Con particolare attenzione al futuro e alle conseguenze — sia nel mondo occidentale in genere che in quello cattolico in specie — di quanto sta accadendo oltre la Cortina di Ferro, un documento della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade, la TFP brasiliana. Pubblicato in prima edizione sulla Folha de S. Paulo, in Brasile, il 14 febbraio 1990, il testo è comparso sul Corriere della Sera, del 7 marzo, e su Il Tempo, dell’8. La traduzione redazionale è stata condotta sull’originale in portoghese diffuso dall’Ufficio Tradizione Famiglia Proprietà, di Roma.
I. Malcontento, incendio che disgrega il mondo sovietico
Le riforme della perestrojka nella Russia sovietica, i movimenti politici centrifughi che giorni fa hanno quasi portato alla guerra civile l’Azerbaigian e le sue enclave armene, agitano anche la Lituania, la Lettonia e l’Estonia sulle rive del Baltico, come, più a sud, la Polonia, la Germania Orientale e, ancora, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria e la Jugoslavia. Aggiunte allo spettacolare abbattimento del Muro di Berlino e della Cortina di Ferro, queste scosse costituiscono, nel loro insieme, un movimento ciclopico di cui non si è visto nulla di maggiore dalle due conflagrazioni mondiali o, forse, dalle guerre napoleoniche.
Questo sommovimento contemporaneo della carta d’Europa si riveste, qua e là, di circostanze e di significati diversi, ma li sovrasta tutti un significato generale, che li ingloba e li penetra come un grande impulso comune: è il Malcontento.
Malcontento con la “M” maiuscola
Abbiamo scritto quest’ultima parola con la “M” maiuscola perché si tratta di un malcontento nel quale convergono tutti i malcontenti regionali e nazionali, quelli economici e quelli culturali, accumulati nel mondo sovietico nel corso di molti e molti decenni sotto forma di apatia indolente e tragica di chi non è d’accordo con nulla, ma gli viene impedito fisicamente di parlare, di muoversi, di ribellarsi, insomma, di manifestare un dissenso efficace. Si trattava del malcontento totale, ma — per così dire — muto e paralizzato, di ogni individuo nella propria casa, nel proprio tugurio o nella propria catapecchia, dove spesso la famiglia non esiste più, dal momento che il matrimonio è stato frequentemente sostituito dal concubinato. Malcontento perché i figli sono spesso sottratti al “focolare” e affidati coattivamente allo Stato, ricevendo soltanto da esso la globalità dell’educazione. Malcontento nei posti di lavoro, nei quali la pigrizia, l’inattività e la noia hanno invaso buona parte dell’orario e i salari bassi bastano appena per l’acquisto di generi e di articoli insufficienti e di cattiva qualità, prodotti tipici dell’industria, statalizzata a forza, del regime di capitalismo di Stato. Lungo le file che si formano davanti ai magazzini commerciali, nei cui scaffali quasi vuoti si lascia vedere vergognosamente la miseria, si commenta a bassa voce l’assoluta carenza qualitativa e quantitativa di tutto. Malcontento soprattutto perché, ovunque, si verifica la proibizione del culto religioso, le chiese sono chiuse, e la predicazione religiosa impedita. Nelle scuole domina l’insegnamento coatto del materialismo, dell’ateismo, in una parola, dell’irreligione comunista.
L’insieme di questi mali penalizza ancor più della semplice considerazione di ciascuno in particolare. In una parola, se si avanzano lamentele contro questo o quell’aspetto della realtà sovietica, i fatti più recenti rendono evidente che, contro questa realtà nel suo insieme, si propaga un incendio furioso, di un furore che, per il fatto stesso di colpire l’insieme, colpisce il regime, e appicca il fuoco a tutte le capacità d’indignazione della persona umana: un malcontento globale contro il regime comunista, contro il capitalismo di Stato, contro l’ateismo dispotico e poliziesco, insomma, contro tutto quanto deriva dall’ideologia marxista e dalla sua applicazione a tutti i paesi ora in convulsione.
Quindi si può certamente parlare di Malcontento, probabilmente il più completo e il più totale malcontento che la storia conosca.
Concessioni di Mosca timide e di malavoglia
È chiaro che Mosca è venuta facendo qua e là concessioni timide e di malavoglia per evitare la trasformazione generale di questi malcontenti in rivoluzioni e in guerre civili.
Ma, alla luce dei fatti, la portata di tali concessioni è più che mai dubbia. Infatti, anche se sono tali da calmare un poco gli animi, producono di per sé l’effetto di dare ai Malcontenti una coscienza raddoppiata e della propria forza e della debolezza dell’avversario moscovita, che ancora ieri sembrava loro onnipotente. Ne deriva che le pacificazioni possono venire adeguatamente sfruttate dai Malcontenti per mettere insieme masse crescenti di seguaci e per prepararle a grandi movimenti di rivendicazione che possono esplodere, forse già domani, ancor più rivendicativi e pressanti di ieri.
Così, un passo dopo l’altro, si potrà svolgere il processo che caratterizza la crescita dei movimenti insurrezionali in marcia verso il successo, il quale si sviluppa contemporaneamente al declino degli establishment di governi obsoleti e putrefatti.
Il maggior grido di indignazione della storia
Se gli avvenimenti nel mondo sovietico si svolgeranno in questo modo, senza incontrare nel loro corso ostacoli di particolare rilievo, non è necessario che l’osservatore politico sia molto acuto per cogliere il punto finale a cui giungeranno, cioè l’abbattimento del potere sovietico in tutto l’immenso impero fino a poco fa circondato dalla Cortina di Ferro, e il levarsi, dal fondo delle rovine che in questo modo verranno accumulate, di un unico, di un enorme, di un tonante grido di indignazione da parte dei popoli schiavizzati e oppressi.
II. Domanda ai responsabili diretti di una così immensa sciagura, cioè ai
supremi dirigenti della Russia sovietica e delle nazioni prigioniere
Anzitutto questo grido si dirigerà contro i responsabili diretti di tanto dolore accumulato nel corso di tanto tempo, in terre tanto vaste, su una massa di vittime tanto impressionante.
