Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi statunitensi di Baltimore, Washington, Atlanta e Miami in visita ad limina Apostolorum, del 2-7-1993, nn. 2-6, in L’Osservatore Romano, 4-7-1993. Titolo e traduzione redazionali.
La frammentazione che caratterizza il vivere moderno ha causato un certo indebolimento del senso di appartenenza alla comunità parrocchiale, in particolare dove vi è stata polarizzazione su temi riguardanti la dottrina e la liturgia. I sacerdoti e il laicato devono compiere un grande sforzo per rinnovare la vita parrocchiale nell’immagine della Chiesa stessa, come una comunione che beneficia dei doni e dei carismi complementari di tutti i suoi membri. La comunione è una realtà che implica uno scambio costante di doni e di servizi fra tutti i membri del popolo di Dio. La vitalità di una parrocchia dipende dalla fusione delle diverse vocazioni e dei diversi doni dei suoi membri in una unità che manifesta la comunione di ciascuno e di tutti insieme con Dio Padre attraverso Cristo, costantemente rinnovata dalla grazia dello Spirito Santo.
Il punto di partenza è la consapevolezza, da parte dei sacerdoti, dei laici e dei religiosi, del fatto che i loro doni — gerarchici e carismatici (cfr. Lumen gentium, n. 4) — sono diversi sebbene complementari; e del fatto che essi sono tutti necessari “per edificare il corpo di Cristo” (Ef. 4, 12). Durante i nostri colloqui, alcuni Vescovi hanno sottolineato che, a volte, l’enfasi posta sull’uguaglianza battesimale — una verità profondamente radicata nella tradizione della Chiesa — porta a sminuire la reale distinzione fra il sacerdozio regale di tutti i credenti e il sacerdozio ministeriale conferito dall’ordinazione sacramentale. È necessario insistere sul fatto che la differenza “nell’essenza” (Lumen gentium, n. 10) fra di essi non ha nulla a che fare con il “potere” inteso in termini di privilegio o di dominio. Entrambi derivano dall’unico sacerdozio di Cristo e si completano l’un l’altro, ordinati come sono al servizio vicendevole (cfr. Pastores dabo vobis, n. 17).
La comunione autentica implica un amore reciproco (cfr. 1 Gv. 4, 12-13) che assicura che il clero e il laicato si aiutino reciprocamente rispettando l’identità di ognuno. Ciò che chiamate “ministero collaborativo”, quando è completamente fedele alla dottrina sacramentale della Chiesa, fornisce un saldo fondamento per la costruzione di comunità che sono internamente riconciliate, e le cui energie spirituali vengono impegnate positivamente per la nuova evangelizzazione (cfr. Redemptoris missio, n. 3).
3. È una benedizione per la Chiesa il fatto che in così tante parrocchie i fedeli laici assistano i sacerdoti in vari modi: nell’educazione religiosa, nella consulenza pastorale, nelle attività di servizio sociale, nell’amministrazione, e così via. Questa accresciuta partecipazione è indubbiamente un’opera dello Spirito che rinnova il vigore della Chiesa. In alcuni casi, dove una temporanea scarsità di sacerdoti lo renda necessario, i membri del laicato possono essere resi responsabili dell’amministrazione di una parrocchia secondo le norme canoniche (cfr. CIC, can. 517, 2; Christifideles laici, n. 23). Quando si verificano queste situazioni, i Vescovi hanno il delicato compito di provvedere affinchè i fedeli non confondano queste responsabilità “ministeriali” con la specifica sacra potestas propria del sacerdozio ordinato.
Non è una strategia pastorale saggia quella di adottare piani che assumono come normale, per non dire desiderabile, una comunità parrocchiale senza un sacerdote pastore. Interpretare il calo di sacerdoti attivi — una situazione che preghiamo termini al più presto — come un segno provvidenziale del fatto che i laici devono prendere il posto dei sacerdoti è inconciliabile con il pensiero di Cristo e della Chiesa. Il sacerdozio regale dei laici non deve venir incoraggiato oscurando il sacerdozio ministeriale degli ordinati, grazie al quale i sacerdoti non solo celebrano l’Eucaristia, ma sono anche padri spirituali, guide e maestri dei fedeli che sono stati loro affidati.
4. Lo sviluppo negli Stati Uniti di quanto viene comunemente definito “ministero dei laici” è certamente un risultato positivo e fecondo del rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II. Particolare attenzione deve essere accordata alla formazione spirituale e dottrinale di tutti i ministri laici. In ogni caso essi devono essere uomini e donne di fede, esemplari nella vita personale e familiare, che con amore abbracciano “il pieno e integrale annuncio della Buona Novella” (Reconciliatio et paenitentia, n. 9) trasmessa dalla Chiesa. Sono necessarie chiare direttive diocesane per la formazione iniziale e permanente dei laici, che sono ufficialmente coinvolti nella vita parrocchiale e diocesana. Ma le direttive devono essere correttamente applicate, e questo costituisce una sfida alla vostra guida.
