MAURO RONCO, Cristianità n. 294 (1999)
Nei primi dieci giorni d’ottobre del 1999 l’opinione pubblica italiana ha assistito a una sconcertante serie di avvenimenti, sfociata l’11 ottobre nella rivelazione che molte personalità impegnate ad alto livello nella politica, nella diplomazia, nell’amministrazione pubblica e nel giornalismo sono state per molti anni in rapporto di collaborazione stabile con il famigerato KGB, il servizio informazioni e sicurezza dell’Unione Sovietica, decisivo per la conservazione del sistema di potere di quello Stato comunista e per la diffusione dell’ideologia e della prassi rivoluzionarie nel mondo.
Nel confuso susseguirsi degli avvenimenti ha sconcertato soprattutto il timor panico — caratterizzante soprattutto l’atteggiamento dei grandi mezzi d’informazione di massa — che fosse detto finalmente in pubblico quanto tutti sapevano e pochi osavano proclamare ad alta voce: che, cioè, la vita culturale e politica è stata per decenni infiltrata da un apparato di intelligence, operante in simbiosi con i servizi segreti dell’Unione Sovietica, apparato i cui collaboratori erano annidati all’interno dei gangli vitali della società italiana.
La rivelazione dell’11 ottobre 1999 è destinata a suscitare una salutare ondata liberatoria, analoga, sotto il profilo culturale, a quanto, sul piano materiale, è stato nel 1989 la caduta del Muro di Berlino. Là una barriera fisica impediva la libera circolazione delle persone; qui una barriera di rispetto umano e di timore verso l’ideologia comunista ottundeva le coscienze al punto da non consentire che fossero svelate, neppure in piccola parte, le basi reali dell’influenza comunista in Italia, non consistenti affatto nel sostegno delle masse popolari, bensì precisamente nella capillare opera d’inquinamento delle coscienze, esercitata in modo organizzato da strutture segrete di uno Stato totalitario, operanti in accordo con personalità influenti nella vita politica e sociale, celate spesso sotto l’esercizio di ruoli che con il comunismo non avrebbero dovuto avere rapporti di collaborazione.
Occorre prendere coscienza che il comunismo non è stato una parentesi nella storia contemporanea, che, come tale, non avrebbe lasciato traccia nel costume e nella mentalità dei popoli. Esso è stato il punto terminale di un lungo processo rivoluzionario, che si è sedimentato nella coscienza e negli atteggiamenti, alimentando la cultura del sospetto e la prassi della menzogna, oltre che, nei paesi caduti sotto il suo controllo, dell’oppressione e della violenza. Esso si è impiantato con la tecnica della sovversione e del complotto, ingenerando intorno a sé paura per i suoi metodi brutali e simpatia per la sollecitazione e l’intronizzazione dell’orgoglio che arde nell’animo di ciascun uomo.
La rivelazione dei suoi metodi occulti, la denuncia delle realtà meschine attraverso cui si è dilatato il suo potere, l’individuazione delle linee essenziali di un complotto portato avanti con determinazione e tenacia per decenni, costituiscono fatti di portata e d’importanza straordinarie, perché consentono di comprendere le devastazioni compiute e la difficoltà di risalire verso l’alto dall’abisso storico in cui la società è precipitata.
Nella prossimità dell’ormai inevitabile rivelazione e, ancor più, dopo l’apertura dei documenti contenenti le liste degli uomini al servizio occulto del comunismo sovietico, è iniziata però un’altra indecorosa opera di disinformazione, all’insegna della minimizzazione e della ridicolizzazione in ordine al significato di quanto è stato svelato, disinformazione che si pone in perfetta continuità rispetto a ciò che è stato compiuto per decenni in Italia dall’apparato rivoluzionario comunista.
Contro ogni minimizzazione e ogni ridicolizzazione occorre esercitare il discernimento, onde individuare il significato reale della scoperta, apprezzandone l’importanza e traendone ammaestramento e profitto per la difesa futura contro ulteriori menzogne e inganni.
L’errore più grave che si potrebbe compiere nella valutazione dei documenti che vanno sotto il titolo di Archivio Mitrokhin — dal nome dell’ex ufficiale del KGB, Vasili Nikitiã Mitrokhin, che li ha copiati e trasferiti in Occidente, dove vive sotto falsa identità — sarebbe di ricercare nelle liste che elencano gli agenti e i collaboratori del KGB delle spie nel senso corrente, com’è dato conoscere tanto nei romanzi d’avventura che nel testo dell’articolo 257 del codice penale, secondo cui spia è chiunque, con lo scopo d’informare uno Stato estero, si procura notizie che debbono rimanere segrete nell’interesse della sicurezza dello Stato, o, comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale, della propria patria.
Andare alla ricerca di spie di tal genere sarebbe fuorviante, nonché inutile e frustrante. Ben hanno compreso ciò tanto il presidente del consiglio dei Ministri, on. Massimo D’Alema, allorché, in un primo momento, aveva deciso che il Governo inviasse il dossier all’autorità giudiziaria, senza rivelare i nominativi delle liste all’opinione pubblica, quanto i commentatori più accorti, appartenenti alla medesima area politica del capo del Governo, che già hanno predicato l’irrilevanza, sotto il profilo strettamente spionistico, dei contatti fra la struttura del KGB e i suoi collaboratori italiani.
