Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 173 (1989)
Una proposta di lettura del fatto che sposta l’attenzione dall’ambito strettamente religioso, quando non direttamente ed esplicitamente ecumenico, a quello dell’aggressione propagandistica contro la nazione polacca in quanto cattolica e, quindi, resistente al socialcomunismo.
La minoranza ebraica che sta facendo un “caso” del luogo di sofferenza e di morte che ha nome Auschwitz, rappresenta solamente sé stessa.
Quanti, dalla seconda guerra mondiale, dormono nei cimiteri in cui sono stati portati dalle loro lotte perché le rispettive patrie ritrovassero la libertà, non hanno a suo tempo chiesto che – se fossero morti – i loro cadaveri venissero separati accuratamente, gli ebrei da una parte e i non ebrei dall’altra.
Prendendo in esame la cronologia del “caso” colpisce il fatto che qualche ebreo belga, poi il Consiglio Ebraico Mondiale, quindi le sue filiali in diversi paesi, hanno improvvisamente cominciato a urlare contro l’esistenza di un convento di carmelitane a Oswiecim, detta Auschwitz, in terra polacca, dopo i primi contatti, all’inizio segreti, fra il Consiglio Ebraico Mondiale e il governo dell’Unione Sovietica.
Questi urlatori non hanno neppure chiesto l’opinione di eroi ebrei della Resistenza autentica, come Marc Edelman. Hanno immediatamente preteso la proprietà esclusiva dei quarantadue chilometri quadrati corrispondenti all’estensione di questo campo di morte. Per contro, le decine di migliaia di ca-daveri di ebrei, vittime di Josif V. Stalin e del NKVD, il Commissariato Nazionale degli Affari Interni,fra il 1937 e il 1953, poi degli eredi del despota comunista georgiano, non li interessano assolutamente…
E pensare che Josif V. Stalin ha inventato l’antisemitismo “attivo” molto prima di Adolf Hitler: infatti, per esempio, quasi tutti i fondatori e i dirigenti del partito comunista polacco erano ebrei e sono stati pressoché tutti massacrati in Unione Sovietica nel 1937 e nel 1938. Ma il Consiglio Ebraico Mon-diale non ne parla mai perché, dopo l’avvento al potere di Juri V. Andropov e poi di Mikhail Gorbaciov, fra lo stesso Consiglio Ebraico Mondiale e il governo sovietico sono stati stipulati accordi, e il presidente del Consiglio Ebraico Mondiale è Edgar Bronfman, del Council on Foreign Relations, della Commissione Trilaterale e dell’USTEC, l’USA-URSS Trade and Economic Council, dove, insieme ad Armand Hammer, a Samuel Pisai e ad altri, si incrementano gli affari con l’Unione Sovietica. Perciò gli urlatori di cui parlavo prima rivendicano soltanto gli ebrei morti in Polonia, perché si tratta della Polonia, terra cattolica.
Dicono che ad Auschwitz sono morti degli ebrei. È vero, ma tacciono artatamente la storia di tale campo… Per sapere quanto questa fazione ebraica – che ha appena aperto un ufficio permanente a Mosca, ben nota capitale dei “diritti umani” – non vuole riconoscere né far conoscere, diamo la parola a Joszef Garlinski: “All’inizio Auschwitz fu pensata per i polacchi. Il primo convoglio è giunto il 14 giugno 1940. Un anno dopo sono arrivati i primi cecoslovacchi e poi altri prigionieri venuti da tutti gli angoli d’Europa. Il primo convoglio di ebrei è giunto il 26 marzo 1942 …”.
Nella prospettiva del Consiglio Ebraico Mondiale ha poca importanza il fatto che, su quattrocentomila uomini e donne non ebrei internati in questo campo, trecentoquarantamila erano già finiti nella fossa comune prima del marzo del 1942… e che in seguito siano ancora periti ad Auschwitz centocinquantamila prigionieri di tutte le nazionalità. Jozef Garlinski, matricola 121.421 è appunto uno dei rari sopravvissuti.
Quando, il 7 luglio 1989, sette ebrei americani sono andati a protestare contro le religiose la cui regola le vuole consacrate alla preghiera e al silenzio completo, sugli schermi televisivi ne è comparso uno, con il volto contratto dall’odio, che lanciava invettive contro chi aveva davanti. Invettive contro il nazionalsocialismo? No assolutamente. Contro la croce, contro religiose la cui presenza – stando all’editoriale di un quotidiano parigino della sera – costituisce uno di “quei segni di appropriazione intollerabili per la comunità ebraica, e non soltanto per essa”. Litigare per cinquecento metri quadrati di un campo di morte che si estendeva – lo ripeto – per quarantadue chilometri quadrati, gettarsi in faccia percentuali di vittime mezzo secolo dopo il dramma, è indegno e vergognoso. Anche perché i più aggressivi non hanno nessuna conoscenza dell’epoca in cui si sono svolti i fatti.
Le umiliazioni, la fame, la morte lenta erano la parte che toccava a tutti, ebrei e non ebrei. Oppure esiste una gerarchia determinata post factum? Che strano comportamento “umanistico” … che strano omaggio reso alle vittime pensare che alcune abbiano più diritti di altre!
Ma dimenticavo: l’operazione è politica. Non anti-nazionalsocialista, non anti-totalitaria, ma anti-polacca. Eccone una prova: non lontano da Auschwitz, nelle vicinanze di Leopoli, duemilaquattrocento ebrei sono stati assassinati fra il 22 e il 28 giugno 1941, quindi gettati in un enorme carnaio, dal NKVD, perché erano ebrei. Dunque traditori. Né il Consiglio Ebraico Mondiale né le sue filiali si interessano di questi ebrei né di questa specifica località. Evidentemente, interessarsene comporterebbe chiamare in causa i comunisti sovietici!
Pierre Faillant de Villemarest