Marco Invernizzi, Cristianità n. 281 (1998)
«18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare»
Nato a Venezia nel 1902, Luigi Gedda ha attraversato la storia di tutto il secolo XX militando fin dalla giovinezza nel movimento cattolico italiano. Membro dapprima della Società della Gioventù Cattolica italiana, a Torino, dove ha vissuto fino al 1917 con la famiglia, dopo il trasferimento a Milano in seguito alla morte della madre, scomparsa l’anno precedente, ha partecipato alla vita della Gioventù Cattolica Ambrosiana. Da allora la vita di Gedda sarà soprattutto caratterizzata — oltre che dalla professione di medico esperto di genetica, che lo porterà a diventare un’autorità di fama internazionale nel campo della gemellologia, culminata nella fondazione dell’Istituto Gregorio Mendel, tuttora da lui diretto a Roma — dall’appartenenza all’Azione Cattolica Italiana, della quale sarà Presidente centrale della GIAC, la Gioventù Italiana di Azione Cattolica, dal 1934 al 1946, Presidente degli Uomini di Azione Cattolica dal 1946 al 1949 e quindi Presidente Generale di tutta l’associazione dal 1952 al 1959.
Due mesi prima delle elezioni del 18 aprile 1948 fonderà i Comitati Civici, dopo aver ricevuto un suggerimento in tal senso da Papa Pio XII, al fine di costituire uno strumento capace di mobilitare i cattolici e gli italiani con un’efficace propaganda, in grado di opporsi al Partito Comunista Italiano e di superare l’astensionismo. Conosciuto soprattutto come l’uomo dei CC e della lotta contro il comunismo, in realtà esiste un’altra dimensione di Gedda, silenziosa e costante, manifestatasi nella costituzione della Società Operaia, un’associazione laicale fondata da Gedda a Roma nel 1942 e tuttora operante, allo scopo di “raccogliere quanti “laici come laici” volevano consacrare la vita a diffondere nel mondo presente il messaggio di Gesù” (1), seguendo una spiritualità incentrata nel Mistero dell’agonia di Cristo nel Getsemani. Alle caratteristiche di questa spiritualità, Luigi Gedda ha dedicato due opere (2). La Società Operaia è stata eretta in associazione di diritto pontificio dal Pontificium Consilium pro laicis nel 1981; una descrizione delle sue finalità è stata scritta nella biografia di Gino Pistoni, un giovane appartenente sia all’ACI e che alla Società Operaia, caduto ventenne durante la guerra civile in Italia nel 1944: “In sostanza, un modo di intendere la vita come consacrazione, come volontà di vivere non solo i precetti ma ancora i consigli evangelici, nel matrimonio o fuori del matrimonio, nel laicato o nel sacerdozio. Una coalizione di tutte le energie della Chiesa ai fini dell’apostolato, che non può essere inteso come il peso o il privilegio di pochi, ma come la responsabilità e la nobiltà di tutti, qualunque ne sia lo stato o l’età. Un’operosa nostalgia delle prime età cristiane che si vorrebbero far rivivere nell’ardore di vita e nell’amore fraterno che li contraddistingue. Un impalpabile e pur concreto vincolo fra anime che continuando la loro vita nelle loro case, e conservando la propria spiritualità si ritrovano unite in un comune riferimento al momento mistico del Getsemani, il momento della solitudine e del sacrificio della propria volontà a quella del Padre. Infine un comune proposito di vivere la propria fede in una costante realizzazione di “opere”, che rendano gloria al Padre. Operai evangelici, operai di Cristo, consacrati per la vasta messe dell’apostolato dell’oggi e del domani” (3).
Finalmente, Luigi Gedda ha voluto mettere per iscritto alcuni aspetti della sua ormai quasi secolare militanza, in particolare prendendo spunto dalle udienze concessegli dai Pontefici Pio XI e Pio XII. Ne è nato un libro di memorie (4), di grande importanza per poter ricostruire correttamente la storia recente della nostra nazione. L’opera, uscita in Italia a ridosso del cinquantennale del 18 aprile 1948, ha sollevato un interesse notevole anche se quasi esclusivamente limitato alle elezioni del 1948, e Luigi Gedda è così ritornato per un momento al centro dell’attenzione dei mass media. Tuttavia, facendo un bilancio degli effetti visibili prodotti dall’edizione di queste memorie, si può ragionevolmente sostenere che esse abbiano sostanzialmente contribuito a riportare in auge la tesi secondo cui nel 1948 vi è stata una vittoria della Democrazia Cristiana, e di Alcide De Gasperi in particolare, contro il PCI di Palmiro Togliatti, con il contributo certamente importante, ma sostanzialmente episodico, dei CC di Luigi Gedda. In realtà, la lettura delle memorie e una riflessione un poco più meditata — peraltro presente nella storiografia sull’episodio, ma mai passata nel comune sentire (5) — portano oltre questa interpretazione, fornendo elementi per cogliere nella storia del cattolicesimo italiano elementi di un malessere del quale i Papi erano a conoscenza, malessere precedente e successivo all’episodio del 18 aprile.
