Nota del 20 giugno 2020.
Sono in corso nuovi tentativi — contro i quali è intervenuta di recente anche la Conferenza Episcopale Italiana — di introdurre nella nostra legislazione una legge che punirebbe perfino la semplice e scientifica affermazione secondo cui chi ha il DNA maschile è maschio e chi ha quello femminile è femmina.
In proposito riproponiamo un articolo del prof. Mauro Ronco, Presidente del Centro Studi Livatino, scritto in risposta ad analoghi tentativi di sette anni fa.
Mauro Ronco, Cristianità n. 369 (2013)
Legge contro l’omofobia, violazione della libertà
1. La proposta di legge contro l’”omofobia”. Il 19 settembre 2013 la Camera dei Deputati ha approvato, con modifiche, il testo unificato delle proposte di legge nn. 245, 280 e 1071, recante “Disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia”, che sarà quindi sottoposto all’esame del Senato della Repubblica. Attesa l’importanza della cosa, è urgente manifestare con chiarezza le gravi perplessità che sconsigliano l’approvazione del disegno di legge.
Il nocciolo della proposta, che reca aggiunte alla legge n. 205 del 1993 — destinata a contrastare la violenza discriminatoria motivata da odio etnico, nazionale, razziale o religioso —, sta nella punizione, con la reclusione fino a un anno e sei mesi, oltre di chi incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, altresì di chi incita a commettere o commette atti di discriminazione motivati dall’identità sessuale della vittima. La portata della norma è difficilmente percepibile da chi non sia esperto di cose giuridiche. Per esemplificarne il senso va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi d’identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali. Invero, secondo l’ideologia appena accolta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, non ammettere una coppia gay al matrimonio costituirebbe discriminazione motivata dall’identità sessuale. Una campagna di opinione organizzata affinché i parlamentari si opponessero al “matrimonio” gay costituirebbe, pertanto, incitamento a commettere atti di discriminazione penalmente punibili.
Né deve trarre in inganno l’approvazione dell’emendamento 1.61, primo firmatario l’on. Walter Verini, che contiene la seguente, presunta “clausola di salvaguardia”: “Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente”. Non è facile capire che cosa “salvaguarda” questa clausola, dal momento che escludere dal concetto di discriminazione “le condotte conformi al diritto vigente” è una tautologia: “diritto vigente”, infatti, è anche quello che verrà fuori dall’approvazione di questa legge. Inoltre, il richiamo a “la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza” è estremamente generico, apre la strada a interpretazioni arbitrarie e non tutela la manifestazione di opinioni, perché non stabilisce una linea di confine fra di esse e gli atti violenti.
L’emendamento, per di più, introduce un’aggravante, estendendo alle condotte motivate da omofobia o transfobia l’articolo 3 della legge n. 205 del 1993: con l’approvazione della proposta di legge così emendata saranno possibili perquisizioni, sequestri e confische delle sedi nelle quali l’autore del reato aggravato si riunisce e la sospensione e lo scioglimento delle associazioni cui egli appartiene (1).
2. Il significato simbolico della legge. Coloro che propongono la legge sono consapevoli del suo significato epocale. Parlano, infatti, di norma a carattere simbolico. Lo ha detto il 6 giugno scorso l’on. Ivan Scalfarotto, del Partito Democratico, primo firmatario della proposta di legge n. 245 e correlatore sul provvedimento. Secondo lui, è questo “uno di quei casi in cui la norma penale ha un effetto simbolico e contribuisce a costruire la modernità di un paese e la cultura di una comunità” (2). Inoltre l’approvazione della legge serve come passaggio logico per introdurre nell’ordinamento i “matrimoni” gay. Lo ha detto chiaramente lo stesso Scalfarotto nell’intervista de L’Espresso lo scorso 26 agosto, secondo cui il dibattito relativo alla legge sull’omofobia “[…] precede quello sui matrimoni gay, o sulle unioni” (3). Perché fra queste due cose, normativa sull’omofobia e introduzione del “matrimonio” omosessuale, “[…] l’una viene logicamente prima dell’altra”.
