Da “La Nuova Bussola Quotidiana” del 10 novembre 2016 di
–
Senza la motivazione è difficile comprendere la portata e l’estensione della sentenza della Corte costituzionale sul cognome dei figli. Dal sintetico comunicato si ricava che la manifestazione di concorde volontà di entrambi i genitori all’ufficiale di stato civile di attribuire al figlio i cognomi di ambedue supera l’automatica attribuzione per legge del solo cognome del padre: un automatismo che fino al momento della pronuncia della Consulta si poteva oltrepassare soltanto attraverso un decreto del prefetto previa domanda degli interessati.
Riportata in questi termini – e salvo l’approfondimento a motivazione depositata – è qualcosa di più ristretto rispetto a quanto prevede il disegno di legge approvato dalla Camera il 24 settembre 2014 e ancora pendente al Senato. In base a questo disegno di legge: a) in caso di accordo i genitori possono attribuire al figlio o il cognome del padre o quello della madre o quello di entrambi secondo un ordine condiviso; b) in caso di disaccordo il figlio riceve il cognome di entrambi i genitori in ordine alfabetico. La differenza non è da poco: il sistema in vigore, dopo la sentenza della Corte, prevede comunque in prima battuta che il figlio abbia il cognome del padre, e che si giunga al doppio cognome se i genitori lo desiderano, sì che la loro volontà – concordemente espressa – elimina la necessità del ricorso al prefetto. Il sistema che si vorrebbe introdurre con la legge in discussione è invece basato sul favor per il doppio cognome, o comunque sull’assenza di una regola fissa: al punto che il dissenso fra i genitori, anche sull’attribuzione di uno o di due cognomi, conduce comunque al doppio cognome, con la prevalenza dell’ordine alfabetico. Ergo: sostenere che la decisione della Consulta imponga al Parlamento di approvare quella legge costituisce una obiettiva forzatura.
Fin qui quel che si può osservare sul piano dello stretto diritto e della semplice nota informativa sulla sentenza. Su un piano più generale non guasta qualche considerazione aggiuntiva.
Nella legislatura in corso è accaduto qualcosa di molto più ostile alla famiglia, sia in termini di leggi approvate che di sentenze della Corte costituzionale. Dalla sostanziale parificazione delle unioni same sex al matrimonio fra un uomo e una donna alla altrettanto sostanziale depenalizzazione della detenzione e dello spaccio di droga, dal divorzio flash e simple al via libera alla fecondazione artificiale di tipo eterologo, non vi è mai stata nella storia repubblicana una concentrazione così elevata di mine normative alla stabilità del matrimonio e all’integrità della famiglia. Il doppio cognome non si avvicina in gravità alle voci prima ricordate, pur mantenendo una portata non solo simbolica;
Il cognome unico costituirebbe il derivato di una “concezione patriarcale” da rimuovere: così aveva scritto la Consulta in una pronuncia di 10 anni fa, che verosimilmente avrà richiamato nella sentenza di due giorni or sono. Sorprende non poco che si evochi la “concezione patriarcale” in un contesto sociale nel quale i padri latitano e i libri sull’affievolimento della figura paterna, e sulla sempre più scarsa assunzione delle relative responsabilità, riempiono più scaffali di librerie;
Nelle nostre comunità si moltiplicano le aree di vero e proprio assoggettamento della donna e dei minori: si pensi a quei nuclei familiari, spesso allargati, nei quali l’ultrafondamentalismo islamico si traduce in costrizioni poco conosciute. Ma realtà del genere non interessano a nessuno: ogni tanto sfociano in tragedia, ma mai che il Parlamento in carica si sia preoccupato non tanto di elaborare norme per affrontare queste vicende – ci sono, andrebbero solo applicate – quanto di adoperare i propri poteri di indagine per descrivere il fenomeno;
Come ieri ha osservato magistralmente il consigliere Rocchi su questo quotidiano, ci confrontiamo con sentenze che disciplinano l’“affido condiviso” degli animali domestici in caso di separazione o di divorzio dei loro proprietari: questioni del genere meritano pronunce in nome del popolo italiano, l’umiliazione e la violenza vere di donne e bambini no.
Il doppio cognome, con minor danno rispetto alla legge Cirinnà o alla eterologa “legale”, si inserisce in questo quadro in senso lato culturale. Perché meravigliarsene? Piuttosto, chi è ansioso della trasposizione “allargata” in legge della sentenza della Consulta provi a immaginarne l’impatto che essa potrà avere nella realtà: ci pensi laicamente. Giochiamo coi cognomi, alternandoli e sostituendoli come vorrebbe il disegno di legge in discussione, e vediamo l’effetto che fa in termini di chiarezza nelle relazioni formali, amministrative e pubbliche interpersonali. Ma oggi è ancora possibile decidere dopo un confronto con la realtà, al netto di condizionamenti ideologici?
–
Alfredo Mantovano