Infatti, le novanta udienze concesse a Luigi Gedda, ventisei da Pio XI e sessantaquattro da Pio XII, hanno naturalmente come soggetto principale l’ACI, cui Gedda ha dedicato tanta parte della vita (6). Il resoconto di tali udienze permette così al lettore di entrare all’interno, e al vertice in qualche modo, della stessa ACI, attraverso il resoconto dei colloqui avvenuti fra uno dei massimi dirigenti prima e poi Presidente generale dell’ACI e i due Pontefici che, in quanto vescovi di Roma, avevano autorità diretta sull’ACI, organismo di apostolato gerarchico che impegna la Chiesa stessa nel suo apostolato. Il lettore potrà così avere nuovi elementi per valutare l’ascesa e il crollo dell’ACI svoltasi nel secondo dopoguerra, e soprattutto troverà motivo di constatare come l’opposizione allo stile dell’ACI di Gedda, e di Papa Pio XII — culminata negli anni 1960 nella cosiddetta “scelta religiosa” (7) si manifesterà già negli anni 1950, con episodi gravi e significativi, come quelli relativi all’uscita dall’ACI, in polemica con Gedda, di due fra i suoi massimi dirigenti, Carlo Carretto e Mario Rossi.
Le udienze cominciano nel 1934 e le testimonianze di Gedda sono anzitutto legate a fatti che hanno relazione con la sua presidenza della GIAC, dal 1934 al 1946. Esse testimoniano il clima di contrapposizione “culturale” fra la Chiesa e il regime fascista, per quanto riguarda l’influenza sulla società; l’ACI era forse lo strumento principale attraverso il quale il cristianesimo doveva permeare il corpo sociale opponendosi al tentativo di alcuni esponenti della gerarchia fascista di creare l’”uomo nuovo” utilizzando il potere dello Stato, e per questo proprio l’ACI, la “pupilla degli occhi di Pio XI”, era stata al centro dello scontro fra la Chiesa e il regime nel 1931 e lo sarà ancora nella crisi del 1938. Il 10 febbraio 1939 Papa Pio XI moriva e il 2 marzo veniva eletto Pontefice il cardinale Eugenio Pacelli con il nome di Pio XII.
Durante il pontificato di Papa Pio XI Gedda aveva fondato il Vittorioso, affidandone la direzione al giornalista e scrittore Nino Badano, un giornale giovanile che ebbe tanto consenso al punto che vent’anni dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1966, è stata fondata un’associazione nazionale di amici del Vittorioso; tuttavia, anche per ragioni anagrafiche, sarà durante il pontificato di Pio XII che l’opera di Gedda si svolgerà compiutamente. L’ACI era l’unica associazione non dipendente dal regime che avesse mantenuto una struttura organizzativa non clandestina e quindi, alla caduta del fascismo, Luigi Gedda capisce che l’ACI “[…] avrebbe perciò potuto fornire i quadri dirigenti, come di fatto avvenne, per la ricostruzione politica della nazione” (8). Nel 1946 viene nominato Presidente degli Uomini di Azione Cattolica e in questa veste, nell’udienza che ha per oggetto l’adunata nazionale degli uomini di AC dal 6 all’8 settembre 1947, affronta il tema del “[…] piano di azione per la prossima consultazione elettorale della Repubblica italiana e di come superare gli oltre quattro milioni di voti raccolti dai comunisti alle elezioni per l’Assemblea Costituente. Poiché sembra che i comunisti vogliano “bloccare” con i socialisti, si potrebbe indurre la Democrazia Cristiana a fare blocco con altri partiti e a utilizzare candidature significative come quella del conte Dalla Torre, che potrebbe temporaneamente dimettersi dalla direzione dell’”Osservatore Romano”. Il Santo Padre menziona “Civiltà Italica”, una iniziativa politica di monsignor Ronca, ed io obietto che meglio sarebbe riprendere l’Unione Elettorale Cattolica nominata dai Vescovi, che aveva bene funzionato in altri tempi ed Egli approva” (9). In un’altra udienza del 1947 il Papa è “[…] addolorato per il comportamento della Democrazia Cristiana e della Seconda Sezione della Segreteria di Stato a proposito dei rapporti con il Fronte dell’Uomo Qualunque” (10), a conferma della preoccupazione del Papa circa la possibilità che il PCI conquistasse la maggioranza relativa alle elezioni.
