Marco Tangheroni, Cristianità n. 34-35 (1978)
Dall’Umanesimo al Rinascimento, dal protestantesimo all’illuminismo e oltre, fino ai nostri giorni, la storia dello sforzo rivoluzionario teso a fare perdere ai cattolici la consapevolezza di avere un passato “sociale” particolarmente glorioso. Fare dimenticare il Medioevo o falsificarlo è un artificio per trasformare la civiltà cristiana da realtà storica – vissuta e quindi di nuovo vivibile – in mito, e per convincere surrettiziamente che l’impegno per restaurare una Cristianità è pura utopia.
“È abolito l’insegnamento della storia”. Questo esplicito e brutale provvedimento preso dalla repubblica comunista ungherese di Béla Kun nel 1919, durante la sua breve e sanguinaria esistenza, chiarisce bene l’assoluta necessità, per il processo rivoluzionario, di recidere i legami della società e degli individui con il passato. Lo sforzo ugualitario, che nasce dall’orgoglio – fonte primaria, con la sensualità, di tutta la Rivoluzione (1) -, persegue, animato da un odio metafisico per ogni disuguaglianza e da un cosciente rifiuto di Dio creatore e, conseguentemente, della condizione di creatura propria dell’uomo, la terribile utopia di cambiare la natura umana.
Occorre, per realizzare ciò, cancellare ogni forma di “memoria” sociale e individuale. E mentre già i teorici marxisti – e anche quelli più genericamente progressisti – sognano di cambiare perfino la memoria biologica dell’uomo, attraverso manipolazioni del patrimonio genetico (2), si lavora intanto, mediante la manipolazione del patrimonio culturale, alla cancellazione della memoria storica.
Qualcuno potrebbe osservare che mi sono servito di un esempio tratto da una punta estrema e isolata del processo rivoluzionario, mentre, in realtà, il marxismo-leninismo, soprattutto nella sua versione italiana ispirata a Gramsci, si presenta, anzi, proprio come storicismo. Rispondo che, a parte l’indubbia e legittima utilità di vedere gli sbocchi estremi di certe tesi e posizioni per meglio comprenderle, è proprio connaturale allo storicismo marxista, e anzi a ogni storicismo, lo stravolgimento mutilante del passato.
Riservandomi di svolgere dettagliatamente il discorso, basterà ora osservare che non è necessario, per distruggere la vera memoria storica e degli individui e dei corpi sociali, fare sempre e totale tabula rasa del passato. Sono sufficienti, infatti, due tipi di operazioni: a) agire selettivamente sul passato: b) agire su questo stesso passato in modo falsificante.
Per ogni storicismo l’unica positività della storia è data dalle realtà che sopravvivono nelle epoche successive; tutto il resto è negatività. Quando si afferma che nel passato ciò che interessa è quanto fa ancora in qualche modo parte del presente, si additano allo storico due compiti: in primo luogo indicare nei secoli passati i primi germi embrionali delle radiose conquiste di oggi e di domani; in secondo luogo indicare le resistenze, le inerzie, i tabù e le superstizioni che ancora vincolano il presente e da cui occorre liberarsi per realizzare il paradiso in terra. Questo, appunto, chiamo criterio di selettività.
Quanto alla falsificazione, essa è qualcosa di diverso e di più raffinato di semplici alterazioni della verità storica (che in una certa misura, forse, i vincitori hanno sempre fatto). Essa, infatti, è oggi legittimata e teorizzata, fondata com’è sul concetto – storicistico – di senso della storia.
L’affermazione secondo cui “la verità è sempre rivoluzionaria” va dunque intesa nel suo senso profondo: soltanto ciò che è rivoluzionario, ossia nella linea del senso della storia, può essere considerato vero. Ciò è, del resto, una esplicitazione dell’hegeliano “tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale” (3) .