Con le norme cosiddette simboliche si costruisce autoritariamente la morale attraverso la legge. Nel caso, lo scopo è rendere impossibile, attraverso la minaccia penale, ogni critica al modello relativistico di vita. Nella precedente legislatura, sentito come esperto in sede di Commissione Giustizia della Camera dei deputati, avevo espresso alcune gravi perplessità sull’analoga proposta di legge pendente in Parlamento nel 2009, quando la proposta fu accantonata perché la grande maggioranza dell’Assemblea la dichiarò incostituzionale (4). Rilevando il carattere ideologico della norma, avevo posto in luce che gli atti di discriminazione motivati dall’odio contro l’orientamento sessuale sono già puniti adeguatamente nella legislazione attuale, grazie all’aggravante dei motivi abietti. L’on. Scalfarotto sostiene ora che l’aggravante da me indicata sarebbe stata quella dei “futili motivi”, traendone spunto per definire “bizzarra” la mia obiezione alla pretesa esigenza d’introdurre una nuova norma punitiva. In realtà, l’aggravante del carattere abietto dei motivi è lo strumento giuridico più congruo per stigmatizzare l’odiosità del comportamento di chi offende altri per via dell’orientamento sessuale: i motivi abietti, invero, sono quelli turpi e ignobili, espressione di un sentimento spregevole, che rivela un grado tale di perversità da destare ripugnanza al senso di umanità.
3. La violazione della libertà di espressione del pensiero. Una norma così concepita costituisce una inammissibile violazione del principio della libera manifestazione del pensiero, tutelato dall’art. 21 della Costituzione. Si tratta di un diritto inviolabile e insopprimibile, essenziale per la stessa esistenza di un sistema democratico, non modificabile neppure con il procedimento di revisione costituzionale. Alessandro Pace, fra i più autorevoli costituzionalisti italiani, ha scritto, sulla scia di numerose sentenze della Corte Costituzionale, che “il riconoscimento del diritto di libera manifestazione del pensiero caratterizza la forma di Stato vigente in Italia […], costituendo esso la “pietra angolare” e il “cardine” del regime di democrazia garantito dalla Costituzione” (5). Né può addursi, a sostegno della limitazione di tale diritto una pretesa “moralità costituzionale”, ipoteticamente diretta a promuovere la pari dignità sociale delle persone, l’uguaglianza dei sessi o dei “generi”, il rifiuto della violenza.
Non si può infatti confondere il compito di promozione dei valori suddetti, che la Costituzione pone a carico delle istituzioni pubbliche, con un limite alla libertà di pensiero, che produrrebbe la funzionalizzazione autoritaria di un diritto fondamentale nella sfera più delicata dei convincimenti etici. Né si può risolvere il problema richiedendo la previsione di una causa di giustificazione speciale, quasi un’obiezione di coscienza, a favore di coloro che ritengono le pratiche omosessuali contrarie alla natura metafisica, psicologica e biologica dell’uomo. Il punto è ben più grave. La proposta di legge costituisce la via per l’omologazione autoritaria della morale, facendo del relativismo etico un parametro legislativo incontestabile. Non è in gioco, infatti, soltanto la libertà di esprimere giudizi critici sulle pratiche omosessuali, bensì, più radicalmente, la libertà di manifestare il proprio pensiero contro la dittatura del relativismo, che vorrebbe l’equiparazione indistinta di tutte le pratiche sessuali, oggi dell’omosessualità, domani delle pratiche sadistiche e masochistiche e, infine, forse, della bestialità e di altre pratiche oggi ancora ritenute inaccettabili.