Così, nell’udienza del 10 gennaio 1948, Papa Pio XII afferma che “[…] si tratta di una lotta decisiva e che perciò è il momento di impegnare tutte le nostre forze” (11) e ribadisce la propria scontentezza “[…] per gli errori commessi dai democristiani, per le beghe interne al partito, per la leggerezza con la quale essi affrontano i problemi” (12): nasce così l’idea di costituire quelli che poi Gedda vorrà far chiamare Comitati Civici, cioè organismi anzitutto preposti alla mobilitazione elettorale del mondo cattolico in vista delle elezioni del 18 aprile 1948.
Questa scadenza elettorale ebbe anche un riflesso sulla vita dell’ACI, come ricorda lo stesso Gedda, perché l’associazione si trovava divisa fra chi voleva affiancare la DC nella lotta elettorale, come l’allora Presidente Generale avvocato Vittorino Veronese, e chi invece, come Gedda, promuovendo i CC forniva “[…] un insegnamento fondamentale ai cattolici italiani impegnati ad assolvere un dovere elettorale: non è sufficiente l’esistenza di uno o più partiti di ispirazione cristiana, ma è necessario che esista una struttura politica non partitica in ogni diocesi, cioè che esistano un Comitato nazionale e dei Comitati diocesani composti da cattolici autentici e non interessati a una candidatura personale” (13), come farà lo stesso Gedda rifiutando la candidatura al collegio senatoriale di Viterbo offertagli dalla DC in occasione delle elezioni del 18 aprile. Il fondatore dei CC aggiunge poi, riferendosi a quanto successivamente accaduto nella storia del paese e del mondo cattolico, che la validità dell’esperienza unitaria provata allora con i CC per volontà di Papa Pio XII è confermata dalle “[…] tristissime vicende della prigionia e morte di Aldo Moro e della uccisione di Vittorio Bachelet, nonché la trasformazione degli Statuti dell’Azione Cattolica di Pio XI operata dai monsignori Costa e Guano” (14), che hanno provocato l’attuale disorientamento degli elettori cattolici, la loro divisione e l’impossibilità così di “imporre il pensiero cristiano alla politica italiana” (15). “Una struttura analoga a quella dei Comitati Civici — conclude Gedda — dovrebbe però avere, a differenza di quanto avvenne nel 1948, una vita permanente, in modo che essa possa garantire un’efficiente presenza e controllo dei cattolici sulla moralità della vita politica” (16).
Viene poi la tanto sospirata vittoria elettorale del 18 aprile. Opportunamente, Luigi Gedda fornisce il numero degli elettori che scelsero la DC nel 1946, nelle elezioni per l’Assemblea Costituente, cioè 8.101.004, e quelli che la votarono nel 1948, nelle elezioni per la Camera dei Deputati, cioè 12.741.299, per far capire come i quasi cinque milioni di voti in più non sarebbero arrivati senza la mobilitazione capillare dei CC. “Pio XII è molto rasserenato […]. Osserva che anche Giannini dell’Uomo Qualunque avrebbe potuto ottenere un buon risultato, se non avesse sbagliato nel promuovere un fronte antigoverno mediante l’unità sindacale con la Confederazione Generale dei Lavoratori” (17), ricorda Gedda riferendo dell’udienza del 22 aprile, la trentunesima con Papa Pio XII.