Contro un siffatto tentativo è opportuno notare che sarebbe fuorviante trattare come una serie di tradizionali vicende di spionaggio gli avvenimenti su cui il dossier Mitrokhin ha gettato uno squarcio di luce. Che il servizio segreto sovietico abbia avuto alle sue dipendenze spie di tal genere, che gli passavano informazioni segrete, di carattere militare, diplomatico e industriale, non può sicuramente dubitarsi. Ed è ben probabile che fra i nominativi elencati nelle liste vi siano personaggi di questo tipo, perseguibili a norma del codice penale.
Ma non è questo l’aspetto importante e decisivo messo in evidenza dall’archivio trasmesso dal servizio segreto britannico ai paesi alleati in seguito alle rivelazioni dell’ufficiale che ha abbandonato la struttura sovietica. La grandissima parte delle persone indicate nelle liste non appartiene probabilmente alla categoria delle spie in senso tecnico e giuridico, bensì a quella, ben più rilevante nello scenario della moderna guerra rivoluzionaria, degli agenti d’influenza, che hanno svolto il loro compito a servizio dello Stato totalitario e dell’ideologia comunista, soprattutto disinformando, inquinando e orientando l’opinione pubblica e i quadri politici e sociali dei vari partiti e raggruppamenti sociali, e non semplicemente fornendo al nemico i progetti di qualche velivolo o i piani di volo riservati degli stormi aerei di pronto impiego. Andare alla ricerca di spie tradizionali, pretendere illusori accertamenti giudiziari o addirittura invocare sanzioni esemplari in sede penale nei confronti dei colpevoli sarebbe dar segno di totale incomprensione dei meccanismi attraverso cui il comunismo ha tentato — e in parte realizzato — il controllo totalitario delle coscienze.
In Italia si è assistito, fin dall’immediato dopoguerra, e, poi, con pervasività via via crescente fino all’implosione del sistema di potere sovietico alla fine degli anni 1980, alla creazione di un’atmosfera culturale e alla diffusione di una serie d’interpretazioni in ordine al significato e alle linee dominanti del processo storico, atmosfera e interpretazioni perfettamente funzionali alla strategia di potere del Partito Comunista Italiano. Questa strategia ha avuto successo, consentendo a tale partito di acquistare una sorta di egemonia culturale e politica nella vita italiana, a tal punto stringente che, all’implosione del sistema di potere in Unione Sovietica, i postcomunisti italiani, senza alcuna revisione storica dei presupposti ideologici e degli orrori politico-sociali compiuti dal comunismo, si sono appropriati del potere politico, giovandosi del sostegno delle stesse forze — soprattutto degli ex democristiani raccoltisi nel Partito Popolare Italiano —, che nel lungo periodo della guerra fredda avevano rappresentato ed espresso — ben inadeguatamente — le ragioni di difesa del mondo libero.
Grazie al dossier Mitrokhin, si scopre ora che l’egemonia culturale comunista, sostenuta e innervata da una serie complessiva d’interpretazioni storiche, è il frutto in gran parte di un’opera organizzata d’infiltrazione e di disinformazione, che ha accompagnato passo passo lo snodarsi delle vicende storiche in Italia. Grandemente significativa è l’attenzione dedicata dal KGB al mondo dell’informazione, grazie a cui gli agenti d’influenza sovietici hanno diffuso nel paese un’atmosfera di disarmo morale, tagliando i rapporti vitali fra la classe dirigente non comunista e i quadri intermedi della popolazione, alimentando ostilità e sospetto verso i princìpi e i valori etici e verso ogni forma di autorità che ne proponesse il rispetto, occultando le attività sotterranee di destabilizzazione che i comunisti compivano in segreto, attribuendo in modo generalizzato ai servitori dello Stato responsabilità per gli avvenimenti oscuri che funestavano i vari momenti del lungo dopoguerra, denunciando trame e complotti altrui per meglio e più francamente tessere le proprie trame e portare a compimento i propri complotti.
Grazie al disvelamento consentito dalla pubblicazione del dossier Mitrokhin, appare agli occhi dell’osservatore attento un brandello dell’enorme sforzo che la Rivoluzione comunista ha compiuto per smobilitare le coscienze e, grazie a ciò, per egemonizzare la vita culturale, politica e sociale del nostro paese. Valgano al riguardo due esemplificazioni.
