GIULIO DANTE GUERRA, Cristianità n. 97 (1983)
La celebrazione, nello scorso anno 1982, del centenario della morte di Charles Darwin si è risolto in massima parte, a livello di mass media, in un mucchio di carta stampata, in cui il cosiddetto “padre dell’evoluzionismo” è stato trionfalmente commemorato in tutti i modi possibili, più o meno scientifici – e forse meno che più -, ma in cui è stata praticamente passata sotto silenzio una questione, tra l’altro prudentemente esclusa dallo stesso Darwin, che, se non risolta, potrebbe fare crollare, per mancanza di fondamenta, la intera costruzione di qualunque dottrina evoluzionistica, darwiniana o no: quella relativa alla origine della vita (1).
La “generazione spontanea” e la moderna “abiogenesi”
La teoria secondo cui la vita sarebbe sorta casualmente dalla materia inorganica non è, in fondo, che la versione moderna di una credenza vecchia quanto la osservazione superficiale della natura, la “generazione spontanea”: quella, per intenderci, in base alla quale gli antichi credevano che le anguille nascessero dalla melma dei fiumi, le zanzare dai miasmi delle paludi, le mosche dalla carne putrefatta, e altre favolette simili (2). La loro inconsistenza fu sperimentalmente dimostrata da Francesco Redi nel 1668 per gli insetti, dall’abate Lazzaro Spallanzani nel 1748 per i protozoi e da Louis Pasteur nel 1861 per i batteri. Tutti e tre gli scienziati dovettero faticare molto per fare accettare le loro scoperte; ma, mentre Redi dovette lottare solo contro i pregiudizi di sedicenti “conservatori”, Spallanzani e più ancora Pasteur si trovarono di fronte la opposizione dei “progressisti”, che della generazione spontanea facevano il supporto “scientifico” di una filosofia materialistica: “La genesi spontanea non è più un ‘ipotesi, ma una necessità filosofica. Soltanto essa è razionale, soltanto essa ci sbarazza per sempre delle puerili cosmogonie e fa rientrare nelle quinte quel deus ex machina esteriore e del tutto artificiale che secoli di ignoranza hanno a lungo adorato” (3).
È chiaro che, partendo da un simile preconcetto, non si poteva fare a meno di cercare il modo di riaffermare quello che la esperienza scientifica aveva negato. E il modo è stato trovato, e contrabbandato per “prova scientifica”, ricorrendo a due accorgimenti: primo, la sostituzione del vecchio e screditato termine “generazione spontanea” con espressioni altisonanti, coniate pour épater le bourgeois, quali “abiogenesi”, “fase prebiotica della evoluzione”, “evoluzione chimica”, e simili; secondo, la retrodatazione della presunta “abiogenesi” a lontanissime ere geologiche, in condizioni ambientali non verificate né verificabili, ma “ricostruibili in laboratorio”, in cui – si afferma – sarebbe potuto avvenire quello che oggi è impossibile.
Fra le numerose “teorie abiogenetiche” oggi disponibili la più accreditata rimane quella delineata una cinquantina di anni fa, dal biologo sovietico Aleksandr Ivanovic Oparin (4). Questa teoria (o, meglio, ipotesi) postula la esistenza – necessaria per l'”abiogenesi” – di un’atmosfera primitiva a carattere fortemente riducente, composta di idrogeno, vapore acqueo, metano, azoto e ammoniaca. In tale atmosfera le radiazioni ultraviolette solari e le scariche elettriche dei fulmini avrebbero provocato la sintesi di composti organici, tra cui amminoacidi, purine e pirimidine. Tali composti, disperdendosi negli oceani, avrebbero formato il cosiddetto “brodo prebiotico”, nel quale, per reazioni chimiche successive, si sarebbero formate, sempre casualmente, le prime biomolecole – soprattutto proteine e, infine, i primi organismi viventi.
Quando, all’inizio degli anni Cinquanta, la ipotesi di Oparin fu ripresa dall’americano Harold Clayton Urey in base alle sue teorie sulla formazione del sistema solare (5), si andarono subito a cercare le tanto agognate “conferme sperimentali”: e Stanley L. Miller ritenne di averle trovate allorché, facendo passare scariche elettriche attraverso miscele gassose di metano, ammoniaca, vapore acqueo e idrogeno, ottenne una miscela di composti organici da cui isolò, tra l’altro, alcuni amminoacidi (6).
