Giovanna Sopianac, Maja Snajder, Cristianità n. 200 (1991)
Pochi giorni prima di concludere il suo mandato come segretario generale dell’Onu, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, a termine il 31 dicembre 1991, Javier Pérez de Cuéllar, in una lettera al ministro degli Esteri olandese Hans Van Den Broek, presidente di turno della CEE, la Comunità Economica Europea, a proposito di un eventuale riconoscimento dell’indipendenza di Slovenia e di Croazia da parte di alcuni Stati europei ha scritto: “Mi preoccupa il fatto che un riconoscimento affrettato e parziale possa allargare il conflitto in corso e rendere ancora più esplosiva la situazione, soprattutto in Bosnia-Erzegovina e in Macedonia. In realtà potrebbero derivarne conseguenze gravi per tutta la regione balcanica” (Avvenire, 13-12-1991). È almeno singolare che il responsabile dell’organismo internazionale il cui fine dovrebbe consistere nello scongiurare e nell’impedire conflitti fra gli Stati, qualifichi come “affrettato” un gesto che, a detta di osservatori equilibrati, avrebbe potuto evitare l’inizio della guerra se soltanto fosse stato compiuto nel corso dell’estate del 1991, quando l’aggressione al popolo croato da parte dell’esercito detto “federale” — in realtà, serbo-comunista — non aveva ancora raggiunto l’attuale livello, che fa del conflitto praticamente una guerra convenzionale. Come in occasione della guerra del Golfo, l’ONU si presta a coprire la volontà dei governi — e sono i più potenti del mondo — favorevoli al mantenimento dei popoli della Jugoslavia sotto la dominazione della Repubblica di Serbia e del partito socialista, ex comunista, sostenuti dal decisivo apporto dell’esercito federale, come è avvenuto — sia pure con diverse modalità —dalla fine della prima guerra mondiale fino ai nostri giorni.
Eppure la verità è ben nota: all’inizio del mese di dicembre del 1991, per esempio, l’agenzia americana UPI ha pubblicato un documento, in cui si fa stato del fatto che gli osservatori della CEE accusano i generali dell’esercito federale jugoslavo “di brutalità sistematica contro la Croazia i cui paesi vengono rasi al suolo, mentre gli abitanti vengono deliberatamente uccisi o scacciati dalle loro case. L’esercito, guidato dai serbi, sta portando avanti una violenta aggressione premeditata con lo scopo di distruggere tutto. Vengono colpiti indiscriminatamanete bersagli civili, chiese, scuole, musei, ospedali. La popolazione civile è terrorizzata sia dalle truppe regolari e irregolari serbe, sia dall’artiglieria militare e dai bombardamenti navali ed aerei” (cit. in L’Osservatore Romano, 5-12-1991).
L’unica colpa che si può imputare ai croati — se è una colpa — è di avere portato alle estreme conseguenze in breve tempo la propria legittima aspirazione all’indipendenza, credendo che il riconoscimento internazionale sarebbe venuto inevitabilmente, al massimo dopo qualche giorno di guerra, com’era accaduto nel caso della Slovenia. Ma ben più consistenti erano e sono gli interessi dell’esercito federale e del partito socialista di Slobodan Milosevic in Croazia — oggetto del progetto “grande serbo” — e così si spiega lo schieramento di forze diplomatiche e propagandistiche in diverse parti del mondo, sostanzialmente favorevoli all’aggressione militare dell’esercito federale. La guerra da parte della Serbia non può essere presentata con una qualche giustificazione morale perché appare troppo evidente chi sono gli aggressori e chi gli aggrediti: lo scopo allora di chi sostiene questa aggressione a danno di Croazia e di Slovenia — ma in verità anche contro tutte le altre repubbliche o regioni della ex Jugoslavia — consiste nell’”intossicare” il contesto, soprattutto facendo apparire la guerra come uno scontro fra “tribù balcaniche”, i croati altrettanto violenti dei serbi e cocciuti nelle loro pretese nazionalistiche. Eppure i governanti croati hanno concesso tutto quanto la comunità internazionale aveva richiesto come condizione per la cessazione delle ostilità, e cioè lo sblocco delle caserme dell’esercito federale che si trovano all’interno dei loro confini — permettendo così ai carri armati e ai soldati usciti da queste caserme di riprendere a combattere contro di loro — e ha anche accettato che l’eventuale presenza dei caschi blu dell’ONU si insediasse sulla linea che attualmente divide i contendenti — che non coincide evidentemente con i confini fra Croazia e Serbia. Tutto questo non è servito a far cessare la guerra, che smetterà quando lo decideranno i serbi, ai quali l’inviato personale di Javier Pérez de Cuéllar, l’ex segretario di Stato americano Cyrus Vance, ha di fatto concesso di scegliere la data del termine delle ostilità, sostenendo la tesi pittoresca che le forze dell’ONU interverranno quando comincerà la tregua, cioè quando i più forti dal punto di vista militare, i serbi, decideranno di aver ottenuto i loro scopi e decreteranno la fine della guerra di aggressione.
Anche in Italia l’intossicazione da parte della diplomazia e dei mezzi di comunicazione sociale è stata ed è messa in opera con abilità, e ha raggiunto un vertice di disinformazione con la trasmissione Mixer, diretta da Giovanni Minoli, andata in onda lunedì 2 dicembre 1991 su RAI 2, una trasmissione già nota come ripetitore nazionale dell’Orchestra Rossa, per esempio in occasione della visita in Italia di Armando Valladares Pérez nel 1986.