Si comprenderà, allora, che le manipolazioni del passato, da quelle più sfacciate a quelle più sottili, da quelle organizzate dall’alto (secondo il modello orwelliano del ministero della verità) a quelle più sottilmente indotte e accettate dalla pavidità e dal conformismo degli intellettuali anche non-marxisti, hanno un loro fondamento nelle varie gamme di un modo, al fondo unitario, di concepire il mondo, l’uomo, la storia. Se, per esempio, a ogni edizione l’Enciclopedia Sovietica cambia o sopprime le vecchie voci e ne presenta di nuove (4), ciò non è opera arbitraria di una cricca che ha “tradito la rivoluzione”, giacché per i marxisti-leninisti il passato non è qualcosa di dato, di avvenuto in modo stabile e irrevocabile (tanto che nemmeno Dio può fare sì che ciò che è accaduto cambi o non sia accaduto), ma è qualcosa di mutevole e di mutabile in rapporto al dinamismo storico e alle esigenze, a esso legate, della Rivoluzione. Gli uomini vogliono essere creatori del proprio passato, oltre che di se stessi; e per essi, ovviamente, decide l’avanguardia della Storia e della Rivoluzione, la direzione del partito comunista.
“Cancelliamo il Medioevo”
Il lettore vedrà, nei cenni di storia del concetto di Medioevo che seguiranno, quanto abbiano agito i metodi sopraindicati. Qui voglio sottolineare altre due forme di cancellazione della memoria storica: il voluto silenzio e la deformazione linguistica.
Per quanto riguarda il primo aspetto si può partire della osservazione – apparentemente contraddittoria – che la storiografia ha realizzato negli ultimi decenni, grazie soprattutto a storici tedeschi e francesi, progressi effettivi nella conoscenza di quei secoli che vengono compresi abitualmente nel concetto di Medioevo. Progressi, si badi bene, non solo dovuti a perfezionamenti tecnici o a nuovi ritrovamenti eruditi, ma caratterizzati talora da una più adeguata comprensione delle forme di vita e delle mentalità, anche se sovente ricoperti da una patina di concessioni ai luoghi comuni. E vero pure che rari sono gli storici italiani che hanno recepito, nella sostanza, queste nuove acquisizioni; così come non è raro, invece, che in Italia gli editori preferiscano tradurre insulse, e a volte risibili, opere di storici sovietici. Ma il fatto, comunque, resta.
Accanto a questa considerazione, però, ne va purtroppo subito fatta un’altra: pochissimo di questa storiografia (confinata appunto in testi di non facile accesso e, a volte, dal soverchio e sospetto “esoterismo” accademico) si diffonde nell’opinione pubblica, anche in quella cosiddetta colta. Sarebbe interessante una ricerca sui “Medioevo” di certe riviste di divulgazione pseudo-storica e sulla presentazione che del Medioevo è data dagli spettacoli cinematografici e dai mezzi di comunicazione di massa in genere. I luoghi comuni vengono ripresentati con indifferente, anzi più insistente ostinazione.
Ma ancora più grave è quanto sta accadendo nella scuola, in cui, se già i programmi della idealistica riforma Gentile facevano poco e poco favorevole posto a quei secoli, lo studio del Medioevo ha, nella prassi quasi generale, poco, pochissimo spazio e tempo. Quando non lo si salti a piè pari, ciò che accade sempre più spesso, ci si limita a ripetere qualche luogo comune in attesa di diffondersi sul come l’arte rinascimentale venga a riscattare la barbarie precedente; la filosofia rinascimentale cancelli l’arida e oscura scolastica; la politica si sganci (finalmente!), con Machiavelli, dalla morale; e alle realtà universali (Papato e impero) subentrino le nuove realtà delle monarchie nazionali avviate a un parzialmente accettabile assolutismo illuminato. Del resto, di grazia, cosa mai potrebbero dire sul Medioevo insegnanti di lettere che ormai, nei loro blandi studi universitari, molto di rado affrontano un esame di tema medioevale e che di quel periodo ignorano del tutto la lingua?
Osservazioni spicciole? Certo, ma è anche con operazioni di questo tipo che si realizza la congiura del silenzio. E questa congiura del silenzio è condizione necessaria per il. mantenimento di un terrorismo linguistico evidente, nelle sue conseguenze, anche nel parlare quotidiano. Tutto ciò che è brutto, crudele, da condannare, viene correntemente definito con l’aggettivo “medioevale”. Chi conosce l’importanza della battaglia del linguaggio e l’importanza dei successi conseguiti in essa dalla Rivoluzione (5), intende l’intento esorcistico di questo uso linguistico, al quale occorre pertanto reagire con impegno e decisione.
Di più: una operazione dai risultati analoghi si svolse addirittura fin da quando fu coniato il termine stesso di Medioevo. Età Media, si disse, tra due epoche considerate molto positivamente: la classicità e il Rinascimento; puro scorrere di secoli, quindi, privi di una propria caratterizzazione positiva, pausa nel luminoso cammino del progresso storico, ricaduta nella barbarie e nella inciviltà. Così, mentre termini come Rinascimento o illuminismo, si pongono come già semanticamente caratterizzati (nuova vita, luce sul mondo), la coniazione stessa del termine Medioevo, puramente cronologico, sembra contribuire alla operazione di silenzio e di deformazione.
Alla luce delle considerazioni accennate, risulta così comprensibile la scritta, in inchiostro rosso, apparsa alla Sorbona nel 1968: “cancelliamo il Medioevo”. Certo, probabilmente essa significava, per gli estensori, innanzitutto: cancelliamo quei residui di Medioevo che sono ancora presenti oggi (cioè quei residui di civiltà cristiana la cui difesa deve costituire uno dei più urgenti compiti del contro-rivoluzionario). Ma per raggiungere l’obiettivo (quale che fosse la consapevolezza degli estensori) occorre proprio cancellare la memoria del Medioevo.
Medioevo o civiltà cristiana?
Ma perché quest’odio per il Medioevo? Proprio la sostituzione linguista di un termine apparentemente neutro a quello che si dovrebbe usare, ci fornisce la chiave della risposta. In realtà, ben più che di Medioevo, bisognerebbe parlare di civiltà cristiana o di Cristianità (a seconda che si voglia sottolineare maggiormente l’aspetto socio-culturale o quello politico-istituzionale).
Ora, secondo la lucida analisi della Rivoluzione fatta dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira, la Rivoluzione per eccellenza è la distruzione dell’ordine per eccellenza. La Cristianità medioevale fu l’ordine alla cui distruzione ha lavorato per secoli la Rivoluzione; e ancora essa lavora per abbatterne quanto, tra le rovine, resta in piedi (magari anche solo come latente possibilità di salvezza sociale). Ciò, si badi, non per un caso, come sarebbe se la Rivoluzione avesse fortuitamente incontrato sul suo cammino un ordine cristiano; non con uguale odio, infatti, avrebbe perseguitato un qualsiasi altro ordine.
Cito ancora Plinio Corrêa de Oliveira: “La Cristianità non è stata un ordine qualsiasi, possibile come sarebbero possibili molti altri ordini. È stata la realizzazione, nelle condizioni inerenti ai tempi e ai luoghi, dell’unico vero ordine tra gli uomini, ossia della civiltà cristiana” (6) .
Questo significa che non si può avere, nei confronti della Cristianità, né un atteggiamento di indifferenza e neppure una vaga e superficiale simpatia (propria di certo pseudo-tradizionalismo acattolico o anti-cattolico). Il modo di porsi rispetto a essa è qualificante e determinante.
Aggiungo anche, in attesa di ritornare sull’argomento, che ciò non significa che non possano esserci, in mutate condizioni, nuove civiltà cristiane; ché, anzi, proprio da tale prospettiva è animata, come da causa finale, la vera azione contro-rivoluzionaria.
Ciò è sempre stato presente al pensiero contro-rivoluzionario; di più: ciò è sempre stato insegnato dal Magistero pontificio (7). Basti questo a sottolineare l’importanza di una comprensione non superficiale della civiltà cristiana, dei suoi princìpi e dei suoi modelli e – per diametrum – l’utilità di uno sguardo preliminare sulla genesi e sulla storia del concetto di Medioevo.