I risultati di Miller, successivamente confermati ed estesi, sia pure con qualche lieve modifica per quanto riguarda la composizione dell'”atmosfera primordiale”, da esperimenti successivi (7), diedero un grande impulso alla “ipotesi abiogenetica”: gli amminoacidi sono i componenti fondamentali delle proteine di cui sono costituiti i tessuti biologici; altri composti organici identificati da Miller nella sua miscela di prodotti (8) si ritrovano, in gran parte, tra i prodotti del metabolismo di organismi viventi. Altri amminoacidi (9) e supposti “precursori prebiotici” di altri costituenti fondamentali della cellula, quali gli acidi nucleici (10), sono sintetizzabili in condizioni che, secondo gli autori, ricordano da vicino quelle dell’ipotetico “brodo prebiotico”.
Le difficoltà della “teoria abiogenetica”
Tutto bene, allora? Nessun dubbio? Sembrerebbe, a prima vista, proprio così, dato che le discussioni tra gli “addetti ai lavori” hanno come oggetto non già l'”abiogenesi” in sé, che si dà per scontata, ma, caso mai, il meccanismo con cui si sarebbe verificata. Così, alcuni preferiscono, alle scariche elettriche, la irradiazione con luce ultravioletta di una “atmosfera” di metano, azoto e vapore acqueo, allo scopo di produrre altri composti organici, presentati anch’essi come possibili “elementi prebiotici” (11); ma non mettono in discussione il “fatto” dell'”abiogenesi”.
E, invece, proprio tale preteso “fatto” è da mettere in discussione: se, infatti, i lavori riportati nelle memorie scientifiche sopra citate hanno in sé e per sé, come metodi per la sintesi di alcuni composti chimici, una loro indubbia validità scientifica, non ne hanno invece nessuna come “prove sperimentali dell’abiogenesi”. Una affermazione così netta può, a prima vista, stupire; tuttavia essa è deducibile già da una attenta lettura degli stessi scritti di alcuni abiogenisti, nei quali la “importanza prebiotica” dei risultati riportati è spesso discussa in poche righe, a conclusione di un normalissimo articolo di chimica organica (12); e, ancora, dalla “fuga nella fantascienza” di altri, che presentano, come “prova dell’abiogenesi”, la fotosintesi di composti organici in miscele gassose riproducenti l’atmosfera di Giove (13). Tuttavia, dato che i risultati di simili esperimenti vengono quotidianamente sbandierati come “prove” non solo in scritti “divulgativi” (14), ma anche in rispettabili testi universitari (15), sarà bene esaminarli un poco più approfonditamente.
In tutti gli esperimenti sopra riportati si otteneva, al termine della scarica o della irradiazione, una grande varietà di composti, da cui i supposti “elementi prebiotici” andavano estratti e purificati con procedure spesso assai sofisticate. Anche le rese erano bassissime: nel celebre esperimento di Miller esse andavano dal 10,3 al 7,3% dei prodotti organici totali per gli amminoacidi e dal 16,5 al 7,1% per gli acidi e ossiacidi organici (16). Ma vi è di più: negli esperimenti di “sintesi prebiotica” sono stati ottenuti anche parecchi amminoacidi che non si ritrovano nelle proteine, talvolta con rese più alte che quelli proteici; “la presenza di glicina, alanina, valina, isoleucina e leucina nelle proteine, ma l’assenza di acido alfa-ammino-n-butirrico, norvalina, alloisoleucina e norleucina, non può essere spiegata sulla base delle rese ottenute da questo tipo di sintesi” (17). Inoltre, la proporzione tra i vari amminoacidi nelle proteine è quasi inversa che tra i prodotti di sintesi; per risolvere questa difficoltà, Miller è costretto a supporre una ulteriore “condizione necessaria”, cioè una precipitazione frazionata di amminoacidi per evaporazione in qualche laguna, con formazione di polipeptidi nella fase solida: e tutto questo a conclusione di una serie di esperimenti in cui la resa totale in amminoacidi “utili” e no, era in media l’1,90% (18). Analoghe critiche potrebbero essere mosse alle varie sintesi di “precursori prebiotici” degli acidi nucleici.
Tutte queste teorie, come si è già visto, presuppongono la presenza, sulla terra, di una atmosfera riducente all’epoca della “evoluzione prebiotica” e “protobiotica”. Orbene, le teorie più recenti sulla formazione della terra e della sua atmosfera escludono proprio questa ipotesi fondamentale, affermando che all’epoca della comparsa dei primi viventi la terra aveva un’atmosfera neutra o debolmente ossidante, non molto diversa dall’attuale, salvo, forse, per la mancanza di ossigeno (19).
Un tentativo di ovviare a questo inconveniente, che rischia di mandare all’aria tutta la “teoria abiogenetica”, è stato fatto in America da Allen J. Bard e dai suoi collaboratori. Costoro, dopo avere scoperto che, irradiando con luce ultravioletta una soluzione acquosa di ammoniaca satura di metano in presenza di biossido di titanio platinato – cioè ricoperto di platino finemente suddiviso -, si ottiene una miscela di amminoacidi (20), superano la obiezione relativa alla composizione dell’atmosfera primordiale osservando che il biossido di titanio catalizza la riduzione dell’azoto ad ammoniaca e dell’anidride carbonica a metano, formaldeide e metanolo, sia pure con basse rese (21). Peccato che, per la formazione di amminoacidi sia indispensabile l’uso del biossido di titanio platinato, un catalizzatore sintetico, inesistente in natura. Infatti, sia il biossido di titanio non platinato, sia l’ossido ferrico, sia il minerale ilmenite – ossido misto di titanio e ferro – non producono amminoacidi nelle condizioni di reazione (22). Siamo, come si può vedere, ancora al punto di partenza.
Dalle molecole organiche alle biomolecole: ulteriori difficoltà
Passando poi alla seconda fase della “evoluzione chimica” quella in cui le “molecole prebiotiche” avrebbero reagito tra di loro per formare polisaccaridi, polipeptidi – e poi proteine – e polinucleotidi – e poi acidi nucleici -, che unendosi insieme avrebbero formato i primi organismi, le difficoltà salgono alle stelle. Qui il “caso” invocato dagli abiogenisti si rivela molto, molto intelligente.
La prima difficoltà è data dalla attività ottica delle sostanze di origine biologica, dovuta alla dissimmetria sterica delle molecole (23). Gran parte delle molecole organiche sono dissimmetriche, ossia prive di piani di simmetria, così che possono esistere in due forme distinte, dette enantiomeri, che differiscono tra di loro per essere l’una la immagine speculare dell’altra così come la mano destra differisce dalla sinistra, donde il nome di molecole chirali – dal greco chéir, mano. La possibilità di distinguere tra di loro i due enantiomeri è data, appunto, dalla loro attività ottica: se la soluzione di un enantiomero, attraversata da un raggio di luce polarizzata, ne ruota il piano di polarizzazione, per esempio, verso destra, una soluzione uguale dell’enantiomero opposto lo ruoterà, a parità di condizioni sperimentali, di un uguale angolo verso sinistra (24). La miscela di eguali quantità dei due enantiomeri si chiama racemo e, ovviamente, non ruota il piano della luce polarizzata. Orbene, tutte le molecole chirali che fanno parte degli organismi biologici sono enantiomeri puri, e tutti della stessa configurazione cioè “tipo mano destra” o “tipo mano sinistra” -, a seconda della classe di molecole a cui appartengono. Così, tutti gli amminoacidi che entrano a fare parte delle proteine sono otticamente attivi – meno la glicina, che è simmetrica – e tutti hanno la stessa configurazione sterica, quella “tipo mano sinistra”. Invece, tutte le sintesi di amminoacidi compiute dagli abiogenisti dànno luogo a miscele racemiche, dato che, per obbedienza al presupposto di partenza, sono compiute su reagenti non chirali, senza impiegare catalizzatori otticamente attivi. Addirittura, l’assenza di enantiomeri puri tra i prodotti è stata addotta come prova che gli amminoacidi non erano dovuti a contaminazione da parte di microorganismi (25). Ora, è difficile capire perché da reazioni casuali tra amminoacidi statisticamente distribuiti tra le due forme si sarebbero formati polipeptidi enantiomericamente puri; lo stesso dicasi per i “precursori prebiotici” dei polisaccaridi e degli acidi nucleici.