E, a meno che la logica abbia abbandonato completamente gli avvenimenti umani — abbandono tragico, che la storia ha registrato più di una volta nelle epoche di completa decadenza, come quella di questa fine di secolo e di millennio —, le vittime di tante calamità uniranno le loro grida per esigere dal mondo un grande atto di giustizia verso i responsabili.
Responsabili per eccellenza sono stati i massimi dirigenti del Partito Comunista russo che, nella scala di poteri della Russia sovietica, hanno sempre esercitato l’autorità maggiore, superando perfino quella del governo comunista. E, di pari passo, i capi di partiti comunisti e di governi delle nazioni prigioniere.
Infatti, essi non potevano ignorare la sciagura e la miseria indicibili in cui la dottrina e il regime comunisti stavano sprofondando le masse. E, tuttavia, non hanno esitato a diffondere questa dottrina e a imporre questo sistema.
III. Domanda agli ingenui, ai deboli, ai collaborazionisti, volontari o no, con il comunismo, in Occidente
Ma — sempre facendo congetture sulla base della logica — tanti uomini, tante famiglie, tante etnie e tante nazioni non chiederanno giustizia soltanto contro di loro.
Storici ottimisti e superficiali hanno indebolito la reazione dei popoli liberi contro le trame del comunismo internazionale
In un secondo momento, si rivolgeranno ai molti storici occidentali che, durante il lungo periodo di dominazione sovietica, hanno raccontato in modo ottimistico e superficiale quanto è accaduto nel mondo comunista, e chiederanno loro perché, nelle loro opere di sintesi, lette ed elogiate da certi media in tutto il mondo, si sono limitati a dire così poco su sciagure tanto enormi. Il che ha prodotto l’indebolimento della reazione giusta e necessaria dei popoli liberi contro l’infiltrazione e le trame del comunismo internazionale.
Gli uomini pubblici dell’Occidente hanno fatto poco per liberare le vittime della schiavitù sovietica
Infine, gli stessi Malcontenti si rivolgeranno agli uomini pubblici dei paesi ricchi dell’Occidente e chiederanno loro perché hanno fatto così poco per liberare dalla notte fonda e interminabile della schiavitù sovietica questo incalcolabile numero di vittime.
Sappiamo per certo che, a questo punto, tali uomini pubblici, sempre sorridenti, ben riposati, ben lavati e ben nutriti, risponderanno loro con giovialità: “Ma come! A noi, proprio a noi, che abbiamo mandato ai vostri governi tanto denaro, che abbiamo aperto loro tanti crediti, che abbiamo accettati come buoni tanti prodotti avariati forniti dalle vostre pessime fabbriche, e tutto questo per attenuare un poco la vostra fame, proprio a noi… rivolgete questo rimprovero senza senso!”. E aggiungeranno: “Andate all’ONU, andate all’UNESCO, e da tante altre istituzioni zelanti dei diritti umani, e vedete quante proclamazioni altisonanti e perfettamente curate, dal punto di vista letterario, abbiamo diffuso in tutto l’Occidente, protestando contro la situazione in cui vi trovavate… Non vi è bastato niente di questo?”.
Se questi cortesi uomini di potere dell’Occidente immaginano di placare così le obbiezioni di cui saranno inevitabilmente fatti oggetto, si ingannano.
Le sovvenzioni dell’Occidente hanno prolungato l’azione dei carnefici
Infatti la realtà, nella sua configurazione concreta e tangibile, non è così semplice né così facile da capire e da descrivere come essi sembrano immaginare, perché le masse, lievitate dal Malcontento, risponderanno loro inevitabilmente: “Immaginate migliaia, milioni di individui sottoposti nello stesso tempo a torture in luoghi grandi come di paesi. Questo era il quadro del mondo oltre la Cortina di Ferro. Le sovvenzioni inviate dall’Occidente sono state consegnate, il più delle volte, non direttamente ai poveri torturati, ma ai carnefici, che avevano il compito di dirigere questi luoghi di tortura di dimensioni nazionali, cioè, ai governi che, sotto la feroce direzione di Mosca, mantenevano sotto il giogo della schiavitù le nazioni “sovrane” e “alleate” oltre la Cortina di Ferro, come la Polonia, la Germania Orientale, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e tante altre, e anche le Repubbliche Socialiste Sovietiche “unite” a Mosca e altre circoscrizioni territoriali più chiaramente e ufficialmente dipendenti dai despoti del Cremlino. Il più delle volte, erano questi governi carnefici a ricevere i benefici dell’Occidente”.
Ma, a questo punto del problema, sorgono i dubbi che i Malcontenti non cesseranno di agitare. E non sarà assolutamente facile rispondere a questi dubbi.
Infatti, è innegabile che un poco di queste risorse ricevute dai governi fantoccio oltre la Cortina di Ferro sia alla fine giunto alle loro vittime, alleviando in qualche misura la loro sofferenza, o anche evitando che un certo numero fra esse morisse di fame. Ma dalle stesse file dei Malcontenti, anche prima dell’attuale convulsione, sono partite in proposito obbiezioni imbarazzanti.
In questo modo — già osservavano i più sofferenti e i più indignati fra loro —, nella stessa misura in cui l’Occidente dava ai carnefici aiuti che attenuassero i bisogni delle vittime, forniva loro mezzi per ridurre la generale indignazione, e così prolungare la condizione del dominio degli stessi carnefici.
In questo caso, non sarebbe stato più utile ai popoli soggiogati che l’Occidente non inviasse loro questi aiuti, di modo che il giorno dell’esplosione del Malcontento giungesse presto, e con esso la liberazione finale e completa degli sventurati oppressi?
Collaboratori suicidi della diffusione del comunismo
Confessiamo che la domanda lascia perplessi noi della TFP… tanto più che non abbiamo mai sentito dire che la concessione di tali aiuti fosse condizionata, da parte dei benefattori occidentali, al diritto di esercitare una severa vigilanza per impedire che essi fossero utilizzati per acquistare oppure per fabbricare armamenti e munizioni, che tenessero soggiogati i popoli prigionieri. Oppure che, nel caso di una guerra contro l’Occidente, venissero utilizzati contro le stesse nazioni occidentali donatrici.