Medioevo e Rinascimento
Alcuni storici e studiosi di metodologia negano addirittura la liceità di ogni periodizzazione storica: ogni partizione del fluire costante del tempo sarebbe così un errore sviante, al più giustificato da necessità didattiche. È chiaro che in questa prospettiva non ha senso parlare di Medioevo e Rinascimento, e la storia del concetto di Medioevo diviene la storia di un vaneggiamento.
Ma mi pare opportuno aggiungere che neppure il nostro discorso conserverebbe un senso se si dovesse, idealisticamente, considerare la periodizzazione una operazione tipica del ripensamento del passato da parte del soggetto, una griglia (destinata a cambiare da individuo a individuo e da tempo a tempo e quindi, in definitiva, arbitraria) da applicare a un passato informe o dalle forme non conoscibili.
In realtà il Medioevo fu un periodo unitario (e solo perciò unitariamente ripensabile) nella sua essenza: il suo essere cristiano. Essenza: non puro dato esterno, non semplice denominatore comune.
Il Rinascimento rappresentò, rispetto a esso, una sostanziale rottura, come hanno continuato a riconoscere storici filorinascimentali o marxisti, evidentemente con segno valutativo opposto (8).
Argomento, quello della decadenza del Medioevo (per corrosione e corruzione interna, non per assalto di barbari o di turchi) e delle origini del mondo moderno, che qui è solo accennato, per fare notare che quanti hanno creduto di indicare “rinascite” medioevali – per quanto giustamente avversanti i luoghi comuni della ignoranza e della barbarie di quei secoli e animati, talora, da buone intenzioni – hanno di fatto contribuito ad annullare ogni specificità dell’epoca.
Detto questo apparirà ben comprensibile il fatto che la genesi prima del concetto di Medioevo si ritrovi proprio nel Rinascimento, che si pose, coscientemente, in antitesi con i secoli precedenti. Anche se molti storici ritengono che le espressioni ricorrenti negli autori dell’epoca – come, sin dal 1469, in Cusano, media tempestas e media antiquitas (9) – non indichino ancora una precisa temporizzazione, pure esse sono sintomi della consapevolezza di un cambiamento e di un distacco, oltre ad avere avuto una influenza sulla successiva canonizzazione linguistica e temporale del termine e del concetto.
Così, ancora, vanno respinte interpretazioni troppo riduttive di questa consapevolezza e di questa volontà di rottura con il passato. È vero che esse si manifestano maggiormente in scrittori di cose d’arte o in artisti; ma anche in quelle affermazioni troviamo un respiro più vasto che non un puro limitarsi tecnico al campo dell’arte, essa stessa avviata sulla china di una sempre più pericolosa cerebralizzazione. E come negare, del resto, lucidissima consapevolezza a Machiavelli? E come non vedere i profondi legami che lo vincolano al suo tempo? (10).
Medioevo e pseudo-Riforma Protestante
Tuttavia, è indubbio che proprio dai teologi e dagli storici protestanti venne un decisivo incremento alla “leggenda nera” del Medioevo. Più, comunque, che le fondate polemiche e le patenti menzogne – contro le quali fu assai ammirevole ed efficace la reazione della storiografia cattolica della Contro-Riforma, in particolare del cardinale Baronio -, è bene ricordare l’odio anticattolico, proprio dal quale tali scrittori erano animati e da cui nasceva il loro giudizio negativo sul Medioevo, epoca del trionfo della Chiesa e del Papato romano, spesso identificato con l’Anticristo!
Accanto ad alcune pagine di Lutero, si possono ricordare scritti specificatamente storici di Melantone e di Sleidan. Ma particolarmente significativa ci appare soprattutto l’opera di Kaspar Peucer, continuatore del Chronicon Carionis (11), con la sua concezione dei tre “fatales periodi”: fino al 500 la vittoria della verità sull’errore, dal 500 al 1000 la lotta tra l’uno e l’altra, dal 1000 al 1500 il trionfo dell’errore, cioè della teocrazia papale. Pur rimanendo attaccato all’impero come istituzione tedesca, egli non può più intenderne il significato universale, desacralizzandolo e contrapponendolo al Papato.