La situazione della Chiesa in Italia e la politica nazionale non sono l’unica materia delle udienze fra Gedda e il Pontefice, anche se hanno un posto predominante, dato il ruolo ecclesiale e politico, anche se non partitico, del dirigente di ACI e fondatore dei CC. Per questo, Gedda trova il modo di presentare al Papa il suo libro Studio dei Gemelli (18), ma rimangono al centro delle conversazioni i grandi problemi del mondo cattolico italiano, nel quale, secondo Gedda, “[…] vige un clima di benestantismo, cioè di quietismo, e Pio XII commenta che “manca lo spirito di conquista”” (19) e mancano le scelte di politica nazionale: “Gli chiedo se dobbiamo continuare ad appoggiare la Dc con i Comitati Civici ed Egli approva questo orientamento, ma consiglia di non attaccare le destre perché non diventino a loro volta anticlericali” (20). A questo proposito, un certo rilievo merita la 47a udienza, avvenuta il 17 giugno 1952, di poco successiva al fallimento dell’Operazione Sturzo, quando il Papa avrebbe voluto la costituzione di un’unica lista per le elezioni comunali romane fra tutti i partiti anticomunisti, e incaricò don Luigi Sturzo di condurre appunto l’operazione. Ma Papa Pio XII e Gedda, che nel frattempo era diventato Presidente generale dell’ACI, dovettero subire il rifiuto di tutti i Presidenti dei rami dell’ACI, e cioè “[…] Carretto (Giac), Badaloni (Maestri Cattolici), Miceli (Gioventù Femminile) e Carmela Rossi (Donne Cattoliche), come pure la Fuci e i Laureati Cattolici; e questo perché l’operazione Sturzo coinvolgeva l’elettorato di destra. Soltanto Maltarello, presidente degli Uomini di Ac, si dichiarò favorevole” (21). Gedda trova il Papa “molto triste” (22), che “[…] osserva che l’Azione Cattolica collabora non con la Chiesa ma con la Democrazia Cristiana” (23), che gli parla di “amare scoperte” (24), arrivando ad affermare che “l’Azione Cattolica, per la quale sono stati fatti tanti sacrifici, non è più nostra” (25). In questo periodo matura il “ribaltamento” del pensiero di Carlo Carretto — che il 17 ottobre 1952 rassegna le dimissioni — la cui trasformazione si deve soprattutto “[…] all’influenza degli uomini della Democrazia Cristiana che lavoravano per un’intesa con i comunisti, e in particolare a Giuseppe Dossetti” (26). A Carretto succede Mario Rossi, che “[…] portò nella Giac la tendenza a considerare la politica estranea alla disciplina ecclesiale dell’Azione Cattolica, conferendole invece un’impronta di tipo marxista conforme al socialismo sopravvissuto al fascismo nel suo Polesine” (27); anche lui, nel giro di due anni, viene costretto alle dimissioni con quasi tutti i dirigenti centrali della GIAC (28).
Evidentemente, il malessere presente nell’ACI, che esploderà negli anni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II con la cosiddetta “scelta religiosa” — in sintesi, una linea pastorale che escludeva il desiderio di costruire una società il più possibile conforme al diritto naturale e rivelato, cioè escludeva quello spirito di conquista la cui assenza era già stata denunciata da Papa Pio XII — e che porterà al crollo delle iscrizioni, che nel 1954 avevano superato i tre milioni, tale malessere per Gedda venne acuito dalla riforma degli Statuti dell’ACI voluta nel 1953 dai “[…] Monsignori Costa e Guano, che trasformarono sullo schema della Fuci e della sua mentalità l’Azione Cattolica dei cinque rami stabilita da Pio XI” (29).
Ma qual’era questa mentalità? Un libro di memorie non è la sede per una risposta esaustiva a una domanda di questa portata. Un’indicazione può essere contenuta in queste parole, poste quasi al termine del libro: “La confusione non si manifestò soltanto ai vertici del partito, ma si estese anche alle organizzazioni cattoliche, per cui alla linea dell’ortodossia assoluta che aveva caratterizzato l’Azione Cattolica durante il fascismo e l’azione dei Comitati Civici, successe un periodo nel quale, a causa del cattivo esempio della Democrazia Cristiana, prevalse la linea di rispettare la democrazia qualunque essa fosse” (30). Esse ricalcano la denuncia di Papa Giovanni Paolo II nelle encicliche Centesimus annus ed Evangelium vitae a proposito della democrazia senza valori, del relativismo che porta all’autodistruzione dello Stato e della stessa convivenza nazionale. Queste parole descrivono anche le difficoltà dei cattolici italiani negli anni 1950, immersi in una situazione di apparente grande consenso e forza, ma in una nazione che andava secolarizzandosi nella cultura e nel costume e nella quale stava guadagnando consensi una risposta sbagliata a problemi reali, quella che già allora asssumeva i connotati del progressismo e che, nella ricostruzione di Luigi Gedda, aveva una posizione di forza e di grande influenza nella sinistra democristiana guidata da Giuseppe Dossetti.