Esaminiamo le cose fino in fondo. Se Mosca ha disposto di denaro per minare, con le sue reti di propagandisti e di cospiratori, tutte le nazioni della terra, siamo sicuri che, nelle spese faraoniche fatte allo scopo, non siano entrate porzioni considerevoli delle somme fornite, a questo oppure a quel titolo, dai donatori occidentali?
In quest’ultimo caso, oltre a essere benefattori delle vittime del comunismo, non saranno stati anche complici involontari — concediamolo — dei boia e, nello stesso tempo, collaboratori suicidi di un attacco contro l’Occidente medesimo, oltre che partner nella diffusione dell’errore comunista in tutte le nazioni?
La crociata che non vi è stata
Non sappiamo se queste nazioni prigioniere giungeranno un giorno a essere realmente libere, prima che sopravvengano le catastrofi punitive e sanatrici previste dalla Madonna nelle apparizioni di Fatima (1).
Sappiamo però che, quando un giorno esse saranno libere, il Malcontento esigerà un preciso rendiconto per tutto questo dai “benefattori” delle nazioni prigioniere. E costoro saranno costretti, per salvare la propria reputazione, a rovistare in molti archivi e a togliere dalla polvere molti conti… a meno che non preferiscano troncare tutto e far sì che il silenzio cali ancora una volta su tali questioni.
Infatti, le belle dichiarazioni di ONU, UNESCO e simili hanno lasciato tali nazioni indifferenti, come lascerebbero indifferenti le vittime i sorrisi educati, di saluto e di solidarietà, provenienti da persone che assistessero a braccia conserte alle torture che esse stessero soffrendo.
“Noi avevamo bisogno di una crociata che ci liberasse — esclameranno — e voi ci avete mandato soltanto un poco di pane che ci aiutasse a continuare a sopportare per un tempo indefinito la nostra prigionia. Forse non sapevate che, per il prigioniero, la grande soluzione non è soltanto il pane, bensì, soprattutto, la libertà?”.
Forse vi potrebbero essere argomenti validi da opporre a queste lamentele dei prigionieri, ma ammettiamo che non sarà facile trovarli.
Una vittoria dei “duri” aggraverebbe soltanto l’esasperazione e le lamentele
La stampa di tutto il mondo occidentale non ha smesso di osservare che la vittoria di questo gigantesco Malcontento non è ancora indiscutibile. Infatti, nessuno può garantire che la ribellione possa essere ripetutamente schiacciata ancora più volte in diversi focolai del Malcontento, come è accaduto con tanto successo e con tanta rapidità nella Piazza della Pace Celeste (!) a Pechino, e di nuovo, in questi ultimi giorni, con un successo almeno apparente, nella città di Baku, capitale dell’Azerbaigian. Infine, ammettiamo che queste successive repressioni giungano a imporre al Malcontento una caricatura di pace, della pace cadaverica di quanti ormai sono senza vita.
Certamente un tale esito produrrebbe effetti globali molteplici, la maggior parte dei quali in questo momento non è ancora prevedibile. Tuttavia, dal punto di vista del Malcontento, aggraverebbe soltanto l’esasperazione e le lamentele, soprattutto relativamente all’Occidente: infatti, in fondo alle loro prigioni, i Malcontenti aggiungerebbero ancora alcune imprecazioni alla ormai ampia lista di quelle che hanno finora accumulato contro noi occidentali.
Essi rimprovereranno necessariamente l’Occidente: “Fino al 1989-1990 non avevamo ancora riempito delle nostre grida l’aria di tutto il mondo. Nel 1989-1990 abbiamo avuto modo di farlo. Da allora non è rimasto neppure il più tenue velo a fare da paravento fra voi e noi. Avete visto tutto, avete sentito tutto e, ciononostante, avete aggiunto poco a quanto facevate di insufficiente a nostro favore”.
Ancora una volta, ci sarà difficile e imbarazzante rispondere.
IV. Domanda ai dirigenti dei vari partiti comunisti sparsi nel mondo
Ma non facciamoci illusioni pensando che — in tema di rimproveri e di rendiconti — si possa immaginare soltanto la polemica nata fra le vittime, da una parte, che gridano attraverso le fessure dell’enorme prigione sovietica, che si sta ovunque sgretolando, e i loro carnefici dall’altra; oppure, a suo tempo, fra le stesse vittime e i sorridenti e parsimoniosi benefattori che si manifesteranno di quando in quando a loro favore in Occidente, durante le nuove tappe di schiavitù che solo Dio sa quando avranno termine. Tutto questo dipende da come si svolgerà un futuro per noi ancora enigmatico.
Infatti, dobbiamo pure immaginare come plausibile anche un’altra polemica, quella delle popolazioni dei paesi dell’Occidente contro i leader dei vari partiti comunisti, che si sono insediati ampiamente e confortevolmente in tutte le nazioni non comuniste del mondo grazie al prestigio della pretesa modernità ideologica e tecnologica del comunismo, talora sommato alla forza persuasiva del denaro e all’efficacia delle tattiche di propaganda comuniste.
Non hanno visto nulla?
Per decenni di seguito, i leader comunisti dei vari paesi hanno mantenuto un costante e multiforme contatto con Mosca, e vi sono stati, più di una volta, ricevuti normalmente come compagnoni e come amici.
Non hanno raccontato nulla?
E, tutte le volte in cui ritornavano nei loro paesi, prendevano contatto immediato con i rispettivi partiti comunisti, dove tutti chiedevano loro ansiosamente cosa avessero visto e sentito in quell’autentica Mecca del comunismo internazionale che è Mosca.
Non avevano indagato su nulla?
Ebbene, a quanto pare, da quanto traspariva dalle conferenze stampa per il grande pubblico di questi visitatori, si direbbe che mai, nel corso di queste visite, avevano cercato di prendere conoscenza diretta delle condizioni in cui vivevano i russi e gli altri popoli sottomessi. Non avevano visto le file interminabili che si formavano, nelle mattinate fredde, all’aperto, agli ingressi di macellerie, di panetterie e di farmacie, nell’attesa della merce qualitativamente e quantitativamente miserabile, per il cui acquisto litigavano come si trattasse di elemosina. Non si erano accorti degli stracci sulle spalle dei poveri. Non avevano notato la completa mancanza di libertà che affliggeva tutti i cittadini. Non erano rimasti impressionati dal silenzio tetro e generale della popolazione, timorosa perfino di parlare, per paura della brutalità conseguente ai sospetti della polizia.
Questi sostenitori del comunismo nelle varie nazioni del mondo libero non avevano chiesto ai padroni del potere sovietico perché vi era tanto controllo poliziesco, se il regime era realmente popolare? E se non lo era, qual era la ragione di questa impopolarità di un regime che sprecava enormi somme di denaro in propaganda, per convincere gli occidentali che i russi avevano finalmente trovato la perfetta giustizia sociale, nel paradiso di un’abbondanza di mezzi capace di soddisfare tutti?
Se erano a conoscenza del tragico fallimento del comunismo, perché lo volevano per le loro patrie?
Se i capi comunisti nel mondo libero sapevano che il frutto del comunismo era quello che il mondo intero ora vede, perché cospiravano per estendere questo regime di miseria, di schiavitù e di vergogna ai loro paesi? Perché non risparmiavano denaro negli sforzi finalizzati ad attirare, per l’arduo lavoro dell’instaurazione del comunismo, le élite di tutti i settori della popolazione, a partire dall’élite spirituale costituita dal clero, proseguendo con le élite sociali, della media e dell’alta borghesia, con le élite culturali delle università e dei mezzi di comunicazione sociale, con le élite della vita pubblica, sia civile che militare, oltre ai sindacati e alle organizzazioni di classe di ogni ordine, per arrivare infine alla gioventù e alla stessa infanzia, nelle scuole elementari? La passione ideologica li ha accecati al punto da non rendersi conto che la dottrina e il regime che auspicavano per le loro patrie non avrebbero potuto evitare di produrre in esse frutti di miseria e di sciagura uguali a quelli che si erano verificati nelle immense distese del mondo sovietico, dalle rive berlinesi della Spree, per esempio, fino a Vladivostok?
Quando un’autorevole voce ha detto la verità: sorpresa
Per questa ragione, relativamente all’infelice condizione in cui si trovavano e si trovano i popoli prigionieri, l’opinione pubblica occidentale si faceva un’idea così vaga che quando, nel 1984, un uomo di notevole ardire apostolico ebbe il coraggio di delineare un quadro sommario con qualche termine forte, in Occidente fu come se l’esplosione di una bomba si fosse fatta sentire in tutto il mondo.
Chi è stato quell’uomo? — Un teologo di fama mondiale, una personalità elevata della vita della Chiesa, insomma il Cardinale tedesco Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
E cos’ha detto? Ecco le sue parole: “Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell’uomo” (2). Schiavitù ovviamente in rapporto con la generale miseria (3).
Egli ha detto tutto questo e solo questo, e l’opinione pubblica occidentale ne fu scossa. Anni dopo, la gigantesca crisi in cui si trova il mondo sovietico è venuta a provare che non solo il Porporato aveva ragione, ma, inoltre, che le sue coraggiose parole erano state soltanto un quadro sommario di tutto l’orrore della realtà.
La grande domanda futura
Al momento, quanto sta accadendo nel mondo sovietico attira a tal punto l’attenzione generale che ora non vi è spazio per riflessioni, per analisi e per domande più profonde.
Ma, per tutto questo, verrà il momento opportuno. E, in quel momento, l’opinione pubblica chiederà più precisamente ai capi dei partiti comunisti in tutto l’Occidente perché hanno continuato a rimanere comunisti, pur sapendo a quale miseria il comunismo aveva trascinato le nazioni dominate da Mosca. Essa esigerà che spieghino perché, conoscendo la situazione miserabile della Russia e delle nazioni prigioniere, hanno accettato di guidare un partito politico che aveva l’unico obbiettivo di trascinare verso questa situazione di miseria, di schiavitù e di vergogna anche i paesi del mondo libero in cui erano nati. Infine, perché avevano voluto con tanta ostinazione questo risultato tenebroso, al punto da non esitare a nascondere ai loro stessi seguaci la verità, che avrebbe indotto almeno alcuni a disertare, atterriti, dalla file rosse.
Questo atteggiamento dei leader comunisti delle varie nazioni libere, in combutta con Mosca per rovinare ciascuno la propria patria, deve essere considerato dalla posterità uno dei grandi enigmi della storia.
Fin da ora questo enigma comincia a stimolare la curiosità di quanti hanno l’acume sufficiente per cogliere il problema e chiedersene il perché.
L’affrettata imbiancatura della facciata dei partiti comunisti non garantisce che i comunisti stiano cambiando effettivamente dottrina
Il quadro, vecchio di sette decenni, che tanti leader dei vari partiti comunisti sparsi nel mondo non hanno voluto oppure non hanno potuto vedere — e che è ora così crudamente evidenziato dagli accadimenti drammatici, che vanno agitando il mondo sovietico —, questo quadro — diciamo — in questi giorni comincia a gettare in un evidente disagio i partiti comunisti di vari paesi. Lo stesso nome “Partito Comunista”, di cui erano tanto orgogliosi, sembra loro sempre più inefficace sul piano psicologico, e fastidioso su quello tattico.
Perciò diversi fra loro ora tendono a definirsi come socialisti, e dicono che questo mutamento non è soltanto di nome, ma vuol essere anche di contenuto.
