Il 6 aprile 1969 Papa Paolo VI promulga un nuovo ordinamento della Messa, il cosiddetto Novus Ordo Missae, che suscita polemiche e contestazioni, dal momento che non pochi vedono nella riforma del rito eucaristico un grave attentato contro la fede. L’accusa è, sostanzialmente, di “protestantizzazione della Santa Messa”, e la sua formulazione storicamente – ma anche ecclesialmente – più rilevante è costituita dal Breve esame critico del “Novus Ordo Missae”, presentato al Santo Padre Paolo VI dai cardinali Antonio Bacci e Alfredo Ottaviani (cfr: Cristianità, anno IV, n. 19-20, settembre-dicembre 1976). Questa accusa , che è ancora di molti all’interno della Chiesa e che è stata certamente una delle cause determinanti dell’atto scismatico posto da S.E. mons. Marcel Lefebvre il 30 giugno 1988, si può così articolare: il nuovo rito della Messa fa proprie posizioni protestanti in tema di eucaristia; in particolare, 1. riduce il sacrificio eucaristico a “memoriale”, cioè a semplice commemorazione del sacrificio del Calvario; 2. diluisce la presenza reale sostanziale di Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino in una presenza solo morale come quella che si realizza quando “due o tre si riuniscono nel suo nome” (cfr. Mt. 18,20); 3. esalta il sacerdozio dei fedeli facendo del sacerdote-ministro un semplice “presidente dell’assemblea”. Quindi l’abbandono della lingua latina e l’altare versus populum sono solo conseguenze di queste posizioni teologiche fondamentali, la cui logica conclusione si rivela nella confusione liturgica che ha fatto seguito alla riforma.
Queste polemiche e queste contestazioni – non il Novus Ordo Missae in sé – costituiscono l’oggetto dello studio “Novus Ordo Missae” e Fede Cattolica, di don Piero Cantoni.
Nato il 19 aprile 1950 a Piacenza, dove frequenta le scuole superiori, Piero Cantoni si laurea a pieni voti in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel luglio del 1975, con una tesi su san Bonaventura, discussa con la professoressa Sofia Vanni Rovighi. Nel settembre dello stesso anno entra nel Seminario Internazionale San Pio X, fondato da mons. Marcel Lefebvre a Ecône, nel cantone svizzero del Vallese, all’inizio degli anni Settanta; vi compie il normale curriculum di studi teologici e quindi vi svolge attività di insegnamento. Ordinato sacerdote dall’arcivescovo francese nel dicembre del 1978, nel giugno del 1981 lascia Ecône ed esce dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X per motivi di coscienza sostanzialmente dovuti al progressivo profilarsi di un atteggiamento scismatico della Fraternità stessa e a una personale maturazione spirituale e intellettuale. Incardinato nella diocesi di Apuania, allora retta da S.E. mons. Aldo Forzoni, nell’ottobre del 1984 consegue la licenza in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense con una ricerca su “Novus Ordo Missae” e Fede Cattolica, sotto la guida del professor Brunero Gherardini. Attualmente è parroco in diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, svolge attività di insegnamento presso il seminario diocesano Santi Ambrogio e Carlo di Massa, e presso l’Istituto Filosofico-Teologico Santi Cirillo e Metodio di Vallo della Lucania, ed è impegnato in una ricerca sulla natura e il valore del Magistero ordinario della Chiesa. Tiene conferenze, soprattutto promosse da Alleanza Cattolica, e collabora con articoli e con studi a Cristianità e a Renovatio.
“Novus Ordo Missae” e Fede Cattolica si articola in otto capitoli preceduti da una Prefazione (pp. 3-4) e da una Introduzione (pp. 5- 13) e seguiti da una Conclusione (pp. 143-146), da un’Appendice con i documenti del Magistero che costituiscono il contesto remoto del nuovo ordinamento della Messa (pp. 147- 168) e da una Bibliografia (pp. 169-176). Nel primo capitolo – Cattolicesimo e protestantesimo a confronto. Breve premessa storica (pp. 15-38) – l’autore traccia uno schizzo storico- dottrinale relativo alla controversia protestantica in tema di eucaristia e di Messa; nel secondo – Un problema di interpretazione (pp. 39-45) – pone indispensabili premesse relativamente ai criteri ermeneutici; quindi passa a esaminare le diverse accuse rivolte alla riforma liturgica prendendo come punto di riferimento non soltanto il Breve esame critico del “Novus ordo Missae”, ma anche la meditata e ponderosa opera di Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, La nouvelle Messe de Paul VI: Qu’en penser? (trad. francese, Diffusion de la Pensée Française, Chiré-en-Montreuil 1975), avendo però ben presente tutta la ricca letteratura sul tema, che – con altri scritti – compare nella bibliografia. Don Piero Cantoni tenta di delineare con la massima chiarezza la dottrina cattolica sui punti oggetto di polemica, in particolare per quanto questa dottrina si differenzia dalle posizioni protestanti: così, nel terzo capitolo – “Sacrificium Missae. Memoriale mortis Domini” (pp. 47-57) – emerge che non il concetto di “memoriale” in sé – concetto assolutamente biblico e tradizionale – costituisce una deviazione dogmatica, ma la concezione di “memoria vuota”. Infatti il Concilio di Trento non condanna la Messa-memoriale – che, fra l’altro, costituisce il perno della teologia sacrificale di san Tommaso d’Aquino – ma la Messa intesa come “nuda commemorazione”. Nel quarto capitolo – “Novus Ordo Missae” e sacrificio (pp. 59-70) – l’autore mostra che il nuovo ordinamento dell’eucaristia riprende il termine “memoriale”, lasciato in ombra dalla teologia post-tridentina dopo l’abuso fattone dai protestanti, ma lo riprende nel suo senso pieno e cattolico di “rendere di nuovo presente”: il memoriale del sacrificio é sacrificio “ri-presentato”.