4. Le critiche specifiche alla legge: l’aspetto simbolico. Come sopra detto la legge in questione ha una valenza essenzialmente simbolica. Questa categoria di norme è ben conosciuta agli studiosi di diritto penale, che l’hanno sempre, nella stragrande maggioranza, duramente contestata. Ciò per tre ragioni: a) la legge-simbolo è destinata a svolgere un compito pedagogico, indicando autoritativamente per tutti ciò che è bene e ciò che è male; b) questo tipo di leggi va contro l’assetto del diritto penale della libertà, perché con esse si minaccia la pena non per tutelare un bene della società, bensì per “educare” i cittadini a una determinata visione del mondo; c) con questo tipo di leggi si amplia smisuratamente la sfera del penalmente riprovevole, con un immenso conseguente allargamento dei poteri discrezionali dei pubblici ministeri. Del che oggi proprio non si sente il bisogno.
La valenza simbolica di questa legge consiste nel gettare il discredito e il sospetto su una verità antropologica fondamentale: verità, dalle innumerevoli implicazioni giuridiche, secondo cui le differenze biologiche e psicologiche dell’uomo e della donna costituiscono il presupposto indispensabile per il sussistere e il fiorire della famiglia, società naturale fatta per il bene dei coniugi e per la generazione e l’educazione dei figli. Questi princìpi, che ciascuno di noi porta inscritti nella sua biologia, nella sua psicologia e nella sua mente, sono solennemente inseriti nella Costituzione repubblicana che, al 1° comma dell’art. 29, recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
5. La legge e lo svilimento della famiglia. È ovvio sul piano logico e necessario sul piano pratico che qualunque uomo o donna di buona volontà e, tanto più, qualsiasi persona impegnata sul piano politico a promuovere il bene comune, protegga la famiglia contro le sue mistificazioni e difenda i suoi diritti, come società naturale, sul piano educativo, economico e giuridico. Ciò implica necessariamente che siano contestate, a ogni livello e con tutti i mezzi leciti, le contraffazioni pseudo-giuridiche della famiglia, che traggono origine dalla proposta di fare del matrimonio un istituto aperto anche a coloro che, per intrinseca impossibilità biologica, non possono accedere a quella società naturale che la Costituzione inequivocabilmente riconosce come precedente rispetto allo Stato. Ed è evidente che tale impossibilità naturale trae con sé delle discriminazioni giuridiche. Invero, se i genitori desiderano per i figli un’educazione che dia il giusto rilievo alla differenza sessuale, non possono inviarli in una scuola in cui la maestra sostiene che accedere al matrimonio è un diritto degli omosessuali e in cui ai bambini sono imposti i vestiti femminili e alle bambine quelli maschili, allo scopo di oscurare la voce della natura che assegna al maschio e alla femmina un’identità personale diversa. La stessa cosa vale sul piano economico. Differenziare il sostegno economico, favorendo le famiglie con figli, è un dovere irrinunciabile dello Stato.
6. La legge e il discredito verso la verità sulla famiglia. L’omofobia non si sa bene cosa sia. La semantica è ambigua e distorcente. Vorrebbe alla lettera significare: “paura dell’omosessuale”, con il corollario, non detto, che chi ha paura dell’omosessuale è pronto a mettere in opera contro di lui delle azioni violente. Quindi, attraverso un artificio semantico, colui che sostiene la contrarietà al diritto del matrimonio fra i gay sarebbe un potenziale violento. Ora, le madri e i padri di famiglia non hanno affatto paura delle persone omosessuali; sono, piuttosto, talora un poco dispiaciute che un certo numero di persone — spesso molto valorose nei vari settori d’impegno professionale e sociale — non abbiano conosciuto la bellezza dell’amore fecondo che è il cuore del matrimonio. Ma questa amarezza non integra alcuna paura dell’omosessuale, persona che egli ama con tutto il cuore, come sé stesso, come proprio prossimo. Questo amore, che è dovuto, non può costringere i padri e le madri di famiglia ad accreditare come “matrimonio” la loro convivenza, che matrimonio non può essere.
