Alfredo Mantovano, Cristianità n. 319 (2003)
Testo comparso con il titolo Un membro del governo argomenta con intelligenza il suo “no”. Lettera da un paese civile sul crocifisso di Ofena, in Il Foglio quotidiano, anno VIII, n. 301, Milano 1°-11-2003, p. 2. Titolo redazionale.
Premessa n. 1. Provo un certo disagio per talune reazioni alla vicenda di Ofena: la fede ha i suoi segni e si testimonia coi fatti, ma non si ostenta dalla sera alla mattina sui baveri delle giacche o aumentando le dimensioni dei crocifissi, come se fossero dei gadget. Premessa n. 2. L’ordinanza del dottor Montanaro va letta e può essere criticata; ma le questioni che pone sono controverse e non vengono risolte da eventuali censure disciplinari.
Fatte queste premesse, spero di limitare gli equivoci. E di poter ritenere serenamente che le articolate e suadenti argomentazioni del giudice dell’Aquila non convincono neanche un po’. Quell’ordinanza è tecnicamente un provvedimento d’urgenza, emesso in base all’art. 700 c.p.c.; richiede quindi, per legge: a) la competenza del giudice ordinario; b) un minimo di fondamento giuridico; c) un pregiudizio grave e irreparabile derivante dall’attesa del giudizio vero e proprio. Il discorso potrebbe già chiudersi sul primo e sul terzo punto, ricordando che, per legge, il servizio di pubblica istruzione rientra nella competenza esclusiva dei TAR (dunque, non c’è spazio per i giudici ordinari), e che la croce nelle scuole e in altri edifici pubblici esiste da un po’ (qualche secolo?): perché, dunque, non aspettare i tempi di un più ponderato giudizio? Si potrebbe aggiungere che il provvedimento d’urgenza, proprio perché tale, ha in genere una motivazione sommaria, mentre qui ci si trova di fronte a 30 ponderose pagine… Si dirà che questi sono formalismi; fino a un certo punto: nel diritto la forma risponde a una logica, e spesso coincide con la sostanza.
E tuttavia, andiamo alla sostanza: il fondamento giuridico. Il cuore della motivazione, ciò attorno a cui ruota l’ordinanza, è un brano che val la pena di riportare: “Le giustificazioni addotte per ritenere non in contrasto con la libertà di religione l’esposizione del crocifisso […] sono divenute ormai giuridicamente inconsistenti, storicamente e socialmente anacronistiche, addirittura contrapposte alla trasformazione culturale dell’Italia”. Lasciamo perdere l’inconsistenza giuridica, che è materia di discussione, sulla quale immagino che il tribunale dell’Aquila concentrerà il merito del giudizio vero e proprio. Chiedo: nel nostro ordinamento iperpositivizzato, è compito del giudice stabilire che cosa è fuori epoca? E sulla base di quali parametri? Spetta al magistrato certificare la conformità ai cambiamenti culturali (immagino si usi il termine cultura in senso lato, riferita ai comportamenti più seguiti)? Chi l’ha investito di questo ruolo? Se si volesse per un momento replicare all’argomento di merito, basterebbe ricordare che ultimamente in Italia la frequenza alle Messe domenicali è cresciuta, e con essa l’attenzione al sacro e alla Chiesa. Ma non è questo il punto! Avvicinandosi al nocciolo della questione, il dottor Montanaro ha necessità di ricorrere a un dato metagiuridico, assolutamente nebuloso e soggettivo: che adopera per contestare l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato, dall’Avvocatura dello Stato e dalla Corte costituzionale, cui rimprovera di non saper cogliere i segni dei tempi. Un dato metagiuridico che conferisce al giudice un potere così esteso da far paura.
Di più: egli contesta la tesi secondo cui “[…] esisterebbe […] un’identità italiana, forgiata dai principi del cattolicesimo, che non può essere cancellata, così come non si possono cancellare la Divina Commedia o gli affreschi di Giotto”. Seguendo questa logica, attendiamoci che, quando gli innocenti pargoli di Adel Smith arriveranno al liceo, il loro islamico genitore attiverà un ricorso d’urgenza per inibire al professore d’italiano la lettura di Dante: se la visione del crocifisso, come si spiega nell’ordinanza, crea un danno grave e irreparabile, turbe ancora più pesanti determinerà lo studio dell’Inferno, peraltro così popolato di seguaci di Maometto… Ancora: per il dottor Montanaro i “[…] principi costituzionali […] impongono […] la neutralità delle strutture pubbliche di fronte ai contenuti ideologici”. È lecito sapere che cosa significa neutralità? È lecito sostenere che la neutralità, come il vuoto, non esiste in natura, e che chi si fa scudo della neutralità rende una affermazione fortemente ideologica, che rinvia a quel relativismo assoluto che è esso stesso una ideologia?
Detto questo, il problema non coincide con l’ordinanza dell’Aquila. È dovere della politica fare un passo in avanti: se l’esempio di Smith e quello del dottor Montanaro dovessero trovare qualche seguito, l’ipotetica parallela moltiplicazione di ispezioni ministeriali avrebbe un che di patetico. Il problema reale si chiama libertà religiosa: esatta configurazione del suo fondamento, del suo contenuto, dei suoi limiti. In questa legislatura il Parlamento aveva iniziato l’esame di un disegno di legge del governo che proponeva qualcosa: quell’esame si è bloccato per iniziativa di chi oggi leva le grida più alte sulla vicenda di Ofena. È un problema che non si risolve con le urla o con le interdizioni: esiste, cresce di consistenza, non può attendere una lunghissima revisione costituzionale. Aggiungo: il problema si chiama anche integrazione. Con gli annessi e connessi in termini di riconoscimento del diritto di voto: che cosa può favorire la corretta distinzione fra religione e politica, e quindi la marginalizzazione dell’Islam radicale, più di una prova del voto alla quale sottoporre chi, come Smith (e come chi lo manda avanti), si erge a rappresentante di tutti i musulmani italiani?
Alfredo Mantovano
Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno