Rifugiati vietnamiti di Hong Kong, Cristianità n. 177 (1990)
Il 30 novembre 1989, i rifugiati vietnamiti di Hong Kong hanno inviato una lettera al Sommo Pontefice per far presente la loro drammatica situazione dopo che le autorità della colonia britannica, su istruzioni del governo della Gran Bretagna, hanno deciso di riportare in patria con la forza gran parte di loro, e hanno dato l’avvio alla disumana operazione. Il documento è trascritto da Asia News, n. 61, dell’1 gennaio 1990, e la traduzione dal vietnamita è della stessa agenzia quindicinale di informazioni, pubblicata a Milano a cura del Centro Missionario del PIME, il Pontificio Istituto Missioni Estere. Il titolo è redazionale.
Santo Padre,
siamo 47.000 rifugiati vietnamiti, arrivati in Hong Kong dopo il 16 giugno 1988, al momento internati nei campi di questo territorio. Vogliamo esprimerLe la nostra fedeltà piena di rispetto, la nostra fiducia, e La preghiamo, Santo Padre, di concedere la Sua benedizione a tutti i nostri sventurati compatrioti vietnamiti.
Santo Padre, dopo il 30 aprile 1975, il giorno in cui i comunisti vietnamiti, attraverso inganni e violenze, si sono impadroniti dell’intero paese, milioni di vietnamiti provenienti dal nord e dal sud, uno dopo l’altro, hanno lasciato il loro paese per difendere la loro fede religiosa, le tradizioni dei loro padri e condurre una vita libera in cui la dignità e la grandezza dell’uomo siano rispettate. Noi abbiamo dovuto deciderci a partire. I vietnamiti sono per natura resistenti alla sofferenza: qualunque siano le privazioni, restano radicati nella terra dei loro padri, nel luogo dove vivono quelli che amano, dove sono sepolti i loro antenati.
Ma la persecuzione religiosa, la distruzione della cultura tradizionale, le limitazioni poste alle libertà del popolo hanno raggiunto un tale grado di gravità che non siamo più stati in grado di sopportare oltre, nonostante la rassegnazione e la perseveranza tradizionale dei vietnamiti.
Il nostro paese, fin dalla sua origine e lungo tutta la sua lunga storia, ha attraversato numerosi drammi dovuti ai cataclismi, alle guerre ed agli sconvolgimenti politici. Mai tuttavia è caduto nel grado di sventura in cui l’ha spinto l’attuale crudele amministrazione del potere comunista. Noi siamo abbastanza forti per sopportare ogni genere di privazioni; ma non abbiamo potuto rassegnarci a vedere proibita la nostra religione ed i nostri diritti umani schiacciati, senza contare che, in regime comunista, le persone possono essere gettate in prigione, picchiate ed eliminate in qualsiasi momento. Per questo la nostra partenza dal paese è l’atto di autodifesa di sventurati spinti all’estrema esasperazione. Questo gesto testimonia la nostra volontà di rifiutare il regime politico che devasta oggi il Vietnam. Tutti abbiamo trascorso giornate e qualche volta mesi su piccole, fragili imbarcazioni sballottate sui flutti del mare, senza cibo e senza acqua, in preda alle tempeste, vittime dei pirati che ci hanno picchiati ed hanno violentato le nostre donne ed i nostri bambini. Chi potrà dirci il numero di quanti sono periti sul cammino della libertà?
Santo Padre, quando siamo fuggiti dal Vietnam ed abbiamo affrontato i pericoli del mare, eravamo pronti a sopportare tutto, purché potessimo giungere ad una terra libera. Un destino avverso ci ha condotti ad Hong Kong dopo il 16 giugno 1988. Per vari e complessi motivi che noi stessi non comprendiamo, senza dubbio a causa di interessi economici particolari di Hong Kong e della Gran Bretagna, siamo stati considerati come degli immigrati illegali, gettati in campi attorniati da due cinte di filo spinato, come erano in altri tempi i campi nazisti. Manchiamo di tutto, materialmente, moralmente ed affettivamente. Viviamo in una tensione insopportabile senza sapere quale sarà il nostro avvenire.
Recentemente, le autorità di Hong Kong con l’appoggio della Gran Bretagna, hanno iniziato una politica di stretto controllo. Siamo stati divisi in due categorie: rifugiati per motivi politici e rifugiati per motivi economici. Quelli definiti rifugiati politici possono sperare di sistemarsi un giorno in un paese di ultima accoglienza. Quelli che vengono inseriti nella categoria dei rifugiati economici saranno rinviati forzatamente in Vietnam. Le autorità di Hong Kong hanno con ironia chiamato questa operazione “rimpatrio volontario”. Le cifre a proposito di questo “controllo” mostrano che il 90% di noi vengono classificati nella categoria dei rifugiati economici e devono obbligatoriamente fare ritorno in Vietnam.
Santo Padre, risultati così assurdi sono facilmente spiegabili. L’obiettivo principale delle autorità di Hong Kong nello stabilire questa procedura di selezione è stato di rimandare il maggior numero di rifugiati in Vietnam. Le persone incaricate di questa selezione sono impiegati del Dipartimento per l’Immigrazione di Hong Kong, i quali non hanno nessuna conoscenza della situazione politica e religiosa in Vietnam e mancano di una sufficiente conoscenza della lingua vietnamita, per cui a volte fraintendono ciò che noi esponiamo negli incontri con loro.