Dichiarare reato la “discriminazione” per ragioni di orientamento sessuale significa — simbolicamente — gettare un sospetto di antigiuridicità verso qualsiasi proclamazione pubblica e verso ogni comportamento pratico che tenga fermo il principio costituzionale — e di diritto naturale — che il matrimonio e la generazione dei figli postulano l’incontro unitivo fra il maschio e la femmina. Le implicazioni di questo principio costellano la vita quotidiana di ciascuno di noi. Si pensi a una domanda di adozione proposta da una coppia, unita in Francia in “matrimonio”, ma vivente in Italia. L’avvocato che rappresenta l’adottando si oppone con l’argomento che l’ambiente educativo in cui verrebbe a trovarsi il bambino sarebbe carente per la mancanza della polarità educativa maschile. Il suo atto sarebbe discriminatorio, eventualmente punibile ai sensi della legge sull’omofobia. Gli esempi si possono moltiplicare.
In realtà, prima ancora d’incidere in modo liberticida sulla libertà di manifestare il pensiero, questa legge simbolica intende cambiare autoritativamente la mentalità degli uomini e delle donne con lo strumento della legge penale e della privazione della libertà personale. Colui che ritiene valida la legge naturale, addirittura costituzionalizzata, è colpevolizzato ed è indotto ad “autocolpevolizzarsi” come “omofobo”, meritevole di essere assoggettato a una pena detentiva identica a quella meritata da coloro che propongono ingiuste discriminazioni razziali o religiose (6).
7. La risposta sul piano dei princìpi. Se la legge ha valenza simbolica, come proclamano i suoi sostenitori, la risposta deve essere anzitutto sul piano dei princìpi. Deve cioè mostrare, anche a livello di simboli, la bellezza della generatività umana, nell’incontro dell’uomo con la donna, e la differenza concettuale fra il vero matrimonio e una semplice convivenza per ragioni affettive, con le ovvie conseguenze in termini di diritti e di doveri. Ai diritti corrispondono i doveri. Non si possono riconoscere diritti se non vi è previamente l’assunzione di doveri.
Ma vi è di più.
Affinché la dimostrazione del vero riesca convincente occorre mettere in luce le storture e le assurdità discendenti dalla parificazione della convivenza omosessuale al matrimonio. Si prenda in considerazione la convivenza omosessuale maschile. Se la si riconoscesse come “matrimonio” occorrerebbe conseguentemente riconoscere alle coppie l’accesso alla procreazione artificiale. Ciò implicherebbe la legittimazione giuridica dell’affitto dell’utero di una donna. Ma la donna che affitta il suo utero si pone in una posizione di quasi schiavitù di fronte ai suoi danti causa. La donna sarebbe costretta ad abortire in base alle clausole del contratto? La dignità della procreazione verrebbe calpestata. Ma sostenere che non è ammessa la procreazione artificiale per una coppia di uomini “sposati” non costituirebbe forse una discriminazione punibile per la legge sull’omofobia? Le aberrazioni non si fermano qui. Supponiamo che la donna affittata partorisca una bambina che diventa a tutti gli effetti figlia dei due uomini. La bambina va all’asilo e si trova in difficoltà perché, mentre gli altri bambini hanno un papà e una mamma, lei ha due papà. Quando le maestre le spiegano che è del tutto normale che un bambino abbia un papà e una mamma questa piccola si sente discriminata. I due omosessuali denunciano la maestra per discriminazione di genere. Il pubblico ministero inizia il procedimento penale e le maestre sono portate in tribunale. Vediamo ancora. Per non discriminare la bambina i modelli educativi vengono cambiati. Si fa finta che in classe non vi siano più maschietti e femminucce, bensì bambini che sono allo stesso tempo, in momenti variabili, maschi e femmine. Per ottenere questo risultato i giochi tradizionalmente dei bambini vengono assegnati alle bambine e viceversa. Se qualche genitore si lamenta di ciò e chiede agli insegnanti che si dia rilievo alla differenza sessuale, il direttore della scuola è tenuto a denunciarlo perché il suo comportamento istiga alla discriminazione di genere. La legge sull’omofobia ha lo scopo simbolico di modificare le mentalità; a tale scopo deve censurare con la minaccia della prigione tutte le critiche che si debbono muovere contro il pervertimento dell’ordinamento giuridico e la costruzione di un diritto antiumano. Emerge a questo punto la gravità dell’attentato alla libertà di manifestazione del pensiero, che la Costituzione tutela solennemente all’art. 21. Si crea un reato di opinione volto a impedire che siano pubblicamente denunciate le mostruosità giuridiche conseguenti all’introduzione del cosiddetto “matrimonio” degli omosessuali. Se così stanno le cose, è comprensibile come soltanto l’opposizione radicale alla legge integra un atto consapevole di promozione del bene comune.