Così, nel giudizio di Peucer, gli imperatori “cattivi” erano quelli che avevano operato in armonia con la Chiesa (i Carolingi, per esempio) ed i “buoni” quelli che avevano invece voluto combatterla (per esempio, Federico II). Ma è interessante rilevare che ai suoi stessi occhi l’epoca che la Riforma ha aperto non poteva essere un’epoca di pace, bensì di gravi e insanabili conflitti. Nessun insulto è risparmiato ai pontefici (chiamati “flagellum Dei”), alle istituzioni (il giubileo definito “ludi saeculares”), agli ordini religiosi (in particolare francescani e domenicani) e ai frutti culturali (il diritto canonico e la scolastica).
Infine, questa storiografia protestante sfocerà in una varia produzione manualistica, apparentemente più asettica, ma pur sempre carica degli aspetti indicati come propri dei precedenti autori protestanti. Tra queste opere celebre è rimasta la Historia medii aevi a temporibus Constantini Magni ad Costantinopolim a Turcis captam di Cristoforo Keller (12), comparsa nel 1688, per la definitiva introduzione del termine Medioevo e la fissazione dei limiti cronologici più comunemente accettati.
Certamente – e si possono qui recuperare le suggestioni dell’opera di Falco – la storiografia protestante finì con l’avere non diciamo dei meriti, ma dei risultati positivi. In primo luogo stimolò, come si è detto, una storiografia contro-riformistica di notevole levatura. In secondo luogo contribuì a porre l’accento sul carattere specifico del Medioevo: il suo essere cattolico. Così va, grazie a Dio, il mondo: come dalle eresie e dagli errori si arricchì sempre più nei secoli il venerabile patrimonio dogmatico e magisteriale della Chiesa cattolica, così, in campo storico, dalle faziose, astiose, deformanti opere degli scrittori protestanti sortirono pure conseguenze veritiere e positive. Ma, ovviamente, ben altre furono le eredità accolte dalla storiografia illuminista.
Medioevo e Illuminismo
Essendo lo scopo di queste nostre considerazioni l’esame della formazione del “modello” di Medioevo proprio del pensiero rivoluzionario (ancorché – come appena visto – ciò comporti inevitabilmente anche l’indicazione del rovescio della medaglia), sarebbe fuori luogo soffermarci sulla cosiddetta storiografia erudita della fine del Seicento e della prima metà del Settecento. Tuttavia sarà bene ricordare che essa – con i suoi grandi meriti e con le sue opere tuttora, spesso, praticamente indispensabili – appartiene quasi completamente alla grande tradizione storiografica ecclesiastica (13). Si pensi ai padri maurini, e in particolare a Mabillon, fondatore della diplomatica, disciplina ausiliare della storia, necessaria per l’individuazione dell’autenticità dei documenti; ai bollandisti, società di gesuiti specializzati nell’agiografia; anche, per l’Italia, al Muratori, il quale, con tutte le sue esigenze – non aliene da influssi giansenistici – di una religiosità più intima e razionale, si riallaccia direttamente alla tradizione maurina per quel che riguarda il metodo storico.
Di queste nuove acquisizioni non sempre seppe o volle giovarsi la storiografia illuministica, la quale fu animata da ben altri intenti, e, non provando per il Medioevo altro che profonda avversione, non poté neppure tentare di comprendere dall’interno, per così dire, quel periodo.
È evidente, invece, in essa l’eredità delle polemiche rinascimentali e protestanti, a riprova del legame di filiazione di questa nuova tappa del processo rivoluzionario dalle due fondamentali tappe precedenti: il Rinascimento, appunto, e la Pseudo-Riforma.