Santo Padre, noi non vogliamo venir rimandati in Vietnam, anche se esso è la nostra patria. Questa è la nostra preghiera dolorosa ed insistente nella terribile situazione in cui ci troviamo. Ciò che ci aspetta nel nostro paese noi già lo sappiamo: inchieste, la prigione e l’eliminazione. La prova è stata data da quel rifugiato vietnamita “rimpatriato volontariamente” che in seguito è fuggito di nuovo dal Vietnam assieme a sua moglie ed ai suoi figli, ed è ritornato ad Hong Kong. Questa notizia è stata pubblicata dal quotidiano South China Morning Post, il 14 settembre 1989. Quattordici anni prima, la nave Vietnam Thuong Tin che aveva lasciato il Vietnam durante la confusione della fine di aprile 1975, aveva fatto ritorno in Vietnam: venne immediatamente isolata dalle autorità comuniste e tutti quelli che si trovavano a bordo vennero sottoposti a interrogatori e gettati in prigione.
È per questo che i rifugiati vietnamiti in Hong Kong, nel loro insieme, hanno usato tutti i mezzi a loro disposizione per opporsi alla selezione ed al rimpatrio forzato.
Abbiamo fatto manifestazioni non violente, abbiamo scritto manifesti e suppliche con il nostro sangue. Tutto però è stato inutile, nulla ha smosso l’insensibilità delle autorità di Hong Kong. Recentemente, le violazioni dei diritti dell’uomo e le minacce contro la vita dei rifugiati hanno raggiunto il livello di guardia: senza tener conto delle proteste provenienti dalle Chiese, dagli organismi caritativi, nonostante l’intervento di associazioni mondiali che militano per il diritto alla vita e alla libertà, le autorità di Hong Kong e della Gran Bretagna, per la prima volta nella storia dei rifugiati, hanno attuato una politica disumana e crudele.
Hanno lanciato poliziotti e militari, muniti di armi moderne, all’assalto dei campi di internamento. Gli agenti hanno percosso, incatenato e trascinato fuori dei campi quei boat people considerati come rifugiati economici. Tra di essi erano molte donne e bambini. Alcuni sono stati funzionari sotto l’antico regime e molti di essi hanno soggiornato nei campi di rieducazione vietnamiti. Molti anche sono fuggiti dal Vietnam perché non avevano voluto partecipare alla campagna di opposizione alla canonizzazione dei Martiri del Vietnam, celebrata l’anno scorso a Roma. Tutti sono stati classificati nella categoria dei rifugiati economici. Chi ancora tra noi può reclamare lo stato di rifugiato politico?
La situazione drammatica dei rifugiati vietnamiti in Hong Kong è stata descritta concretamente in un articolo del giornalista Colin Y. Cheung, apparso sul South China Morning Post dello scorso 14 settembre, dove si legge tra l’altro: “Se fossero bestie, i rifugiati starebbero meglio. In quel caso avrebbero l’occasione di essere meglio difesi e sarebbero trattati con minor crudeltà”.
Di fronte alla sofferenza dei nostri compatrioti, picchiati, portati via nelle lacrime e tra le urla, ormai senza alcuna speranza, non possiamo impedire a noi stessi di essere sconvolti dalla pietà. Nello stesso tempo, l’amarezza ci serra il cuore al pensiero del giorno in cui verrà il nostro turno di essere trattati con la medesima crudeltà. In queste circostanze, noi siamo totalmente impotenti. Non abbiamo nelle nostre mani né forza né potere. Nella comunità umana noi siamo coloro sui quali la sorte s’accanisce con più forza. Oppressi nel nostro paese, lo siamo anche in Hong Kong.
Veniamo a Lei, Santo Padre, come verso la nostra ultima speranza. La supplichiamo di far sentire la voce della misericordia e della giustizia, la voce del nostro Padre comune. Noi La preghiamo di intervenire perché le autorità di Hong Kong e della Gran Bretagna pongano fine al loro comportamento disumano nei riguardi dei rifugiati, perché abbandonino il progetto di rimpatrio forzato e cessino dal prestare il loro aiuto per il nostro ritorno nelle prigioni comuniste. Noi che abbiamo raggiunto l’estremo della sventura, noi rifugiati vietnamiti appartenenti a tutte le confessioni, noi La supplichiamo: Santo Padre, ascolti il nostro lamento.
Noi preghiamo lo Spirito Santo perché muova, custodisca e protegga la Chiesa cattolica e Lei. Che il Signore Le conceda la pienezza della Sua grazia per compiere la Sua grande missione: guidare il gregge del Signore in mezzo alle prove di questo mondo verso il regno di Dio.
Ancora una volta, Santo Padre, noi tutti rifugiati vietnamiti La preghiamo di volerci accordare la Sua benedizione.
I rifugiati vietnamiti di Hong Kong
Hong Kong, 30 novembre 1989