Tali mutamenti suggeriscono naturalmente alcune riflessioni:
1. Quanto i partiti comunisti faranno in futuro non può servire, di per sé, a giustificare quanto hanno fatto oppure hanno tralasciato di fare fino a ora. Per esempio, il loro cambiamento di nome non spiega assolutamente perché, fino a questo momento, hanno sostenuto tutto quanto veniva fatto nel mondo sovietico, né il completo silenzio dei partiti comunisti del mondo libero sulla terribile miseria regnante in Russia e nelle altre nazioni prigioniere. Posto questo, le domande e le richieste di spiegazioni enunciate in precedenza rimangono intatte.
2. I mutamenti in corso potranno essere presi sul serio soltanto nel caso che i partiti comunisti dicano chiaramente:
a. cosa sia cambiato nelle loro dottrine filosofiche, socioeconomiche, e così via;
b. perché hanno operato tale cambiamento, e che rapporto ha questo cambiamento con la perestrojka.
3. Inoltre, è necessario che i partiti comunisti chiariscano in concreto:
a. come enunciano attualmente le loro posizioni in relazione alla libertà della Chiesa cattolica e, mutatis mutandis, delle altre religioni;
b. in che modo sono passati a concepire la libertà dei partiti politici, come pure delle diverse correnti filosofiche, politiche, culturali, e così via, alla luce dei diritti garantiti alla persona umana nel decalogo;
c. se hanno cambiato — e in cosa — le loro dottrine e i loro progetti legislativi relativamente alle istituzioni della famiglia, della proprietà e della libera iniziativa;
d. e, infine, se considerano questo loro new look come un ordine di cose dotato di una ragionevole stabilità, oppure come una semplice tappa di un processo evolutivo tendente verso altre posizioni;
e. in quest’ultimo caso, quali sono queste posizioni?
Senza questi chiarimenti, l’affrettata imbiancatura della facciata dei partiti comunisti con tinte socialiste non dà nessuna garanzia che i comunisti abbiano cambiato effettivamente dottrina.
V. Perché combattevano implacabilmente gli anticomunisti, che elevavano barriere contro la penetrazione della sciagura sovietica nei propri paesi?
Ma vi è stato qualcosa di ancor più grave. Perché questi leader comunisti sparsi nel mondo hanno unito alla fandonia ingannatrice del silenzio organizzato sul “paradiso” sovietico anche la denigrazione sistematica e instancabile, per sette decenni di seguito, di tutti coloro che — individui, gruppi oppure correnti — si impegnavano con dedizione a evitare per le proprie patrie l’infelicità sovietica, aprendo su di essa gli occhi dell’opinione pubblica?
Le reti interne a servizio del nemico moscovita
In quest’opera di diffamazione, torrenziale e continua come un diluvio, i partiti comunisti hanno avuto l’abilità di montare al proprio servizio intere reti di collaboratori, posti in categorie sociali non sospette di favorire il comunismo, ma che avevano nelle loro file un notevole numero di “utili idioti”, di abili esecutori della tattica del “cedere per non perdere”, e così via. Il tutto concepito e realizzato in ogni paese con le sfumature adatte alle circostanze locali.
Utili idioti: ecclesiastici, borghesi e politici che non attaccavano il comunismo, ma diffondevano incessantemente un diluvio di diffamazioni contro le organizzazioni anticomuniste
Gli utili idioti erano addestrati nell’estinguere l’idea della nocività del comunismo e della sua gravità come pericolo prossimo per ciascun paese. Utile idiota era di preferenza un ecclesiastico apparentemente conservatore, un borghese pacato e spensierato, un uomo politico che si sarebbe detto completamente assorbito negli intrighi, nelle futilità e nei maneggi senza riflessi ideologici del politicantismo, e così via. Nessuno di loro vedeva, nei media, neppure il poco da essi diffuso sui guasti interni del regime comunista. Non percepiva l’avanzata dell’offensiva rossa nella vita interna del paese. Non temeva per il futuro un golpe comunista e, ancor meno, una vittoria comunista. Viveva tranquillo e diffondeva attorno a sé la spensieratezza.
Tutto questo comportava che si creasse attorno all’anticomunismo un clima di prevenzione e di disprezzo, simmetrico e opposto al clima di simpatia e di fiducia che la sua stessa ingenuità — così raramente sincera — costituiva a vantaggio del comunismo.
Il comunismo non si è mai astenuto dal servirsi anche della collaborazione di stolti, dei quali la Scrittura dice che “infinitus est numerus” (4) nell’umanità in genere, e dei quali parvus est numerus nelle file rosse.
Si noti pure che, il più delle volte, gli utili idioti non prendevano l’iniziativa di parlare contro le personalità oppure contro gruppi anticomunisti, perché preferivano ignorarli sistematicamente.
Ma quando, in qualche cerchia, qualcuno riferiva un fatto sconveniente, attribuendolo a questo oppure a quel personaggio o gruppo anticomunista, l’utile idiota era quello che più rapidamente accreditava il fatto, che più se ne indignava, che più spesso presentava qualche particolare — verosimile oppure inverosimile — per “confermarlo”.
Al contrario, se qualcuno, nella stessa cerchia, raccontava un fatto che screditava un personaggio oppure un gruppo comunista, l’utile idiota, fornito dei dubbi sistematici di un metodo di analisi benevolo, si metteva immediatamente ad addurre circostanze attenuanti a favore dell’innocenza dell’incriminato, si spiaceva del rischio che indagini poliziesche eccessive turbassero la tranquillità delle famiglie delle persone in questo modo prese di mira, e così via. In tutto questo vi potrebbe essere una certa dose di equità e di buon senso; ma, soprattutto, di parzialità maliziosa e ben nascosta a favore del comunista. Questo appare evidente prendendo in considerazione il fatto che l’utile idiota aveva questi atteggiamenti melliflui solamente a vantaggio di figure e di gruppi di sinistra, e mai e poi mai a favore di figure di destra.
In tutto questo comportamento, l’abile utile idiota non pronunciava mai una parola favorevole al comunismo: era indispensabile alla sua azione perché, se avesse elogiato in qualcosa il comunismo, avrebbe destato sospetti, avrebbe smesso di sembrare ingenuo e, di conseguenza, avrebbe smesso di essere utile.
Compito di altri utili idioti
Altri utili idioti svolgevano un lavoro tattico specifico.
