Nel sacrificio di Attanasio e Iacovacci il meglio che può ancora “produrre” il nostro Paese
di Diego Torre
Gli eventi luttuosi o devastanti hanno a volte il merito di ricordarci quanto vi è di buono nel nostro popolo. L’omicidio, in Congo, dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci restituisce un’immagine dell’Italia e degli italiani che non viene evidenziata spesso. Si tratta, infatti, di italiani che non truffano sul reddito di cittadinanza, non corrispondono ai classici “furbetti del cartellino”, non evadono le tasse e non si dedicano al trasformismo parlamentare. No: quei due uomini dal cuore di ragazzo hanno vissuto fino alla morte il sogno di fare cose impegnative e utili per il loro prossimo, in umiltà e semplicità.
Vittorio Iacovacci veniva da una famiglia semplice, era figlio di un operaio e di una casalinga e progettava di andare a vivere nella casa che si era costruito vicino ai suoi genitori. Si sarebbe, infatti sposato a giugno con la ragazza con cui era fidanzato da diversi anni, e avrebbe così coronato il sogno di tanti giovani della provincia italiana. Doveva compiere 31 anni e faceva parte del 13° rgt Friuli Venezia Giulia, 2^ brigata mobile, che raccoglie i carabinieri che operano all’estero. Era già stato paracadutista della Folgore, a Livorno, e poi nel GIS, il Gruppo Intervento Speciale dell’Arma. Una famiglia, la sua, con i figli cresciuti con il senso del dovere e l’amore per la patria. Dario, il fratello maggiore, è un fuciliere di marina, anch’egli impegnato nelle missioni all’estero.
Che uomo era Luca Attanasio? Allegro e propositivo, «lui era un uomo coraggioso, non di quelli che si nascondono. Sapeva parlare anche a tono a chi aveva davanti, a gente che a tutti metterebbe paura. Lo era per natura, per formazione. Una bella persona»: così dice Jole Cisnetto, della Fondazione Insé Onlus, che sostiene progetti di cooperazione soprattutto in Congo. Luca era padre di tre figlie, aperto alla vita e pronto ad averne ancora; una carriera lampo in diplomazia e impegnato, assieme alla moglie (marocchina, proveniente da una famiglia che ha rinunciato aimporre i rigidi dettami della sharia, che vieterebbero del tutto le nozze tra un uomo cristiano e una donna islamica, e accettato il matrimonio sacramentale in chiesa), in una ong che si occupa di madri e bambini, impegno per il quale avevano ricevuto entrambi il premio “Nassirya per la Pace”, intitolato ai caduti dell’attentato del 12 novembre 2003 in Iraq. Attanasio disse durante la premiazione, avvenuta in una chiesa: «il ruolo dell’ambasciata è innanzitutto quello di stare vicino agli italiani ma anche contribuire per il raggiungimento della pace». Conosciutissimo in paese ed in parrocchia, dove tutti lo piangono, Luca era cresciuto nell’oratorio di Limbiate, in provincia di Monza e della Brianza, dove aveva maturato quel senso del servizio evangelico al prossimo che ha poi applicato alla sua scelta professionale.
Bertolt Brecht disse: «Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi». Ma gli eroi servono soprattutto nel tempo della mediocrità e della miseria morale. E ora abbiamo altri due bei “figli d’Italia” di cui possiamo essere ben fieri, a cui Dio aprirà certamente le sue porte.
Giovedì, 26 febbraio 2021