordinazione all’insegnamento della Chiesa —, Papa san Pio X tratta delle prospettive silloniste sulla democratizzazione dell’ordine politico, economico e morale, sull’autorità politica, sull’uguaglianza, sulla fraternità e sulla dignità umana.
Quanto alla prassi sillonista, il Sommo Pontefice denuncia un cameratismo senza autorità, la falsa connessione fra cattolicesimo e democrazia, nonché un cosmopolitismo neutrale sul piano culturale e politico, vissuto nella prospettiva di organizzazioni destinate a riunire tutte le religioni sulla base di una religione universale.
Infine, prima di fornire orientamenti operativi per i membri del Sillon, il Santo Padre identifica la causa delle deviazioni del movimento nella nefasta influenza dell’Illuminismo e dei princìpi della Rivoluzione francese; quindi, indica come fondamento per la soluzione della questione sociale l’adempimento dei doveri sociali e l’organizzazione della società secondo giustizia, all’interno di prospettive realistiche.
Se nella lettera Notre charge apostolique Papa san Pio X traccia, di fatto, l’identikit del “modernismo sociale”, il nome viene esplicitamente utilizzato in un documento magisteriale soltanto nel 1922, nell’enciclica programmatica del Pontificato di Papa Pio XI, Ubi arcano Dei. In essa, appunto con il nome di “modernismo sociale”, sono ricapitolate le tesi censurate nella lettera Notre charge apostolique, ne viene ribadita con forza la condanna e segnalata la pericolosità non solo per i fedeli laici, ma anche per il clero, con particolare riferimento agli aspiranti al sacerdozio: “Molti sono, infatti, quelli che credono o dicono di tenere le dottrine cattoliche sull’autorità sociale, sul diritto di proprietà, sui rapporti fra capitale e lavoro, sui diritti degli operai, sulle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e patria, fra classe e classe, fra nazione e nazione, sui diritti della Santa Sede e le prerogative del Romano Pontefice e dell’episcopato, sui diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore, Redentore, Signore degli individui e dei popoli. Ma poi parlano, scrivono e, quel che è peggio, operano come non fossero più da seguire, o non col rigore di prima, le dottrine e le prescrizioni solennemente ed inevitabilmente richiamate ed inculcate in tanti documenti pontifici, nominatamente di Leone XIII, Pio X, e Benedetto XV.
“Contro questa specie di modernismo morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo dogmatico, occorre pertanto richiamare quelle dottrine e quelle prescrizioni, che abbiamo detto; occorre risvegliare in tutti quello spirito di fede, di carità soprannaturale e di cristiana disciplina, che solo può dare la loro retta intelligenza ed imporre la loro osservanza. Tutto questo occorre più che mai fare con la gioventù, massime poi con quella che si avvia al Santuario, perché nella generale confusione non sia, come dice l’Apostolo, “portata intorno da ogni vento di dottrina per i raggiri degli uomini, per le astuzie onde seduce l’errore” [Lettera agli Efesini, 4, 14]“ (Enciclica Ubi arcano, del 23-12-1922, N. 24, in I documenti sociali della Chiesa. Da Pio IX a Giovanni Paolo II (vol. I.: dal 1864-1965), a cura e con introduzioni di padre Raimondo Spiazzi O.P., 2a ed. aggiornata, Massimo, Milano 1988, pp. 224-225).
A questo punto, se qualcuno immaginasse — o fosse indotto a immaginare — di poter attribuire al documento magisteriale di Papa san Pio X una portata semplicemente storica, in quanto utile soltanto per descrivere problemi del movimento cattolico, o di una parte di esso, a cavallo fra i secoli XIX e XX, eventualmente protrattisi fino agli anni Venti del secolo XX, la lettura del testo e la sua felice titolazione, La concezione secolarizzata della democrazia — dovuta a un autentico esperto di dottrina sociale della Chiesa, padre Arthur Fridolin Utz O.P. —, ne permettono non solo il collegamento sostanziale con la citata enciclica di Papa Pio XI, ma ne fanno premessa certo remota, ma non per questo meno puntuale — una premessa tanto articolata quanto, purtroppo, inascoltata — di un passo capitale dell’enciclica Centesimus annus, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel centesimo anniversario dell’enciclica Rerum novarum, di Papa Leone XIII. Il passo in questione è contenuto nel paragrafo 46 — che rimanda in nota al radiomessaggio natalizio “Benignitas et humanitas”, di Papa Pio XII, del 24 dicembre 1944 (cfr. Pio XII, I sommi postulati morali di un retto e sano ordinamento democratico. Radiomessaggio natalizio “Benignitas et humanitas”, diretto ai popoli del mondo intero il 24 dicembre 1944, vigilia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, Cristianità, Piacenza 1991; cfr. pure recensione redazionale, in Cristianità, anno n. XIX, n. 200, dicembre 1991) — e recita: “Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”.
Dunque, tesi denunciate prima da Papa san Pio X, poi da Papa Pio XI, continuano a desolare il mondo — quello cattolico non escluso — e, quindi, alimentano una storia che non è finita con il Pontificato di Papa san Pio X, né con quello di Papa Pio XI, ma che — purtroppo — prosegue anche oggi e in cui precipita incessantemente il nostro presente. La riproposizione della lettera Notre charge apostolique intende appunto favorire la riflessione di tutti — fuori e dentro il mondo cattolico, da parte di laici, di religiosi e di sacerdoti — affinché, finalmente, questo sconsiderato e tragico precipitare abbia fine.