Anche loro non avrebbero mai dovuto dire una parola esplicita a favore del comunismo. Il loro compito essenziale consisteva nel “rinfocolare” il sinistrismo di tutti quanti non fossero ancora comunisti, quindi nel portarli a collaborare, benché soltanto parzialmente, con il rispettivo partito comunista. Per esempio, in un circolo di proprietari terrieri un poco fiaccamente contrari alla Riforma Agraria, questo tipo di utile idiota doveva solamente lamentare l’improduttività di certi latifondi, e spingere a un’azione antilatifondistica quanti concordavano con lui. Perciò, a un’azione agroriformistica che realizzasse, almeno in parte, il piano di Riforma Agraria integrale, che è la meta cui mira il comunismo.
In questo modo, i comunisti e gli utili idioti avrebbero costituito un fronte unico favorevole a una Riforma Agraria moderata.
Questa era solamente la prima tappa.
Infatti, in questo gruppo “moderato”, lo stesso utile idiota avrebbe “rinfocolato” alcuni a favore di un frazionamento confiscatorio anche di proprietà di media dimensione e non soltanto del latifondo. Era un invito implicito affinché, una volta ottenuto questo risultato, tutti i sinistrorsi si orientassero con lui, in un fronte unico, verso la nuova tappa, cioè la riforma confiscatoria di tutte le proprietà rurali, grandi oppure piccole.
Veniva così raggiunta la meta agraria finale del comunismo.
Altri collaboratori del comunismo
E, proseguendo, si potrebbe parlare di quanti applicano la tattica del “cedere per non perdere”, e così via. Ma questo allungherebbe soltanto in modo eccessivo il presente lavoro.
Per avere un quadro generale di cosa sia l’avanzata del comunismo in un paese è necessario avere almeno presente quanto è stato qui descritto.
Indubbiamente e soprattutto, l’aspetto sinistro di questo quadro consiste nello stesso aspetto sinistro del destino comunista preparato per il paese in esame.
Il tentativo di demolizione per mezzo della calunnia: il fallimento delle clamorose campagne propagandistiche contro la TFP brasiliana
Ma questo aspetto sinistro consiste anche nella sofisticata ingiustizia con la quale si cerca, per favorire l’avanzata del nemico, di coprire di calunnie mormorate e di fonte anonima, e così di trascinare nel fango della diffamazione, quanti avevano e hanno la “colpa imperdonabile” di difendere il paese contro coloro che vogliono imporre a esso la terribile sorte sotto il quale si contorce, grida e si rivolta un numero crescente di nazioni oppure di etnie prigioniere.
E, talora, queste aggressioni, ispirate e sostenute dal comunismo, quando non suscitate direttamente oppure indirettamente da esso, non si sono limitate a calunnie mormorate, ma sono cresciute al punto da assumere le proporzioni di autentiche campagne propagandistiche promosse con grande clamore contro la TFP brasiliana negli ultimi ventiquattro anni. Sono state in tutto dodici “esplosioni”, ciascuna delle quali si leva come un tifone devastatore, a cui sembra che la TFP non resisterà.
Questo tifone trova fin da subito l’appoggio di tutti i clan di utili idioti sparsi nel paese, con le loro diversificate e instancabili équipe di detrattori specialmente abituati a operare nell’ambito delle famiglie, delle sacrestie, dei club e dei gruppi professionali.
Mentre tutto mormora, tutto fermenta, tutto grida, la TFP prepara tranquillamente la sua replica. E quando questa vede finalmente la luce, sempre serena, cortese, ma implacabilmente logica, l’argomentazione della nostra associazione mette a tacere l’avversario. Questo non risponde quasi mai alla replica e si ritira nella sua tana. Lo stesso fanno i suoi sostenitori di ogni tipo e genere. Gradatamente, tutti “dimenticano” tutto: il nemico batte in ritirata senza che, nella maggior parte dei casi, la TFP abbia perduto un solo socio, collaboratore o corrispondente, un solo benefattore, amico o simpatizzante.
E, benché queste “esplosioni” tentino, per quanto possibile, di diffondersi in tutto il mondo, nulla ha impedito che la grande famiglia delle TFP consorelle e autonome — nel mondo contemporaneo il maggior insieme di organizzazioni dichiaratamente anticomuniste ispirate al Magistero tradizionale della Chiesa — continui a crescere. E in modo tale che attualmente esistono TFP in tutti i continenti.
Intanto sono arrivati i giorni di Gorbaciov, che stanno finendo in quello che si vede. E adesso la verità dei fatti nella Russia sovietica e nell’immenso insieme di nazioni soggiogate è evidente agli occhi di tutti.
Le TFP hanno il diritto di rendere pubbliche queste riflessioni, e di porre domande soprattutto ai loro oppositori più diretti, i leader comunisti dell’Occidente.
VI. La grande croce: lotta con i fratelli nella fede
Ma, per quanto queste riflessioni possano allungarsi, data la complessità del tema trattato, non potrebbero tralasciare un punto capitale.
Si tratta della lunga incomprensione — a tanti e tanti titoli dolorosa — con un grande numero di fratelli nella fede.
Da Pio IX a Giovanni Paolo II
Già nei giorni sofferti e gloriosi del pontificato di Pio IX (1846-1878) la raccolta dei documenti pontifici rivela l’opposizione radicale e insanabile fra la dottrina tradizionale della Chiesa, da una parte, e dall’altra i vaneggiamenti sentimentaloidi del comunismo utopistico, così come l’aggressione piena di livore e petulante del comunismo scientifico o marxista.
Questa incompatibilità si è solamente radicata durante i pontificati seguenti, come prova, per esempio, l’affermazione lapidaria di Pio XI, contenuta nell’enciclica Quadragesimo anno, del 1931: “[…] il socialismo […] si fonda su una dottrina della società umana tutta sua propria e discordante dal vero cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini antitetici: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista” (5). E, in modo ancor più notevole, il famoso decreto del 1949, della Sacra Congregazione del Santo Ufficio, promulgato per ordine di Pio XII, che vietava a tutti i cattolici di collaborare con il comunismo nei termini del decreto stesso e giungeva perfino a punire certe forme di collaborazione con la scomunica.
