di Chiara Mantovani
Si direbbe che al Signore piaccia “giocare” un po’ con le date.
«Vi sono, nella storia dei popoli, date emblematiche», ha osservato il fondatore di Alleanza Cattolica Giovanni Cantoni (in L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Saggio introduttivo a Plinio Corrêa de Oliveira [1908-1995], Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Piacenza 1977), date «che ricordano le gesta di questa o di quella generazione». Ci è insomma caro e consueto rintracciare anniversari significativi nel dipanarsi dei giorni e degli eventi: 1517, 1789, 1917, 1989… Nella densità della decade “17” cade oggi un’altra ricorrenza suggestiva e ‒ dal momento che è mariana ‒ anche esortativa mentre consola.
Siamo in Brasile, giusto trecento anni orsono, anno di grazia 1717, 12 ottobre (anniversario della scoperta dell’America, in cui trova il Brasile, un’altra data…). Alcuni pescatori vengono incaricati di procurare il pesce per il banchetto del giorno dopo, 13 ottobre, in occasione della visita del conte di Assumar, don Pedro di Almeida e del Portogallo, governatore della provincia di San Paolo. I tre, Domingos Garcia, Filipe Pedroso e João Alves, si recano così a pescare nel fiume Paraíba. Nemmeno a pensarlo, non c’è verso di riempire le reti. Pagaiano fino quasi alla foce del fiume e, all’ennesima gettata, Alves trova nella rete una statua della Madonna, priva però della testa. Getta nuovamente le reti e questa volta trova anche testa della statua. All’ennesima, ultima gettata, la pesca diventa abbondantissima: chissà se si chiesero se le reti avrebbero retto tanto peso… Rimessa la testa sul busto, decidono che comunque quella statuetta va conservata e riverita. Per 15 anni viene dunque custodita nella casa di Pedroso, dove i vicini si riuniscono per pregare il rosario. La devozione comincia a diffondersi: oggi a Nostra Signora di Aparecida, patrona del Brasile, è dedicato il più grande santuario mariano al mondo e il quarto per afflusso di pellegrini.
Il beato Papa Paolo VI (1897-1978) inviò al santuario una rosa d’oro e, quando i viaggi apostolici dei Successori di Pietro divennero prassi consueta, furono i pontefici stessi a recarsi in pellegrinaggio. Iniziò papa san Giovanni Paolo II, nel 1980 : «Che cosa cercavano gli antichi pellegrini? Che cosa cercano i pellegrini di oggi? Proprio quello che cercavano nel giorno, più o meno remoto, del battesimo: la fede e i mezzi per alimentarla. Cercano i sacramenti della Chiesa, soprattutto la riconciliazione con Dio e l’alimento eucaristico. E ripartono fortificati e riconoscenti alla Signora, Madre di Dio e nostra». Certamente memorabile, per pietà e rilevanza anche di dottrina sociale, resta l’insegnamento impartito dal Santo Padre in quella occasione, un’omelia tutta da rileggere e meditare. «Di fronte alla fame di Dio che oggi si scorge in molti uomini, ma anche di fronte al secolarismo che, alle volte impercettibile come la rugiada, altre volte violento come il ciclone, trascina tante persone, siamo chiamati a fare Chiesa. Il peccato toglie Dio dal posto centrale che gli è dovuto nella storia degli uomini e nella storia personale di ciascun uomo. Fu la prima tentazione: “Diventare come Dio” (cf. Gen 3,5). Dopo il peccato originale, se si prescinde da Dio, l’uomo si trova sottoposto a tensioni, lacerato nelle sue scelte tra l’amore “che viene dal Padre” e “l’amore che non viene dal Padre, ma dal mondo” (cf. 1Gv 2,15-16) e, peggio ancora, l’uomo aliena se stesso, optando per la “morte di Dio” che porta in sé fatalmente anche la “morte dell’uomo”».
Anche Papa Benedetto XVI e poi Papa Francesco si sono recati ad Aparecida, a testimonianza di una devozione inalterata a Colei che tutto può ottenere dal Figlio per la salvezza del mondo.
A cento anni dall’ultima apparizione a Fatima, a trecento dal ritrovamento di una statuetta che diviene strumento potente di diffusione della fede in una società complessa e composita, ricordare gli anniversari non ha il sapore un po’ zuccheroso della nostalgia. La memoria deve infatti diventare sprone, fornire alimento per una rinnovata evangelizzazione, ricerca intelligente di parole comprensibili all’uomo di oggi e insieme insegnamento imprescindibile di una grammatica inalterata, che non renda vano il parlare. Anche per ascoltare occorre conoscere il linguaggio. E abbiamo un gran bisogno di ascoltare la Madre di Dio che torna nei secoli a spiegarci in modo semplice il Mistero che lei ha servito, e di nuovo ci esorta: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5).