A proposito del più recente exploit trascriviamo un testo comparso in Avvenire del 4 dicembre 1991, nella rubrica Testimonianze, con il titolo — evidentemente erroneo — Bimbi croati uccisi, una menzogna, a firma di Giovanna Sopianac e di Maja Snajder, con piccole aggiunte suggerite dalle stesse autrici: in esso vengono contestate molte affermazioni fatte nel corso della trasmissione televisiva citata. Prima di passare a questa testimonianza merita di essere messa in risalto la scorrettezza di fondo degli autori della trasmissione, che nel presentare gli eccidi della guerra, hanno “dimenticato” che la Croazia è un paese assediato da un esercito e da guerriglieri serbo-comunistii, e che la città di Vukovar è stata completamente rasa al suolo dai bombardamenti dell’esercito federale.
In un mondo che pratica il culto della democrazia come regime nel quale la “legge del più forte” equivale alla “legge della maggioranza”, ci si aspetterebbe che non solo gli uomini politici e i ministri degli Esteri, ma anche i giornalisti portassero un certo rispetto alla decisione di un popolo che, come quello croato, ha scelto plebiscitariamente di essere libero e indipendente. Ma, evidentemente, la coerenza non fa parte delle regole del gioco.
Lunedì 2 dicembre ultimo scorso è andato in onda su Rai 2 Mixer, il settimanale di informazione condotto da Giovanni Minoli. Nello spazio riservato alla guerra in Croazia i responsabili del programma hanno cercato di fare i furbi, ma sono stati solo maldestri e la loro cattiva fede è stata così evidente da offendere tutti i telespettatori che hanno seguito la trasmissione e che sono a conoscenza della tragedia che si sta consumando in Croazia. Milena Gabanelli, serba, regista di professione, coniugata con un italiano, inviata a Vukovar da Mixer come “giornalista”, ha cercato di svolgere il suo lavoro con abilità, ma non ha convinto nessuno. Nel filmato ripreso con la sua telecamera mostrava immagini di distruzione e di morte in un territorio croato distrutto e occupato dai comunisti serbi. E non si è capito bene se ha avuto una malcelata e spudorata intenzione di addossare la responsabilità di questi genocidi agli stessi croati.
Ospite per dieci giorni di Arkan, un mercenario serbo (ricercato dall’Interpol per crimini commessi all’estero), è stata condotta in tarda serata in uno scantinato buio a Borovo Navelje, un sobborgo di Vukovar, per farle intravvedere cadaverini inesistenti di bimbi massacrati dai croati o dagli ustascia, come li ha ripetutamente chiamati la “giornalista” (da non dimenticare che da Vukovar, prima che fosse bombardata dagli aggressori di Belgrado, sono stati fatti evacuare intere famiglie, donne, bimbi e anziani serbi). E Rai 2 ha mandato in onda questa trasmissione pur sapendo molto bene che era stata resa nota ufficialmente una categorica smentita da parte della Reuter e dal fotografo serbo che aveva divulgato la falsa notizia del massacro degli innocenti.
A prova di ciò la sparizione durante la notte dei fantomatici cadaverini, affinché nessuno potesse verificare e mettere in luce la spudorata menzogna di questi serbi senza scrupoli. I responsabili di Mixer hanno cercato di arrampicarsi sugli specchi, affermando che la smentita era stata fatta dagli stessi serbi per non “aizzare” i loro compagni contro i croati. È assurdo e paradossale perché sappiamo tutti molto bene che Belgrado fino ad ora non ha fatto altro.
Quanto è stata disgustosa quell’intervista che la nostra “giornalista” ha effettuato ad una povera donna croata prigioniera, con evidenti segni di violenze sul volto, torturata ed obbligata ad accusarsi di crimini non commessi e addirittura costretta a dichiarare di essere stata istigata ad uccidere dal parroco del suo paese! Questa “giornalista” così sensibile ha avuto anche l’impudenza di chiedere a quella povera prigioniera croata perché ce l’avesse tanto con i serbi. Al danno voleva aggiungere anche la beffa. L’intervista aveva tutta l’aria di somigliare a quella che hanno dovuto subire il nostro Cocciolone e gli alleati prigionieri in Irak, quando sono stati obbligati dopo torture a rilasciare dichiarazioni non vere e che non pensavano. Nessuna parola di condanna ha proferito Milena Gabanelli, l’emotiva “giornalista”, contro i serbi aggressori, che hanno ridotto città e villaggi ad un cumulo di macerie causando migliaia di morti. Questi feroci assassini, assetati di sangue e forti della loro supremazia bellica in cielo, in terra e in mare, che hanno iniziato questa guerra impari in Croazia con il solo obiettivo di conquistare territori croati che non sono mai appartenuti alla Serbia come la Dalmazia e la Slavonia!
Quella di Milena Gabanelli è stata una sporca operazione di propaganda serba e Rai 2 si è resa correa di questa pagliacciata. È intollerabile il suo comportamento ed è ancora più intollerabile che i partiti esercitino il loro potere devastante e ambiguo anche sull’informazione, col divulgare notizie incontrollate o addirittura false. Questo modo così subdolo di fare informazione infanga la categoria dei giornalisti onesti, ma soprattutto è inaccettabile che un’azienda pubblica italiana, come Rai 2, sia complice di una Belgrado comunista e della violazione dell’Atto di Helsinki e della Carta di Parigi, pur sapendo bene, come ha ribadito diverse volte il Papa Karol Wojtyla, che “non si possono e non si devono soffocare con la forza i diritti e le legittime aspirazioni dei popoli”.
La Croazia è vittima dell’Europa che ha deciso questa sporca e schifosa linea di condotta politica e dei suoi responsabili, che unitamente ai serbi e a coloro che ammazzano impunemente saranno “i maledetti da Dio”, perché calpestano valori universali: la libertà, la giustizia e i diritti sovrani dell’uomo.
Giovanna Sopianac
Maja Snajder