Anzitutto si presti attenzione ai flussi enormi di denaro che dall’Unione Sovietica sono costantemente pervenuti al PCI e alle sue organizzazioni parallele, allo scopo di finanziare la propaganda ideologica e di alimentare l’immenso apparato di un partito presente, capillarmente, in ogni città italiana e dotato al suo centro di una serie di strutture assimilabili a quelle di uno Stato. La disinformazione realizzata grazie all’infiltrazione nel mondo dei mass media, nonché l’atmosfera d’intoccabilità diffusa intorno all’azione del PCI hanno fatto sì che, nonostante la conoscenza a grandi linee dell’esistenza di tale enorme finanziamento occulto, proveniente dallo Stato che si trovava al vertice dell’alleanza militare organizzata, fra gli altri Stati, contro l’Italia, né l’autorità giudiziaria né i grandi maestri dell’inchiesta giornalistica abbiano mai sondato a fondo questo macroscopico fenomeno, che ha inquinato la trasparenza della vita politica italiana. Tutto al contrario, non appena è stato possibile, si è scatenata con grande fragore di trombe e tintinnare di manette la caccia al finanziamento illecito dei partiti e dei leader politici che avevano osato contrastare, ancora nel corso degli anni 1980, l’ascesa politica del PCI.
In secondo luogo, si tenga conto della disinformazione vera e propria circa la delineazione delle piste e circa l’individuazione dei mandanti dei tragici avvenimenti che hanno scosso profondamente, a partire dalla seconda metà degli anni 1960, la vita politica italiana. Fra le carte del dossier Mitrokhin appaiono le tracce dell’operazione Shpora, messa in atto dalla centrale sovietica di Roma dopo il sequestro e l’uccisione dello statista democristiano Aldo Moro (1916-1978), con lo scopo di far apparire il coinvolgimento della CIA, la Central Intelligence Agency, il servizio di spionaggio e di controspionaggio degli Stati Uniti d’America, nella serie di delitti e nell’opera di destabilizzazione politica compiuta dalla banda armata delle Brigate Rosse. Orbene, grazie ai propri agenti d’influenza operanti nei gangli vitali della politica e dell’informazione, la responsabilità per la strage degli uomini della scorta e per la morte dello statista fu dislocata propagandisticamente all’interno dello schieramento avversario, con una manovra a tal punto abile e spregiudicata, che la sua esecuzione fu condotta in prima persona — probabilmente in modo del tutto inconsapevole — dagli stessi colleghi di partito e dai familiari dello statista scomparso. Di conseguenza le BR, braccio armato appartenente al fronte vasto e articolato della Rivoluzione comunista, furono minimizzate e squalificate, siccome presentate nella veste di struttura di provocazione eterodiretta dal fronte atlantico. Da qui la ripulitura propagandistica del proprio ambiente, presentato come totalmente estraneo ad azioni terroristiche, e la demonizzazione del fronte avversario, che sarebbe stato talmente aduso all’arma del terrorismo da esser disponibile a uccidere uno dei principali rappresentanti del regime democratico in Italia!
Alla luce dell’accertata disinformazione compiuta dalla centrale spionistica sovietica, molti altri avvenimenti oscuri meriteranno di essere riesaminati, dalla cosiddetta strategia della tensione, che ha insanguinato l’Italia a partire dal 1969, alla reale influenza della loggia massonica P2 nella vita politica e finanziaria, all’effettiva funzione delle BR nell’opera di destabilizzazione del sistema di potere democratico in Italia. Non v’è dubbio che la ricostruzione di tutte queste vicende risenta oggi dell’influenza mistificatrice esercitata dall’infiltrazione e dalla disinformazione dei servizi del KGB e dei suoi collaboratori italiani. Gli studiosi dovranno in futuro ricostruire questi avvenimenti con maggior oggettività, delineando con chiarezza le responsabilità individuali e accertando, ove possibili, i reali mandanti e i destabilizzatori della vita politica e sociale nazionale.
Oggi è importante che, accantonate le curiosità infruttuose su chi fosse veramente una spia e chi invece un semplice contatto della tentacolare penetrazione informativa sovietica, e rimossa ogni aspettativa eccessiva riguardo a positivi esiti delle inchieste giudiziarie, che sono esposte al rischio di fallimento per la distanza nel tempo dei fatti e per la complessità — sconfinante con l’impossibilità — degli accertamenti, l’opinione pubblica riacquisti il senso e il gusto della verità in ordine all’azione d’inquinamento delle coscienze, esercitata dagli agenti della Rivoluzione comunista durante il periodo della guerra fredda e proseguita ancora oggi, seppure con altre forme e atteggiamenti.
È oggi indispensabile, in una rinnovata unità d’intenti, che trovi il suo fondamento nella volontà comune di risalire la china dall’abisso in cui il processo dell’umanesimo ateo ha precipitato la nostra civiltà, perseguire lo scopo di riappropriarsi della nostra memoria storica, confiscata in tanti anni di menzogne e d’inquinamenti dal processo rivoluzionario. Soltanto così sarà possibile, con vigore rinnovato, riacquisire la consapevolezza morale di un grande compito inscritto nel nostro presente e nel nostro futuro, consistente nel porre le basi per un ritorno della politica ai suoi fondamenti etici, nel rispetto dell’ordine naturale creato da Dio e conservato per la nostra salvezza dalla sua Provvidenza.
Mauro Ronco