Ben noto, ed esemplare, in questo senso, è l’Essai sur les moeurs et l’ésprit des nations di Voltaire (14), con il relativo supplemento. Che cosa è stato per lui il Medioevo? Nove secoli di trionfo dell’opinione; un periodo in cui hanno trionfato le superstizioni, insieme lugubri e ridicole, imposte dalla Chiesa, colpevole d’avere allontanato l’Europa dai princìpi della ragione; una stasi nel progresso umano, anzi un ritorno alla barbarie; un succedersi di convulsioni e guerre senza senso, come le crociate.
Certo, com’è stato messo in rilievo da altri (15), Voltaire è più benevolo con determinate forze o personaggi. Ma sono pur sempre le forze o i personaggi (la borghesia in via di laicizzazione o il solito Federico II) che gli sembrano avere collaborato alla distruzione di quella odiata civiltà. Tutto ciò che è cristiano gli appare insopportabile: della stessa Riforma protestante misconosce la portata dissolutrice perché era rimasta, pur sempre, in qualche modo, in ambito cristiano.
L’esemplificazione degli errori e delle incomprensioni sarebbe agevole e ben lunga. Ma è del resto evidente, da quanto si è detto, che l’odio per ogni tradizione, specie se religiosa, e l’orgogliosa esaltazione razionalistica di una raison illuministica, astratta e superba, ben diversa dalla retta ragione cara al pensiero cristiano, non potevano fargli comprendere che ben poco dei secoli cristiani. Lo stesso Falco, pur così teso a cogliere in ogni autore studiato le tappe di un presunto costante progresso conoscitivo, così conclude il suo dettagliato esame: Voltaire “è assolutamente negato a capire il Medioevo nelle sue forze organiche:ordinatio ad unum, papato e impero, repubblica cristiana. In base alla ragione, ai diritti della natura, egli condanna, senza riviverli dall’interno, Chiesa, fede, miracoli, eresie, crociate, feudalesimo, in una parola tutto il Medioevo” (16).
Ancora più evidente lo schema appare nell’Esquisse d’un tableau des progrès de l’ésprit humain di Condorcet (17), composto, poco prima del suo suicidio, nel 1794. La storia umana altro non sarebbe che la lotta degli uomini per progredire ed elevarsi contro le resistenze della Tirannia (oppressione religiosa e dispotismo militare). Alla fede in un progresso indefinitamente perseguibile nel corso storico, tutta racchiusa in un orizzonte puramente terreno, si contrappone, con deprecato successo, il cristianesimo, proteso verso l’ultraterreno, nemico delle scienze, propagatore dell’impostura dei miracoli, alimentatore di una puerile credulità.
Anche in questo caso la chiarezza dei presupposti rende superflua una esemplificazione che porrebbe esclusivamente l’imbarazzo della scelta. Ma anche in questo caso giova ricordare come l’accento più spesso risuonante sia quello anticattolico; egli infatti mostra verso Lutero un atteggiamento ben più favorevole che non quello di Voltaire. La Chiesa di Roma “subdola, audace, impassibile, arbitra della cultura, sorretta dall’ignoranza e dalla superstizione, sfrutta l’una e l’altra a vantaggio del suo orgoglio e della sua vanità” (18). Erano, gli anni in cui scriveva Condorcet, quelli in cui la Rivoluzione francese perseguitava apertamente quella parte del clero rimasta fedele al Papa e alla tradizione, e introduceva in Nôtre-Dame il sacrilego culto della dea Ragione.
Ma la stessa componente anticattolica è possibile ritrovare anche nell’opera del più celebrato degli storici illuministi, Edward Gibbon (19). Certo, egli ebbe un senso storico che mancava pienamente agli illuministi francesi e una informazione più seria e più vasta; inoltre egli si rese conto che nel crogiolo dell’Alto Medioevo era nato un mondo nuovo, per cui, a volte, pare porsi qualche problema.
