di Domenico Airoma
Da ragazzo era il mio terrore. Un gioco di carte molto impegnativo, soprattutto se l’avversario era un esperto come mio nonno. Il tressette col morto mi sembra tornato in grande spolvero dopo l’ennesima trovata del premier GiuseppeConte: «sì» alle Messe aperte al pubblico, purché vi sia il morto. Sembra uno scherzo, un gioco tragico. Il problema è che è macabro davvero, e non solo per la presenza della bara.
Tralascio ogni considerazione giuridica; quelle saranno affidate al testo di un ricorso che il Centro Studi Rosario Livatino presenterà ai giudici del TAR. Qui basti dire che vi è solo un altro genere di leggi peggiore di quelle ingiuste: le leggi ridicole, quelle cioè che sembrano partorite dal capriccio insensato del legislatore e che, come tali, sono impossibili da far applicare.
Ma qualcuno davvero pensa che esista una differenza, dal punto di vista scientifico-epidemiologico, fra il celebrare la Messa in occasione della cerimonia funebre e celebrarla senza il morto? Ma davvero esiste un “esperto” che sia convinto della ragionevolezza di una amenità del genere? E qualcuno è seriamente convinto che un carabiniere possa presentarsi al cospetto dei familiari del trapassato intimando al sedicesimo partecipante di lasciare la cerimonia? Oppure che si metta a chiedere i certificati di famiglia per verificare il rapporto di parentela con il de cuius?
Conte, però, ha fatto di peggio (o di meglio, dipende dai punti di vista). Questa volta ha indossato lui i panni del becchino.
Con questo suo ennesimo provvedimento ha decretato, in un colpo solo, non solo la morte del diritto (ed è davvero un colpo da maestro, considerando il suo mestiere); non solo il declassamento della libertà religiosa, di tutti, cattolici e non cattolici, a mero accessorio del bene comune. Ha fatto di più: ha messo nero su bianco la “morte” della Chiesa-istituzione nel nostro Paese.
Dopo l’irrilevanza dei cattolici, questa pandemia mette, impietosamente, davanti agli occhi un’altra istantanea, quella di una Chiesa non più percepita come autorità sociale. Che qualche uomo di Chiesa ci abbia messo del suo, è fuori discussione: quanto accaduto non è solo opera del professore.
Ma la realtà, purtroppo, è questa. E va raccontata, giacché, come qualcuno ha detto, non esiste peggiore utopia della cattiva descrizione del presente.
Tuttavia, anche questa volta, scandala oportet ut eveniant: anche questo, speriamo, può servire perché ci si renda conto, finalmente, che la «nuova evangelizzazione» va fatta seriamente. Anche in Italia.
Mercoledì, 29 aprile 2020