8. Gli emendamenti alla legge. Poiché durante la discussione in Parlamento, sia in Commissione che in Aula, alcuni deputati, preoccupati delle implicazioni fortemente liberticide della disciplina, hanno presentato degli emendamenti, che intendono modificare, in questo o quel punto, l’assetto normativo originariamente proposto, è opportuno dissipare equivoci, sia per evitare di cedere inavvertitamente sui princìpi, lasciando spazio a una legge liberticida, sia per evitare che gli emendamenti limitino ancora di più la libertà dei cittadini.
Ogni parlamentare consapevole della posta in gioco ha il dovere di presentarne per rendere più difficile l’approvazione della legge e anche, naturalmente, per ridurne la valenza negativa. Il Magistero della Chiesa insegna che è moralmente doveroso limitare i danni di una legge ingiusta, anche se con ciò si contribuisce indirettamente ad approvarla. In realtà, operando in questo modo, il parlamentare persegue l’intento di limitare il male e non di approvare la legge. Dunque, dato per ammesso che è giusto presentare emendamenti, occorre agire con prudenza, evitando accuratamente che le interpolazioni al testo non peggiorino le cose. L’avvertimento è importante perché capita spesso che il parlamentare non si renda conto delle trappole che le sue parole aggiuntive al testo originario costruiscono a favore di un’interpretazione malevola.
Il problema riguarda soprattutto la valutazione di quei comportamenti che si esauriscono in una semplice manifestazione del pensiero. Prevedere emendamenti che scriminino espressamente la “mera espressione” o opinioni che riguardino la religione o l’identità sessuale significa compiere un gravissimo errore, perché la legge così eventualmente emendata non garantirebbe, ma restringerebbe la libertà di manifestazione del pensiero. Le norme vanno infatti interpretate conformemente alla Costituzione. La mera espressione di opinioni circa la religione o l’identità sessuale trova una garanzia sufficiente nell’art. 21. Prevedere espressamente con un emendamento la loro non punibilità implica ex adverso dare per scontata la punibilità dei comportamenti che, sulla base dell’espressione di un pensiero, propongono differenziazione di trattamento giuridico rispettivamente per il matrimonio e per la convivenza omosessuale.
Attraverso simili modifiche, in altri termini, si rafforzerebbe la tesi della punibilità della grandissima parte dei comportamenti etichettati come “omofobia”. Peggio ancora, per le stesse ragioni, sono da ritenersi molto discutibili gli emendamenti alla cui stregua le disposizioni penali non si applicherebbero quando le “idee sulle persone oggetto di tutela […] siano diffuse limitatamente all’ambito educativo, didattico, accademico, scientifico, letterario, teologico, catechistico, purché non incitino alla discriminazione, all’odio o alla violenza”. In questo modo si verrebbe a costruire una sorta di riserva delle esternazioni di idee conformi al diritto naturale, purché esse non chiedano di trovare attuazione pratica. La separazione fra ragion teorica e ragion pratica costituirebbe segno di vera schizofrenia. Un emendamento valido avrebbe potuto essere l’1.40, presentato dai deputati Alessandro Pagano, Eugenia Roccella, Benedetto Fucci, Dorina Bianchi, Raffaele Calabrò e Ignazio Abrignani, che prevedeva l’inserimento del seguente comma: “Non costituiscono in alcun caso atti di discriminazione o di incitamento alla discriminazione la manifestazione di opinione, l’attività educativa, di formazione e di istruzione in tema di diritto di famiglia, anche quanto alla organizzazione interna delle istituzioni religiose e degli istituti scolastici e universitari”.