Come vi ho detto durante la mia ultima visita pastorale negli Stati Uniti, una corretta ecclesiologia deve sforzarsi di evitare di “laicizzare” il sacerdozio ordinato o di “clericalizzare” la vocazione laicale (cfr. Discorso ai fedeli laici, 18 settembre 1987, n. 5). I laici devono essere consapevoli della propria posizione all’interno della Chiesa, che non è quella di semplici destinatari della dottrina e della grazia dei sacramenti, ma di attivi e responsabili operatori della missione della Chiesa nell’evangelizzare e nel santificare il mondo. È compito in particolare dei fedeli laici portare la verità del Vangelo per influire sulle realtà della vita sociale, economica, politica e culturale. Essi hanno lo specifico compito della santificazione del mondo dall’interno impegnandosi nell’attività secolare (cfr. Lumen gentium, n. 31; Christifideles laici, n. 15). Il loro compito è di ordinare la società alla pienezza che dimora in Cristo (cfr. Col. 1, 19), sempre in comunione di fede e disciplinare con i Vescovi che “presiedono in luogo di Dio al gregge […] quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo” (Lumen gentium, n. 20). Probabilmente, come sottolinea l’esortazione apostolica Christifideles laici, dovrebbe essere prestata un’attenzione maggiore, nella catechesi e nella predicazione, a “l’inserimento profondo e la partecipazione piena di fedeli laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana” (n. 15), in modo che i laici possano meglio comprendere che questo è il loro apostolato primario all’interno della Chiesa. Essi necessitano del vostro costante incoraggiamento. Si aspettano dai loro Vescovi che li rafforzino nella santità e li guidino con un insegnamento autentico, lasciando loro, nello stesso tempo, spazio per iniziative e libertà di azione nel mondo (cfr. Apostolicam actuositatem, n. 7).
5. Una questione strettamente legata al discorso che stiamo ora facendo, è quella relativa al ruolo delle donne nella vita della Chiesa, un problema che deve essere affrontato con la chiara consapevolezza della sua importanza. Allo stesso tempo la questione, così come interessa la Chiesa, è influenzata dal fatto che la posizione e il ruolo delle donne nella società in generale stanno subendo profonde trasformazioni. Il rispetto dei diritti delle donne è senza dubbio un passo essenziale verso una società più giusta e più matura, e la Chiesa non può mancare nel fare proprio questo giusto obiettivo. La vostra Conferenza Episcopale ha prestato molta attenzione alla posizione delle donne nella società e nella Chiesa e voi continuerete ad agire in tal senso. Altre Conferenze Episcopali e io stesso abbiamo parlato e scritto ampiamente sull’argomento. Tuttavia, in alcuni ambienti sussiste ancora un clima di insoddisfazione nei confronti della posizione della Chiesa, in particolare dove la distinzione fra diritti umani e civili di una persona e i diritti, i doveri, i ministeri e le funzioni che gli individui hanno o dei quali usufruiscono all’interno della Chiesa non è chiaramente compresa. Un’ecclesiologia erronea può facilmente condurre a presentare false necessità e a suscitare false speranze.
La questione non può essere certamente risolta attraverso un compromesso con un femminismo che si polarizza su posizioni ideologiche intransigenti. Non si tratta semplicemente del fatto che alcune persone rivendicano per le donne un diritto a essere ammesse al sacerdozio ordinato. Nella sua forma estrema, è la stessa fede cristiana che rischia di essere minata. Talvolta, forme di culto della natura e la celebrazione di miti e di simboli prendono il posto dell’adorazione del Dio rivelato in Gesù Cristo. Purtroppo questo tipo di femminismo viene incoraggiato da alcune persone nella Chiesa, comprese alcune religiose, le cui convinzioni, atteggiamenti e comportamento non corrispondono più a quanto insegnano il Vangelo e la Chiesa. Come Pastori dobbiamo opporci a individui e a gruppi che possiedono tali convinzioni e chiamarli al dialogo onesto e sincero, che deve continuare all’interno della Chiesa, in relazione alle aspettative delle donne.
6. Quanto al non ammettere le donne al sacerdozio ministeriale, “è questa una disposizione che la Chiesa ha sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana, di Gesù Cristo” (Christifideles laici, n. 51). La Chiesa insegna e opera confidando nella presenza dello Spirito Santo e nella promessa del Signore di essere sempre con lei (cfr. Mt. 28, 20). “Quando essa ritiene di non poter accettare certi cambiamenti, è perchè sa di essere legata al modo di agire di Cristo. Il suo atteggiamento […] è quello della fedeltà” (Inter Insignores, n. 4). L’uguaglianza dei battezzati, che è una delle grandi affermazioni del cristianesimo, esiste in un corpo differenziato, nel quale uomini e donne hanno ruoli che non sono puramente funzionali, ma sono profondamente radicati nell’antropologia e nella sacramentaria cristiane. La distinzione dei ruoli in nessun modo favorisce la superiorità degli uni sugli altri; il dono migliore di tutti, che può e deve essere desiderato, è la carità (cfr. 1 Cor. 12-13). Nel Regno dei Cieli i più grandi non sono i ministri, ma i santi (cfr. ibid. 6).
Sono consapevole della grande attenzione e della riflessione animata dalla preghiera che continuerete a rivolgere a queste difficili questioni e invoco su di voi i doni dello Spirito Santo mentre operate per presentare una concezione antropologica ed ecclesiologica pienamente cristiana del ruolo delle donne, sia per il rinnovamento e per l’umanizzazione della società, sia per la riscoperta, da parte dei credenti, del vero volto della Chiesa (cfr. ibid.). Come Vescovi, siamo chiamati a offrire a uomini e donne, allo stesso modo, l’insegnamento della Chiesa nella sua pienezza in relazione al sacerdozio ordinato. Sarebbe un tradimento nei loro confronti se non lo facessimo. Dobbiamo aiutare coloro che non comprendono o non accettano l’insegnamento della Chiesa ad aprire i loro cuori e le loro menti alla sfida della fede. Dobbiamo confermare e rafforzare la comunità intera reagendo, quando è necessario, alla confusione o all’errore.
Giovanni Paolo II