Ma non basta. Nelle proteine, non solo la configurazione sterica, ma anche la sequenza degli amminoacidi è tutt’altro che casuale, come pure la sequenza delle basi puriniche e pirimidiniche negli acidi nucleici: entrambe sono strettamente ordinate alle funzioni biologiche della macromolecola all’interno dell’organismo; tra le sequenze di basi negli acidi nucleici e le sequenze di amminoacidi nelle proteine esiste una correlazione valida per tutto il mondo biologico – il codice genetico, basato sulla corrispondenza fra terne di basi e amminoacidi -, così che la struttura dei primi determina quella delle seconde. Polipeptidi statistici sono stati ottenuti da Fox riscaldando a 170°C una miscela di amminoacidi posti su un pezzo di roccia vulcanica (26), e dalla équipe romena di Simionescu – insieme con polisaccaridi a struttura non ordinata, pseudo-lipidi e impurezze varie – mediante esperimenti simili a quelli di Miller, ma condotti sotto vuoto alle temperature “siberiane” di -40°C e -60°C, anziché a pressione e a temperatura ambiente (27). I prodotti ottenuti, posti in soluzioni acquose, si aggregano in microsfere, talvolta delimitate da una membrana polisaccaridica, chiamate dagli autori modelli di “protocellule” (28), ma che con le cellule autentiche non hanno proprio niente a che vedere: sono prive di attività metaboliche e riproduttive, in altre parole non vivono.
La vita trascende la fisica e la chimica
Tutte le precedenti obiezioni alla “teoria abiogenetica” sono riconducibili a un semplice principio, ovvio per ogni mente sgombra da preconcetti: l’ordine non può nascere spontaneamente dal caos. Un organismo vivente è molto di più che un aggregato di molecole e di macromolecole organiche: è una forma organizzatrice, che costruisce e ordina queste molecole secondo un progetto strutturale, – è un sistema cibernetico dotato di un grado di informazione superiore a quello delle singole parti che lo compongono. “Quando dico che la vita trascende la fisica e la chimica, intendo dire che la biologia non può spiegare la vita, quale vi presenta oggi, in termini di semplice azione di leggi fisiche e chimiche” (29).
Prendiamo come esempio il codice genetico, a cui ho già accennato, e che consiste nella corrispondenza fra terne di basi nella struttura del DNA, o acido desossiribonucleico, e amminoacidi delle proteine. È un codice universale e, dal punto di vista chimico, arbitrario, sulla cui origine “invece che di “problema”, si dovrebbe parlare ai enigma. Il codice non ha senso se non è tradotto. Il meccanismo traduttore della cellula moderna comporta almeno cinquanta costituenti macromolecolari, anch’essi codificati nel DNA. Il codice genetico può dunque essere tradotto solo dai prodotti stessi della traduzione. È questa l’espressione moderna dell’omne vivum ex ovo. Ma quando e come questo anello si è chiuso su se stesso? È molto difficile anche solo immaginarlo” (30) dice Monod, che qui, nel suo campo specifico, è rigoroso, salvo poi pretendere, poco dopo, di spiegare tutto con il solito binomio caso-necessità (31).
La pretesa degli abiogenisti, che i vari componenti della cellula, formatisi spontaneamente nel “brodo prebiotico”, secondo Fox, o nelle tempeste delle regioni polari, secondo Simionescu, si siano casualmente aggregati “inventando” il codice genetico “non appartiene neanche alla fantascienza, ma al delirio intellettuale” (32).
Allo scopo di rompere il circolo vizioso dell’uovo-DNA e della gallina-proteine, è stata recentemente proposta una nuova teoria sulla origine della vita, la “teoria ribotipica”, che fa originare la cellula dalle ribonucleoproteine attraverso un meccanismo a catena di “quasi-replicazione” (33). Una analisi della teoria esula dagli scopi dei presente articolo, e, soprattutto, dalla mia competenza specifica di chimico, rientrando piuttosto nel campo della genetica molecolare e della microbiologia; essa, tuttavia, dà per scontata la “evoluzione chimica”, ossia la formazione spontanea di acido ribonucleico – RNA, diverso dal DNA – e di proteine (34). Ma, come si è visto precedentemente, tale “evoluzione chimica” è tutt’altro che scontata.