Come si può constatare dall’esame degli emendamenti, nessuno di essi, anche se riproposto in Senato, potrebbe incidere veramente sugli effetti negativi della legge, tanto meno sul loro rilievo “simbolico”. Un’opposizione ferma e completa deve mirare a convincere la gran parte degli uomini e delle donne di buon senso presenti in Parlamento che è bene abbandonare le ideologie che intendono far tabula rasa delle istituzioni che per secoli hanno alimentato la civiltà e favorito il progresso economico e sociale. Soltanto in stato di necessità sarà moralmente ammissibile intervenire positivamente sulla legge per attenuarne gli effetti negativi.
9. La legge e l’Europa. Poiché a sostegno della proposta di legge, è stata più volte invocata l’”Europa”, occorre dire che non in tutti i Paesi europei esistono norme del tipo di quelle di cui si propone l’introduzione. Nella Repubblica Federale tedesca il § 130 del codice penale punisce i comportamenti, idonei a pregiudicare la pace sociale, di coloro che istigano all’odio e alla violenza contro parti della popolazione ovvero che aggrediscono la dignità dell’uomo, calunniandolo o disprezzandolo, nonché i comportamenti di coloro che pubblicano scritti aventi le medesime caratteristiche. Nulla, nel modo più assoluto, vi è, nel codice germanico, di simile a ciò che si vorrebbe introdurre nel codice italiano.
La proposta di legge sull’omofobia, pertanto, non merita di entrare nel nostro ordinamento. Opporvisi non è una battaglia di retroguardia, tesa a garantire chissà quale privilegio o quale ingiustificata impunità. Ogni violenza, come ogni istigazione alla violenza, anche quella per motivi di orientamento sessuale, è già punita dal codice, con pene più gravi di quella comune, perché abietta e spregevole. L’opposizione alla legge va intesa come tutela della libertà di espressione del pensiero, fondamento di tutte le libertà civili nel quadro costituzionale vigente.
Mauro Ronco
Note:
(1) Cfr. Alfredo Mantovano, Omofobia, attenti all’inciucio “cattolico”, in La Nuova Bussola Quotidiana, quotidiano online, alla pagina <http://www.lanuovabq.it/it/articoli-omofobia-attenti-allinciucio-cattolico-7302.htm>, del 17-9-2013, visitata il 19-9-2013.
(2) Ivan Scalfarotto, Esame e rinvio delle disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia C. 245, in Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari, n. 34, II Commissione Permanente (Giustizia), seduta del 6-6-2013, p. 19.
(3) “Caro Cerno, io non faccio spot”, intervista a cura di Luca Sappino, del 26-8-2013, <http://espresso.repubblica.it/dettaglio/caro-cerno-io-non-faccio-spot/2213708>.
(4) Cfr. le mie Considerazioni su alcune proposte di legge sull’”omofobia”, in Cristianità, n. 351, anno XXXVII, gennaio-marzo 2009, pp. 41-46.
(5) Alessandro Pace e Michela Manetti, Rapporti civili. Art. 21. La libertà di manifestazione del proprio pensiero, vol. 3 del Commentario della Costituzione, fondato da Giuseppe Branca (1907-1987) e continuato da Alessandro Pizzorusso, Zanichelli-Società editrice del Foro Italiano, Bologna-Roma 2006, p. 37.
(6) Cfr. il mio La tutela penale della persona e le ricadute giuridiche dell’ideologia del genere, in Cristianità, n. 359, anno XXXIX, gennaio-marzo 2011, pp. 23-44.