Quanto al problema della presenza reale – affrontato nel quinto capitolo, “Novus Ordo Missae” e presenza reale (pp. 71-80) -, esso si esaurisce quasi completamente nell’uso o meno del termine chiave “transustanziazione”, termine introdotto in un Proemio del Messale insieme al mutamento dell’introduzione e delle rubriche effettuata il 26 marzo 1970, proprio in seguito alle critiche mosse al testo promulgato il 6 aprile 1969. A livello rituale la fede nella presenza reale sostanziale è resa evidente dalla pratica dell’adorazione eucaristica, che le nuove rubriche continuano a raccomandare e che le posizioni protestanti più significative continuano a negare.
Anche il punto relativo al sacerdozio – esposto nel sesto capitolo, “Novus Ordo Missae e sacerdozio ministeriale (pp. 81-98) – viene illuminato di una luce tutta particolare dalle premesse storiche: ciò che distingue cattolicesimo e protestantesimo non è l’attribuzione o meno ai fedeli di un sacerdozio vero e proprio, ma il riconoscimento, da parte cattolica, di una differenza essenziale e non soltanto di grado fra il sacerdozio comune e quello ministeriale. E il Novus Ordo Missae, pur accentuando il valore e l’importanza del sacerdozio dei fedeli, continua a mantenere l’imprescindibile differenza che fa del sacerdote-ministro colui che, solo, agisce nella persona di Cristo capo. Questa dottrina diventa ritualmente evidente nella pratica della Messa “senza il popolo”, che le nuove rubriche conservano e che mette inequivocabilmente in luce come la presenza dei fedeli non sia indispensabile.
Accanto alla sostanza dell’argomentazione, nel capitolo ottavo dell’opera – Testi liturgici a diretto confronto (pp. 111-141) – l’autore svolge anche un esame accurato, sempre secondo il punto di vista da cui in essa si pone, delle introduzioni e delle rubriche del Novus Ordo Missae nonché delle preghiere eucaristiche poste a diretto confronto con le liturgie “storiche” del protestantesimo come pure con le più recenti espressioni liturgiche evangeliche e riformate. Un importante capitolo – il settimo, intitolato “Novus Ordo Missae” e infallibilità (pp. 99-110) – è poi dedicato al problema dell’infallibilità della Chiesa in una materia tanto delicata come quella liturgica.
Pur giungendo alla conclusione che il Novus Ordo Missae è, senza ombra di dubbio, un rito cattolico “che rappresenta, rispetto alla sostanza del mistero celebrato un cambiamento soltanto accidentale, espressione di un avvicinamento ecumenico, che può essere discutibile nella “politica” che sottintende, ma non può essere accusato di compromesso dogmatico” (p. 146), don Piero Cantoni non si astiene dal formulare anche critiche. Infatti l’opera intende avere natura apologetica, vuol essere una “perorazione per la Chiesa” e l’autentica apologetica conosce solamente un’arma, quella della verità: “Petro non eget nostro mendacio”, “Pietro non ha bisogno della nostra menzogna”. Così viene rilevato un eccessivo sbilanciamento ecumenico e anche il fatto che il modo con cui il nuovo rito ha visto la luce, cioè come elaborazione ex novo, “a tavolino”, da parte di “esperti”, è sconosciuto alla tradizione liturgica; e si tratta di un modo che, in moltissimi casi, ha offeso la pietà popolare e ha rischiato di offuscare quel senso della continuità che è l’anima della Tradizione e vita della Chiesa, in quanto legame vivente con l’origine che è Cristo.
Alfredo Morselli