Tali atti pontifici miravano, da un lato, a impedire il travaso di cattolici nelle file del comunismo, ma anche l’infiltrazione dei comunisti negli ambienti cattolici con il pretesto di una collaborazione reciproca per risolvere determinati problemi socioeconomici.
Questo punto era particolarmente importante perché, tendendo la mano ai cattolici — “politica della mano tesa” — per questa ingannevole collaborazione, i comunisti dichiarati, e soprattutto gli utili idioti di tutte le sfumature, entravano in un rapporto di convivenza familiare e assidua con i cattolici, creando un clima propizio a sedurre, verso il pensiero e l’azione marxiste, un numero notevole di figli della Chiesa.
L’era della Ostpolitik vaticana
In tutta l’enorme macchina propagandistica del comunismo internazionale, dal Cremlino fino alla più spenta cellula comunista di villaggio, si cominciò a registrare, in tutto il mondo, una serie di atteggiamenti un poco distensivi, sia in relazione all’insieme delle nazioni libere dell’Occidente, sia in relazione alle diverse Chiese, e soprattutto in relazione alla santa Chiesa cattolica.
Da ciò un nuovo atteggiamento di quelle e di questa in relazione al mondo oltre la Cortina di Ferro. Tale mutamento era già divenuto visibile durante il pontificato dell’immediato successore di Pio XII, Papa Giovanni XXIII (1958-1963). E questa tendenza alla distensione si è prolungata fino ai nostri giorni ed è culminata nella recente visita di Gorbaciov a Giovanni Paolo II.
Nel 1969, con l’inaugurazione della Ostpolitik del cancelliere germanico Willy Brandt, questo termine tedesco è diventato di moda nei mezzi di comunicazione sociale. E così ha finito per essere applicato anche alla politica di distensione del Vaticano. In realtà, d’altronde, quest’ultima ha preceduto cronologicamente l’atteggiamento distensivo di Bonn.
Evidentemente, da Pio XII a Giovanni Paolo II, nella linea diplomatica del Vaticano relativamente al mondo comunista vi è stato un cambiamento enorme. Questo tema comporta indubbiamente aspetti dottrinali, che sono di competenza del Magistero supremo del Romano Pontefice. Ma la materia è essenzialmente diplomatica e, nei suoi aspetti strettamente tali, può essere oggetto di valutazioni diverse da parte dei fedeli.
Così, non dubitiamo di affermare che i vantaggi ottenuti dalla causa comunista con la Ostpolitik vaticana non sono stati soltanto grandi, ma letteralmente incalcolabili. Ne è esempio quanto accaduto nel Concilio Vaticano II (1962-1965).
Infatti, nell’atmosfera dell’incipiente Ostpolitik vaticana, furono invitati rappresentanti della Chiesa greco-scismatica — “ortodossa” — russa per seguire, in qualità di osservatori ufficiali, le sessioni di tale concilio. Quali vantaggi in ciò per la santa Chiesa? Per quanto si sa fino a questo momento, scarnissimi, scheletrici. Svantaggi? Ne ricordiamo soltanto uno.
Sotto la presidenza di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI si è riunito il concilio ecumenico più numeroso della storia della Chiesa. Era certo che in esso sarebbero stati trattati tutti i più importanti argomenti dell’attualità relativi alla causa cattolica. Fra questi argomenti non poteva non figurare — non poteva assolutamente! — l’atteggiamento della Chiesa di fronte al maggior avversario di quei giorni, un avversario tanto completamente opposto alla sua dottrina, tanto potente, tanto brutale, tanto astuto di cui la Chiesa non aveva incontrato l’uguale nella sua storia allora già quasi bimillenaria. Trattare dei problemi contemporanei della religione senza trattare del comunismo sarebbe qualcosa di tanto manchevole quanto riunire oggi un congresso mondiale di medici per studiare le principali malattie dell’epoca e omettere dal programma qualsiasi riferimento all’AIDS…
Perché questo l’Ostpolitik vaticana ha accettato da parte del Cremlino. Questo dichiarò che se, nelle sessioni del Concilio, si fosse dibattuto il problema comunista, gli osservatori ecclesiastici della Chiesa greco-scismatica russa si sarebbero ritirati definitivamente dall’importante assise. Una clamorosa rottura di rapporti che faceva tremare di compassione molte anime sensibili, perché tutto lasciava temere, a partire da ciò, una recrudescenza delle barbare persecuzioni religiose oltre la Cortina di Ferro. E, nell’ipotesi di questa possibile rottura, il Concilio non ha trattato dell’AIDS comunista!
La mano tesa era coperta da un bel guanto, il guanto vellutato della cordialità, ma, dentro al guanto, la mano era di ferro. Se ne rendevano conto le più alte autorità della Chiesa, ma questo non impedì che proseguissero l’Ostpolitik. Il che ha portato un crescente numero di cattolici ad assumere, rispetto al comunismo, un atteggiamento interiore equivalente a un’autentica “caduta delle barriere ideologiche”. E, sul terreno dell’azione concreta, a collaborare sempre più con le sinistre nell’offensiva contro il capitalismo privato e a favore del capitalismo di Stato, nell’illusione che il primo fosse opposto all’”opzione preferenziale per i poveri”, mentre il secondo avrebbe avuto diverse affinità — oppure perfino di più — con tale opzione tanto preconizzata dall’attuale Pontefice. Che crudele smentita ha inflitto loro il capitalismo di Stato!
La TFP nella bufera
Tutto questo accadere di fatti autenticamente drammatici non poteva non scuotere in profondità — se non fosse stato per la fiducia nella Vergine Santissima, si potrebbe dire meglio “angustiare in modo atroce” — i membri della TFP brasiliana. Perciò, già nella torbida e livida “alba” di questa crisi, il pugno di cattolici dal quale sarebbe nata in futuro la nostra associazione, diede l’allarme (6). Immediatamente ne derivò una generale grandinata di contrattacchi, il cui esito fu che un grande numero di ambienti cattolici — vivaio di futuri comunisti nelle agitazioni degli anni 1963-1964 — si chiudessero alla nostra azione. Così, ecumenici con tutto e con tutti, e soprattutto con i sinistrorsi, i cattolici di sinistra si rivelavano da allora inquisitori nei nostri confronti!