La preziosa opera di Gedda aiuta così non soltanto a ricostruire la storia del paese e del movimento cattolico in Italia, ma permette anche di riconoscersi oggi nel lavoro apostolico di chi ha già combattuto la stessa “buona battaglia”.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Manuale operaio, Ed. operaie, Roma 1973, p. 24.
(2) Cfr. Luigi Gedda, Getsemani. Meditazioni per l’uomo d’oggi, 4a ed., Massimo, Milano 1987; e Idem, Spiritualità getsemanica, Massimo, Milano 1992.
(3) Giovanni Getto, Gino Pistoni. Ritratto di un caduto per la libertà, a cura di Rodolfo Venditti, Piero Gribaudi editore, Milano 1994, p. 74.
(4) Cfr. L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano 1998.
(5) Sul 18 aprile 1948, cfr. il mio Democrazia Cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), in Cristianità, anno XXVI, n. 277, maggio 1998, pp. 19-23.
(6) Per comprendere appieno la nascita e il significato dell’ACI, quest’ultima va situata all’interno della storia del movimento cattolico ma non va confusa con esso, di cui rappresenta una particolare modalità organizzativa. In sintesi, non si deve confondere l’”azione cattolica” con l’Azione Cattolica Italiana. A quest’ultima faccio riferimento in questo articolo, cioè alla realtà nata dai nuovi Statuti approvati il 2 ottobre 1923. La bibliografia sull’ACI è sterminata; per un primo approccio, prescindendo dalla posizione ideologica degli autori, cfr. Mario Casella, L’Azione Cattolica del tempo di Pio XI e di Pio XII (1922-1958), in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, vol. I/1 I fatti e le idee, Marietti, Torino 1981, pp. 84-101; Renato Moro, Azione Cattolica Italiana (ACI), ibid., vol. I/2, I fatti e le idee, pp. 180-191; Guido Formigoni, L’Azione Cattolica Italiana, Àncora, Milano 1988; e Mario Agnes, L’Azione Cattolica in Italia. Storia identità missione, a cura e con presentazione di Michele Zappella, Sangermano, Cassino 1985.
(7) Sulla “scelta religiosa”, cfr. ACI, scelta religiosa e politica. Documenti 1969-1988, AVE, Roma 1988, a cura di Raffaele Cananzi, Presidente nazionale dell’ACI in quel tempo; e cfr. anche La Chiesa italiana e le sue scelte. La questione della “scelta religiosa”. Contributo a un dibattito, Quaderni, 2, Supplemento a Litterae Communionis – CL, 1983, che raccoglie i risultati di un lavoro seminariale condotto da don Luigi Negri.
(8) L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, cit., p. 87.
(9) Ibid., pp. 104-105.
(10) Ibid., p. 105. Il Movimento, poi Fronte dell’Uomo Qualunque è un movimento politico fondato — con il settimanale L’Uomo Qualunque — dal commediografo, giornalista e uomo politico campano Guglielmo Giannini (1891-1960) nel secondo dopoguerra in alternativa ai partiti del CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale, alla cui prospettiva politica cerca di contrapporre appunto le esigenze degli “uomini qualunque”: cfr. Sandro Setta, L’Uomo qualunque. 1944-1948, 2a ed., Laterza, Roma-Bari 1995.
(11) L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, cit., p. 115.
(12) Ibidem.
(13) Ibid., pp. 126-127.
(14) Ibid., p. 127.
(15) Ibidem.
(16) Ibidem.
(17) Ibid., pp. 132-133.
(18) Cfr. ibid., p. 146.
(19) Ibid., p. 147.
(20) Ibidem.
(21) Ibid., p. 153.
(22) Ibidem.
(23) Ibidem.
(24) Ibidem.
(25) Ibid., pp. 153-154.
(26) Ibid., p. 154; su Dossetti, cfr. la mia Nota su Giuseppe Dossetti e sul dossettismo, in Cristianità, anno XXV, n. 263, marzo 1997, pp. 3-6.
(27) L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, cit., p. 155.
(28) Cfr. ibid., p. 156.
(29) Ibid., p. 172.
(30) Ibid., p. 191.