Benedetto XVI, Cristianità n. 347-348 (2008)
Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, nel 40° anniversario dell’enciclica Humanae vitae, del 9-5-2008, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 11-5-2008. © Copyright 2008-Libreria Editrice Vaticana. Titolo redazionale ricavato dal testo.
Già il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et spes, si rivolgeva agli uomini di scienza sollecitandoli ad unire gli sforzi per raggiungere un’unità del sapere e una certezza consolidata circa le condizioni che possono favorire una “onesta regolazione della procreazione umana” (GS, 52). Il mio Predecessore di venerata memoria, il Servo di Dio Paolo VI, il 25 luglio del 1968, pubblicava la Lettera enciclica Humanae vitae. Quel documento divenne ben presto segno di contraddizione. Elaborato alla luce di una decisione sofferta, esso costituisce un significativo gesto di coraggio nel ribadire la continuità della dottrina e della tradizione della Chiesa. Quel testo, spesso frainteso ed equivocato, fece molto discutere anche perché si poneva agli albori di una profonda contestazione che segnò la vita di intere generazioni. A quarant’anni dalla sua pubblicazione quell’insegnamento non solo manifesta immutata la sua verità, ma rivela anche la lungimiranza con la quale il problema venne affrontato. Di fatto, l’amore coniugale viene descritto all’interno di un processo globale che non si arresta alla divisione tra anima e corpo né soggiace al solo sentimento, spesso fugace e precario, ma si fa carico dell’unità della persona e della totale condivisione degli sposi che nell’accoglienza reciproca offrono se stessi in una promessa di amore fedele ed esclusivo che scaturisce da una genuina scelta di libertà. Come potrebbe un simile amore rimanere chiuso al dono della vita? La vita è sempre un dono inestimabile; ogni volta che si assiste al suo sorgere percepiamo la potenza dell’azione creatrice di Dio che si fida dell’uomo e in questo modo lo chiama a costruire il futuro con la forza della speranza.
Il Magistero della Chiesa non può esonerarsi dal riflettere in maniera sempre nuova e approfondita sui princìpi fondamentali che riguardano il matrimonio e la procreazione. Quanto era vero ieri, rimane vero anche oggi. La verità espressa nell’Humanae vitae non muta; anzi, proprio alla luce delle nuove scoperte scientifiche, il suo insegnamento si fa più attuale e provoca a riflettere sul valore intrinseco che possiede. La parola chiave per entrare con coerenza nei suoi contenuti rimane quella dell’amore. Come ho scritto nella mia prima Enciclica Deus caritas est: “L’uomo diventa realmente se stesso quando corpo e anima si ritrovano in intima unità… Non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima” (n. 5). Tolta questa unità si perde il valore della persona e si cade nel grave pericolo di considerare il corpo come un oggetto che si può comperare o vendere (cfr ibid.). In una cultura sottoposta alla prevalenza dell’avere sull’essere, la vita umana rischia di perdere il suo valore. Se l’esercizio della sessualità si trasforma in una droga che vuole assoggettare il partner ai propri desideri e interessi, senza rispettare i tempi della persona amata, allora ciò che si deve difendere non è più solo il vero concetto dell’amore, ma in primo luogo la dignità della persona stessa. Come credenti non potremmo mai permettere che il dominio della tecnica abbia ad inficiare la qualità dell’amore e la sacralità della vita.
Non a caso Gesù, parlando dell’amore umano, si richiama a quanto operato da Dio all’inizio della creazione (cfr Mt 19, 4-6). Il suo insegnamento rimanda a un atto gratuito con il quale il Creatore ha inteso non solo esprimere la ricchezza del suo amore, che si apre donandosi a tutti, ma ha voluto anche imprimere un paradigma sul quale l’agire dell’umanità deve declinarsi. Nella fecondità dell’amore coniugale l’uomo e la donna partecipano all’atto creativo del Padre e rendono evidente che all’origine della loro vita sponsale vi è un “sì” genuino che viene pronunciato e realmente vissuto nella reciprocità, rimanendo sempre aperto alla vita. Questa parola del Signore permane immutata con la sua profonda verità e non può essere cancellata dalle diverse teorie che nel corso degli anni si sono succedute e a volte perfino contraddette tra loro. La legge naturale, che è alla base del riconoscimento della vera uguaglianza tra le persone e i popoli, merita di essere riconosciuta come la fonte a cui ispirare anche il rapporto tra gli sposi nella loro responsabilità nel generare nuovi figli. La trasmissione della vita è iscritta nella natura e le sue leggi permangono come norma non scritta a cui tutti devono richiamarsi. Ogni tentativo di distogliere lo sguardo da questo principio rimane esso stesso sterile e non produce futuro.
Benedetto XVI