Come è facile irridere il Cristianesimo sulla TV di Stato
di Gaetano Tursi
L’irrisione, il dileggio, la berlina, lo sberleffo ingiurioso, l’offesa “divertente” – perché blasfema? – ai sentimenti (religiosi e non) ed ai valori (religiosi e non) di tanti fedeli “comuni” (nel senso evangelico di “semplici”), ma anche di tanti comuni cittadini (nel senso di “non visibili ai media”) si insediano “finalmente” (nel senso di “in fine”) a pieno titolo anche nel “tempio” di ciò che, ancora qualche anno fa, con l’usuale snobistico sussiego dei sacerdoti della cultura “alta”, veniva stigmatizzato come l’ubi consistam del peggior glamour di genere “nazional-popolare”: il Festival di Sanremo. Ed il plateau di atteggiamenti, posture, testi ed offese irridenti viene servito dalla rete ammiraglia della tv di Stato, tanto nella versione della supponente ostentazione di superiorità dell’offensore di turno, quanto nella versione più istintiva e superficiale (quasi un riflesso condizionato) dell’omologazione a quel po’ di ammiccante “bassa” cristianofobia che, alla nostrana “corte di nani e ballerine”, pare sia divenuto obbligatorio assumere per risultare irresistibilmente “trendy”…
Ma oltre al danno, la beffa; perché, come scrive Giulio Meotti nella sua newsletter del 7 marzo 2021 – L’Italia è un orrendo festival dei buoni sentimenti -,«bisogna ridere, apprezzare o quantomeno tacere, altrimenti sei razzista, fascista, bigotto, omofobo e misogino». Se non ridi, se non apprezzi, o quantomeno taci, allora per te è finita. Perché, nel paese del 604-bis c.p. e del t.u. “Zan” in attesa al Senato, un qualche giudice potrebbe un domani desumere che il tuo modo di pensare sia “deviato” e che, consapevole o meno che tu ne sia, tu abbia seri problemi con la tua “disposizione interiore di odio”. Perché nel paese del 604-bis c.p. e del t.u. “Zan”, in attesa al Senato, verrà il tempo in cui alle «parole di riprovazione e dispiacere» del coraggioso vescovo di Ventimiglia-Sanremo, mons. Antonio Suetta, e a quel suo «quos Deus perdere vult, dementat» verrà associato lo stigma del «compimento di atti di discriminazione “per motivi […] religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere […]» con conseguente persecuzione penale, prima ancora che culturale e civile, tanto del pastore che della sua «associazione» (sic!) che rappresenta…D’altro canto, è scritturale: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Lc 21,12-19). Sappiano però, nani, ballerine e sodali da salotto, che nulla di nuovo ci stanno rappresentando, se non l’eterna insipienza – che comunque non impedisce il perdono – di «chi non sa quello che fa» (Lc 23,34).
Martedì, 9 marzo 2021