In ogni caso, il “messaggio” contenuto nella struttura degli acidi nucleici costituisce uno “schema” ben preciso che non può essere riducibile a una sequenza statistica di nucleotidi. “Dobbiamo rifiutarci di considerare lo schema attraverso il quale il DNA diffonde informazione come parte delle sue proprietà chimiche. Il suo schema funzionale deve essere riconosciuto come una condizione al contorno posta all’interno della molecola del DNA” (35).
“Infine, una parola sul modo in cui le condizioni al contorno che controllano i processi fisico-chimici in un organismo possano aver avuto origine a partire da materia inanimata. Il problema è se la categoria logica delle mutazioni casuali includa o no la formazione di nuovi principi non definibili in termini di fisica e di chimica. Sembra molto improbabile che possa includerla” (36).
Conclusione
A questo punto qualcuno mi potrà obiettare: “E con tutti questi ragionamenti, che cosa credi di avere ottenuto? Forse di avere “dimostrato scientificamente” la esistenza di Dio?”. No di sicuro. Tanto più che scientificamente in senso stretto non si può dimostrare proprio niente, nemmeno che la terra gira intorno al sole, visto che, per affermare ciò, occorre fare uso di un concetto, quello di “moto assoluto”, che non è scientifico, ma filosofico.
Spero solo di avere mostrato la inconsistenza, anche scientifica, di quelle teorie che pretendono di spiegare col “caso” la esistenza di quella bellissima armonia che è l’insieme delle creature viventi, e di avere fornito così nuovi argomenti sperimentali a sostegno della quinta via di San Tommaso, quella che giunge a Dio a partire dall’ordine del creato (37). E concludo innalzando al Creatore il canto dei tre fanciulli in Babilonia: “Benedite mostri marini / e quanto si muove nell’acqua, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli. / Benedite, uccelli tutti dell’aria, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli. / Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore, / lodatelo ed esalatelo nei secoli. / Benedite, figli dell’uomo, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli” (38).
Giulio Guerra
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(1) Per una critica all’evoluzionismo da un punto di vista biologico e paleontologico, cfr. Giuseppe Sermonti e Roberto Fondi, Dopo Darwin, Rusconi, Milano 1980. Per una critica di carattere filosofico-teologico, cfr. mons. Pier Carlo Landucci, Miti e realtà, La Roccia, Roma l968; e IDEM, La verità sull’evoluzione e l’origine dell’uomo, La Roccia, Roma s.d. Il presente articolo si limiterà a un esame del problema della origine della vita da un punto di vista soprattutto chimico.
(2) Tuttavia gli antichi, più logici dei loro epigoni moderni, invocavano, per giustificare una così palese violazione del principio di causa ed effetto, l’intervento di misteriose “influenze astrali”, che avrebbero vivificato la materia inerte.
(3) Pierre Larousse, Grand Dictionnaire Universel du XIXe Siècle, voce Génération, cit. in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 23. Per le implicazioni morali e sociali di una simile visione del mondo, cfr. anche Luciano Benassi, Mistificazioni evoluzionistiche e matematica, in Cristianità, anno XI, n. 95, marzo 1983.
(4) Cfr. Aleksandr Ivanovic Oparin, The Origin of Life, tr. inglese, Mac Millan, Londra 1936.
(5) Cfr. Harold Clayton Urey, The Planets, Yale University Press, New Haven 1952; e Stanley L. Miller e H. C. Urey, Organic Compound Synthesis on the Primitive Earth, in Science, vol. 130, n. 3370, 31-7-1959, pp. 245-251.
(6) Cfr. S. L. Miller, Production of Some Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, in Journal of the American Chemical Society, vol. 77, 5-5-1955, pp. 2351-2361.
(7) Cfr. Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, in Origins of Life, vol. 5, 1974, pp. 139-151.
(8) Cfr. IDEM, Production of Some Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2358.
(9) Cfr. Nadav Friedmann e S. L. Miller, Synthesis of Valine and Isoleucine in Primitive Earth Conditions, in Nature, vol. 221, n. 5186, 22-3-1969, pp. 1152-1153.
(10) Cfr. Gordon Schlesinger e S. L. Miller, Equilibrium and Kinetics of Gliconitrile Formation in Aqueous Solution, in Journal of the American Chemical Society, vol. 95, n. 11, 30-5-1973, pp. 3729-3735.