Ma a impedire una comprensione più profonda e anche a infirmare risultati parziali – a portata di penna per il suo ingegno e la sua erudizione – sta, appunto, la pregiudiziale anticattolica, che lo porta a vedere nella religiosità e mentalità medioevali null’altro che superstizione, e nel papato la fabbrica di questa superstizione. Si leggano, per esempio, le pagine sul monachesimo: banali luoghi comuni e accuse che sarebbero parse, credo, eccessive perfino a Celso!
Se, dunque, anche l’intelletto naturaliter historicus di Gibbon poteva essere a tale punto oscurato dai miti dell’orgoglio del secolo, è facile immaginare il livello dei pamphlets, dei romanzi, degli articoli dellEnciclopédie: di tutto ciò che faceva opinione e preparava, nei salotti e nelle tipografie, sulle scene e nelle logge massoniche, la grande esplosione rivoluzionaria dell’89.
In particolare, possiamo vedere quasi l’incarnazione di questo lavorio nella celebre notte del 4 agosto 1789, allorché l’Assemblea Nazionale decretò, praticamente, di sopprimere il passato (20). Lo scopo era analogo a quello della scritta sessantottesca sopra ricordata: “cancellare il Medioevo”.
Conclusione
Arrestiamo qui il nostro cammino. Alla fine del ‘700 l’operazione rivoluzionaria intorno al Medioevo può dirsi compiuta. In effetti essa ha raggiunto i suoi tre obiettivi: dare della Cristianità una immagine falsa e negativa; diffondere questa immagine fino a farne un quadro intoccabile e accettato; calare nell’azione politica le idee e i sentimenti antimedioevali. Naturalmente, i ritocchi al quadro furono poi numerosi – e interessante, non v’è dubbio, ne sarebbe l’analisi -, ma l’essenziale c’è già.
D’altronde, continuare a seguire il filo della storia della storiografia medioevale richiederebbe un discorso ben più vario e articolato: non solo per la ricchezza quantitativa dell’argomento, ma soprattutto per le sfumature e le articolazioni cui il discorso non potrebbe rinunciare, pena una pericolosa ambiguità. Occorrerebbe dire, cioè, degli spunti di rivalutazione propri del Romanticismo, ma anche del piano sentimentale ed estetizzante al di sopra del quale quasi mai essi seppero collocarsi; dei risultati conseguiti dalla erudizione positivistica, ma anche dei suoi ristretti orizzonti; della netta chiusura idealistica; delle diverse correnti, parzialmente vitali, della storiografia odierna, del bene che vi si può trovare e della difficoltà di trovarvelo in mezzo a luoghi comuni e a pregiudizi.
Oppure, diversamente, si potrebbe mostrare come larga parte del mondo cattolico di oggi, così imbevuto di “modernità”, abbia accolto, anche a proposito di Medioevo, miti e pregiudizi protestanti e illuministici. Ma, purtroppo, tale operazione può essere facilmente compiuta dal lettore: tra libri di storia e libri di teologia, discorsi di vescovi e omelie domenicali, riviste e giornali sedicenti cattolici, egli avrà soltanto l’imbarazzo della scelta.
Senza dimenticare che la Rivoluzione è un processo, con le sue tappe, le sue metamorfosi, le sue variazioni di velocità, occorre anche ricordare che essa ha radici sempre identiche. Cosicché il ripetersi di certi temi non può stupire.
Marco Tangheroni
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(1) Per queste categorie interpretative è fondamentale lo studio di Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
(2) Per il sogno marxista di modificare perfino le basi biologiche della natura umana cfr., a titolo di esempio, questo brano, tratto da un autorevole marxista francese, Henry Lefebvre: “La diseguaglianza biologica degli individui è un fatto incontestabile […]. In una società umana questi problemi saranno posti ed esaminati per trovarne una pratica soluzione. L’uguaglianza sociale concreta non abolirà le diseguaglianze naturali, ma […] in seguito, bisognerà impegnare la lotta contro l’elemento biologico per dirigerlo, per scoprire e superare le necessità originate da eredità e fatalità geografiche, razziali, ecc.” (H. Lefebvre, Il materialismo dialettico, trad. it., Einaudi, Torino 1975, p. 121).