Si è così ingaggiata la parte più dolorosa della nostra lotta. All’inizio avevamo intrapreso questa lotta contro il lupo vorace; ora, la nostra stessa fedeltà alla Chiesa ci costringeva a condurla contro pecore dello stesso gregge. E, prova più dolorosa di ogni altra, perfino con pastori di questo o di quel gregge benedetto di Nostro Signore Gesù Cristo.
La TFP ha raccontato tutta questa lotta, così lunga e grondante di lacrime, di sudore e di sangue per le delusioni, in due libri, di cui uno recente (7): poiché sono alla portata di chiunque sia interessato, non è necessario riassumerli.
Ci si limiti a dire che, con il sostegno delle valorose e brillanti TFP allora esistenti, rispettivamente in Argentina, Bolivia, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Spagna, Stati Uniti, Uruguai e Venezuela, nel 1974 fu lanciato il documento, diretto a Paolo VI, intitolato A política de ditensão do Vaticano com os governos comunistas. Para a TFP: omitir-se ? ou resistir? (8), nel quale tutte le associazioni autonome consorelle si dichiaravano insieme a noi in stato di rispettosa resistenza alla Ostpolitik vaticana. Lo spirito che ci ha portato a questo — e che anima ancora le TFP e i Bureau attualmente costituiti complessivamente in ventidue paesi — si può riassumere in questo appello della stessa dichiarazione:“Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. solo non comandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo rosso che attacca. A questo si oppone la nostra coscienza”.
Requisitoria? No, appello fraterno
A voi, diletti fratelli nella fede, la cui vigilanza è stata traviata dall’inganno comunista oppure è sulla strada di traviarsi, non faremo nessuna domanda. Dal nostro cuore sempre sereno parte, verso di voi, un appello pieno di ardente affetto in Christo Domino: di fronte al terribile quadro che in questi giorni si delinea davanti ai vostri occhi, riconoscete, almeno oggi, di esser stati beffati. Bruciate quanto avete aiutato a vincere e combattete a fianco di quanti ancora oggi aiutate a “bruciare”.
Sinceramente, categoricamente, senza ambiguità tendenziose, ma con la franchezza tanto grandemente rispettabile che caratterizza la contrizione umile, voltate le spalle a quanti vi hanno crudelmente ingannato, e guardateci con lo sguardo rasserenato e fraterno di fratelli nella fede.
Questo è l’appello che vi lanciamo oggi. Esprime le nostre disposizioni di sempre, quelle di ieri come quelle di domani.
Nelle parole finali di questo documento la nostra voce si carica di emozione, la venerazione ci imbarazza, i nostri occhi filiali e riverenti si levano ora a Voi, Pastori venerabili che avete dissentito da noi. Dove trovare le parole di affetto e di rispetto atte a essere deposte nelle vostre mani — nei vostri cuori — in un momento come questo?
Non ne possiamo trovare di migliori — mutatis mutandis — delle stesse parole che, nel 1974, abbiamo rivolto a Paolo VI oggi defunto.
Le pronunciamo in ginocchio, chiedendo le vostre benedizioni e le vostre orazioni.
Abbiamo finito.
La TFP rivolge le varie domande, enunciate ai punti dal II al V e l’appello ai cattolici di sinistra, al punto VI, a proprio nome e sotto propria responsabilità, in questo documento pubblicato con l’approvazione unanime dei membri del suo Consiglio Nazionale.
Ovviamente, chiunque riceve domande — oppure quanti sono oggetto dell’appello — hanno il diritto di rispondere.
E, per l’ovvia ragione della vicinanza, questa risposta costituisce non soltanto un diritto, ma un dovere, per i leader comunisti dell’Occidente e della sinistra cattolica.
A loro, quindi, il nostro quesito finale: tacerete oppure parlerete?
A voi la parola.
Plinio Corrêa de Oliveira
Presidente del Consiglio Nazionale
della Sociedade Brasileira de Defesa
da Tradição, Família e Propriedade
San Paolo, 11 febbraio 1990
Festa della Madonna di Lourdes
(1) Cfr. Antonio Augusto Borelli Machado, Às aparições e a mensagem de Fátima conforme os manuscritos da Irmã Lúcia, 26a ed., Vera Cruz, San Paolo 1989, pp. 44-46 [trad. it., Le apparizioni e il messaggio di Fatima secondo i manoscritti di suor Lucia, 4a ed., Cristianità, Piacenza 1982, pp. 37-39 (ndr)].
(2) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su alcuni aspetti della “teologia della liberazione”, del 6-8-1984, XI, 10.
(3) Cfr. Vittorio Messori a colloquio con il Cardinale Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1985, p. 201.
(4) Eccl. 1,15.
(5) Pio XI, Enciclica Quadragesimo anno, del 15-5-1931, in Acta Apostolicae Sedis, vol. XXIII, p. 216.
(6) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Em defesa da Ação Católica, con una prefazione del Cardinale Benedetto Aloisi Masella, allora Nunzio Apostolico in Brasile, Editora Ave Maria, San Paolo 1943. L’opera fu poi oggetto di una significativa lettera di elogio scritta a nome di Papa Pio XII dal Sostituto della Segreteria di Stato di Sua Santità, monsignor Giovanni Battista Montini, più tardi Papa Paolo VI [cfr. il documento nella 2a ed. dell’opera, reprint, San Paolo 1983 (ndr)].
(7) Cfr. Meio século de epopéia anticomunista, Vera Cruz, San Paolo 1980; e Un homen, uma obra, uma gesta, Vera Cruz, San Paolo 1989.
(8) Cfr. Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade, La politica vaticana di distensione verso i governi comunisti, in Cristianità, anno II, n. 5, maggio-giugno 1974 (ndr)