(11) Cfr. J. P. Ferris e C. T. Chen, Chemical Evolution. XXVI. Photochemistry of Methane, Nitrogen, and Water Mixtures as a Model for the Atmosphere in the Primitive Earth, in Journal of the American Chemical Society, vol. 97, n. 11, 28-5-1975, pp. 2962-2967.
(12) Cfr., per esempio, G. Schlesinger e S. L. Miller, art. cit., p. 3735.
(13) Cfr. J. P. Ferris e C. T. Chen, Photosynthesis of organic compounds in the atmosphere of Jupiter, in Nature, vol. 258, n. 5536, 18-12-1975, pp. 587-588. Si tratta – lo riferisco a titolo di cronaca – di un lavoro finanziato addirittura dalla NASA.
(14) Cfr. Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, tr. it., 7a ed., Mondadori, Milano 1974, p. 137. Sul carattere né scientifico né filosofico, ma ideologico del saggio di Monod, nonché sul suo “pressappochismo” scientifico, cfr. anche il mio De libello a Jacobo Monod de alea et necessitate conscripto thomistica censura, in AA.VV., Atti dell’VIII Congresso Tomistico Internazionale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, vol. V, pp. 359-364.
(15) Cfr., per esempio, Robert Thornton Morrison e Robert Neilson Boyd, Chimica Organica, tr. it., 1a ed., C.E.A., Milano 1965, cap. 2, § 2.4, p. 34.
(16) Cfr. S. L. Miller, Production of Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2358. Calcolando le rese sui reagenti, anziché sui prodotti, esse si riducono alla metà o a un quinto, a seconda degli esperimenti.
(17) Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, cit., p. 145.
(18) Cfr. ibid., p. 144.
(19) Cfr. R. Fondi, in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., pp. 164-167.
(20) Cfr. Wendell W. Dunn, Yosihiro Aikawa e Allen J. Bard, Heterogeneous Photosynthetic Production of Amino Acids at Pt/TiO2 Suspensions by Near Ultraviolet Light, in Journal of the American Chemical Society, vol. 103, n. 23, 1981, pp. 6893-6897. Al posto del metano si possono usare anche metanolo ed etanolo.
(21) Cfr. ibid., p. 6897.
(22) Cfr. ibid., p. 6895.
(23) Per ovvie ragioni di comprensibilità, mi limiterò a una spiegazione piuttosto elementare e semplificata, anche se non errata. Per una trattazione sistematica cfr., per esempio, Giulio Natta e Mario Farina, Stereochimica, molecole in 3D, Mondadori, Milano 1968.
(24) Questo non significa però che tutti gli enantiomeri “a forma di mano destra” ruotino il piano della luce polarizzata verso destra e tutti quelli “a forma di mano sinistra” verso sinistra, come sembra dire J. Monod (op. cit., p. 58, nota). Un simile “strafalcione”, decisamente “da bocciatura”, non stupisce in Monod, visto il già notato “pressappochismo” e l’autentico disprezzo dell’intelligenza del lettore di cui è pieno il suo libro. Dispiace, invece, lo stesso errore da parte di uno studioso serio come Fondi (in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 173). Mi auguro che venga corretto in una seconda edizione del libro.
(25) Cfr. S. L. Miller, Production of Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2359; e Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, cit., pp. 144-145.
(26) Cfr. G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 175.
(27) Cfr. Cristofor I. Simionescu, Ferencz Dénes e Ioan Negulescu, Abiotic Synthesis and the Properties of Some Protobiocopolymers, in Journal of Polymer Science, Polymer Symposia, n. 64, 1978, pp. 281-304.
(28) Cfr. ibid., pp. 296-299.
(29) Michael Polanyi, Life Transcending Physics and Chemistry, in Chemical and Engineering News, 21-8-1967, pp. 64-65.
(30) J. Monod, op. cit., p. 139.
(31) Cfr. ibid., pp. 140-142.
(32) R. Fondi, in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 185. Sulla improbabilità matematica di simili eventi, cfr. L. Benassi, art. cit.
(33) Cfr. Marcello Barbieri, La Teoria Ribotipica sull’Origine della Vita, in Rivista di Biologia, vol. 75, n. 4, inverno 1982, pp. 515-561.
(34) Cfr. ibid., p. 522.
(35) M. Polanyi, art. cit., p. 62.
(36) ibid., p. 64.
(37) Cfr. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 2, a. 3.
(38) Dan. 3, 79-82.