(3) Il principio è, notoriamente, fondamentale nella filosofia hegeliana: nella formulazione data esso si trova nella prefazione alla Filosofia del Diritto.
(4) Vari esempi del fatto, del resto assai noto, in R. Conquest, Il grande terrore, trad. it., Mondadori, Milano 1970.
(5) Su questo aspetto della tattica rivoluzionaria si veda P. Corrêa de Oliveira, Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo, trad. it., Edizione de l’Alfiere, Napoli 1970.
(6) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 94.
(7) Basti qui citare il bel passo dell’enciclica Immortale Dei di Leone XIII: “Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato; quando la Religione di Gesù Cristo posta solidamente in quell’onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all’ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l’Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi. Ordinata in tal guisa la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare” (ASS, vol. XVIII, p. 169).
(8) Per un esempio di storico idealista filorinascimentale cfr. F. Chabod, Studi sul Rinascimento, Einaudi, Torino 1967. Per un’opera di orientamento marxista, R. Romano – A. Tenenti, Alle origini del mondo moderno, Feltrinelli, Milano 1967.
(9) Cfr. R. Morghen, Il Medioevo nella storiografia dell’età moderna, in Nuove questioni di storia medioevale, Marzorati, Milano 1964, p. 1. Il saggio di Morghen, anche per la sua bibliografia, può essere utilmente consultato per un primo approfondimento del tema.
(10) Si veda, in proposito, il bel saggio su Machiavelli, visto come espressione del Rinascimento, in M. De Corte, Fenomenologia dell’autodistruttore, trad. it., Borla, Torino 1967.
(11) Cfr. su questi autori e in generale sulla storia del concetto di Medioevo, il volume di G. Falco, La polemica sul medioevo, Guida, Napoli 1977. L’opera di Falco, che dall’Umanesimo giunge sino al primo Romanticismo, è meritatamente celebre, anche perché il suo autore aveva una profonda consapevolezza dell’unità del Medioevo. Essa, tuttavia, rivela una pericolosa influenza storicistica nello sforzo, detto in parole semplici, di mostrare a ogni costo che anche il male non viene per nuocere, e che dalla negatività delle incomprensioni sorte ne viene sempre un progressivo irrobustimento e arricchimento del concetto del Medioevo.
(12) Cfr. G. Falco, op. cit., pp. 104 ss.
(13) Tale tradizione storiografica si era aperta con Eusebio, che aveva dato vita nuova a un genere letterario languente: esempio particolare di un fenomeno generale di superamento della morente ed estenuata cultura pagana da parte della cultura cristiana; cfr. i riconoscimenti alla storiografia cristiana da parte di A. Momigliano, Storiografia pagana e storiografia cristiana nel secolo IV d.C., nel volume AA. VV., Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Einaudi, Torino 1975.
(14) Voltaire, Essai sur les moeurs et l’esprit des nations e Remarques pour servir de supplément a l'”Essai sur les moeurs”, in Oeuvres complètes, Parigi 1878.
(15) Per es. L. Gatto, Viaggio attorno al concetto di Medio Evo, Bulzoni, Roma 1977, pp. 92-94. Questo volumetto di Gatto, dagli intenti sintetici e didattici, contiene una bibliografia aggiornata, e può perciò essere segnalato, a patto di tenere presente la discontinuità dei giudizi.
(16) G. Falco, op. cit., p. 138.
(17) Ibid., cap. VII.
(18) Ibid., p. 145.
(19) E. Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, trad. it., Einaudi, Torino 1967.
(20) Dopo avere esposto l’andamento della seduta del 4 agosto 1789 e i suoi risultati, uno storico filorivoluzionario, Mathiez, così commenta: “Questa grandiosa abiura del passato durò tutta la notte: all’alba una novella Francia era nata” (A. Mathiez – G. Lefebvre, La Rivoluzione francese, trad. it., Einaudi, Torino 1960, p. 75).